Tra le letture preferite di Beethoven c’era un grande classico dell’antichità: Le vite parallele di Plutarco. Uno degli abbinamenti biografici di maggior interesse proposti dallo scrittore del II secolo era sicuramente quello che includeva Alessandro Magno sul fronte greco e Giulio Cesare sul versante romano: due conquistatori circondati da un’aura mitica nella storia dell’Occidente.
Al tempo di Beethoven viveva un uomo che sembrava ripercorrere le orme di quegli inarrivabili modelli: Napoleone Bonaparte.
La personalità del condottiero corso esercitò su molti animi del primo Ottocento un magnetismo che agiva su un doppio livello: il carisma di un vero e proprio ‘eroe cosmico’ (secondo la definizione del filosofo Hegel, coetaneo di Beethoven) e, nel contempo, l’incarnazione di elevati ideali di libertà all’indomani della Rivoluzione Francese. Per comprendere questo fenomeno, probabilmente non c’è nulla di meglio che leggere, o rileggere, le pagine della Certosa di Parma di Stendhal, il cui protagonista, Fabrizio Del Dongo, s’infiammava dinanzi agli ideali napoleonici entrando in aperto conflitto con le posizioni nettamente conservatrici e filoasburgiche dei propri congiunti. L’entusiasmo di un personaggio come Fabrizio avrebbe potuto trovare una colonna sonora ideale in celebri pagine beethoveniane, come l’inizio del Concerto n.5 per pianoforte e orchestra o i movimenti estremi della Sinfonia n.3 ‘Eroica’. Tanto il Concerto, quanto la Sinfonia condividono non solo la stessa tonalità di mi bemolle maggiore, ma anche quel bagaglio di gesti e di risorse musicali che rendono inconfondibile lo stile del Beethoven maturo, non più riconducibile all’orbita haydniano-mozartiana e, per converso, non ancora proiettato verso le trascendenti altezze degli ultimi quartetti o delle ultime sonate.
Mentre la Terza Sinfonia ebbe il suo titolo ufficiale, ‘Eroica’, deciso dall’autore stesso, il Quinto Concerto si accompagna per consolidata tradizione all’appellativo ‘Imperatore’ che tuttavia, con Beethoven, non ha nulla a che fare. Fu infatti escogitato dal pianista anglo-tedesco Johann Baptist Cramer, con il palese intento di evidenziare la grandiosa architettura della composizione. Da questo punto di vista, L’Imperatore rende bene l’idea. Se però pensiamo che il Concerto fu dedicato all’arciduca Rodolfo, fratello dell’altro imperatore Francesco d’Austria, nell’anno in cui le truppe napoleoniche invasero Vienna (1809), allora quell’allusione suonerà irrimediabilmente stonata…
Del resto, il problema del rapporto tra Beethoven e Napoleone risulta notoriamente complicato a causa di impulsi ideologici di segno opposto, tendenti a produrre nel compositore atteggiamenti mutevoli, per non dire contraddittori. È quanto emerge, fra l’altro, nel celebre aneddoto tramandato da Ferdinand Ries sulla genesi della Terza Sinfonia ‘Eroica’. Secondo Ries, il musicista in gioventù ‘stimava moltissimo’ Bonaparte, tanto da paragonarlo ai più grandi consoli romani, ma la notizia della sua autoproclamazione a imperatore lo mandò su tutte le furie.
Allora «Beethoven si avvicinò al tavolo, afferrò dall’alto la prima pagina [della partitura intitolata Bonaparte] la strappò e la gettò a terra: riscrisse il frontespizio e solo allora la sinfonia fu intitolata Eroica».
L’efficacia drammatica del racconto è fuori discussione, ma alcuni dettagli richiedono un’attenta verifica storica. Fin dal 2 agosto 1802, con un plebiscito, Napoleone era divenuto console a vita e il 18 maggio 1804 il senato lo proclamò imperatore dei francesi. Eppure, il 26 agosto dello stesso anno, Beethoven scriveva all’editore Härtel di aver concluso una grande sinfonia e di volerla intitolare Bonaparte. Ciò significa che anche dopo la svolta autocratica di Napoleone – a meno che l’autoproclamazione narrata da Ries non si riferisca in realtà alla fastosa cerimonia d’incoronazione del 2 dicembre nella cattedrale di Notre Dame a Parigi – il compositore intendeva mantenere il titolo originario. Ma perché, allora, nella prima edizione a stampa (1806) esso fu mutato in Sinfonia Eroica? Anni fa il musicologo Carl Dahlhaus suggerì una duplice spiegazione. Anzitutto, nel 1805 era scoppiata la guerra tra Francia e Austria: per Beethoven, che risiedeva stabilmente a Vienna, sarebbe stato impossibile, per evidenti ragioni patriottiche, dedicare o intitolare un’opera a un nemico pubblico. In secondo luogo, l’intitolazione a Napoleone, anche nella sopracitata lettera del 26 agosto, sembra alludere a una dimensione più privata che pubblica: sarebbe insomma indissolubilmente legata alla storia interna dell’opera, a prescindere dai mutamenti politici sopravvenuti e dalla disillusione provata dall’autore. Comunque siano andate le cose, l’Eroica segna una svolta rivoluzionaria nella storia della sinfonia, dato che non si era mai udita una composizione d’impianto così grandioso, considerando l’enorme primo movimento, quindi la Marcia funebre d’ispirazione francese, con al suo interno un mirabile fugato, per arrivare alle possenti variazioni del Finale, sapientemente costruite su un tema all’apparenza poco significativo (ripreso pari pari dalle musiche per il precedente balletto Le creature di Prometeo), con l’inatteso inserimento di un vorticoso episodio all’ungherese. Una sorpresa dietro l’altra. La strada per le future colossali sinfonie di Schubert, di Bruckner, di Mahler era già prefigurata.