Perché ci siamo condannati a mangiare troppo - A.I.D.O.

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Tendiamo a ingrassare perché mangiamo in modo squilibrato e più di quello che avremmo bisogno. Tra le tante ragioni ci sono i cibi che produciamo e uno stile di vita che squilibra i meccanismi fisiologici di regolazione della fame, riducendo la nostra qualità di vita

di Vita e Salute

Perché si ingrassa? Semplice, perché si mangia troppo. Già, ma perché si mangia troppo? Non c’è una sola risposta a questa domanda; sono tante le motivazioni che spingono a un consumo eccessivo di alimenti, soprattutto ipercalorici e grassi. Le conseguenze di questo comportamento, aggravato da uno stile di vita errato, sono però ben visibili a tutti: sovrappeso e obesità.
Secondo le stime, il peso fuori norma può causare più di 1,2 milioni di decessi (il 13% della mortalità totale). In più “L’obesità è causa di gravi complicazioni sia a livello cardiovascolare che di diverse malattie non metaboliche, incluso un maggiore rischio oncologico. Dobbiamo incentivare un corretto stile di vita, basato su un’alimentazione sana, l’assenza di fumo, una costante attività fisica”, afferma il professor Massimo Volpe, presidente della Società italiana per la prevenzione cardiovascolare. “Recentemente è emerso un consenso generale nel guardare all’obesità come a una vera patologia cronica, multifattoriale e complessa”.
L’elenco delle conseguenze dell’obesità sembra un bollettino di guerra: infiammazione cronica, ipertensione, elevati livelli di colesterolo e trigliceridi, diabete di tipo 2, sindrome da apnee ostruttive del sonno, malattie reumatiche, osteoartrite, malattie respiratorie, malattia renale cronica, tumori (spesso di tipo più aggressivo).
Non bisogna poi dimenticare il forte legame con le malattie cardiovascolari che, come sottolinea la Siprac, restano la prima causa di decessi e di ospedalizzazioni. Senza contare la minore qualità di vita che ne consegue.

Abituati alle carestie

Per millenni, l’organismo ha dovuto fare i conti con due fattori importanti: il bisogno di cibo e il rischio di non trovarlo. Di fatto, ancora fino a metà ‘900 non sono mancate le carestie. Da allora godiamo di una sicurezza alimentare senza precedenti. Tuttavia, il nostro organismo non ha fatto in tempo ad aggiornarsi e a regolarsi né sulla quantità di cibo disponibile, né tantomeno sulla sua qualità (il junk food non l’ha certo inventato la natura). Così, quei meccanismi indispensabili alla sopravvivenza – il senso della fame e la possibilità di accumulare grasso per i periodi di magra – sono ora un’arma a doppio taglio. Non sbagliati, intendiamoci. A non quadrare sono molte altre cose. Per esempio, il senso naturale di sazietà.

Che fine ha fatto il senso di sazietà?

Esiste un senso di sazietà a controbilanciare quello della fame. Un meccanismo ben orchestrato e funzionale, finché non ci mettiamo noi lo zampino sregolando tutto con i nostri comportamenti errati.
Nell’ipotalamo ci sono due centri che, sotto l’influenza di ormoni e neurotrasmettitori, inviano dei segnali al cervello. In parole molto semplici, il digiuno attiva il segnale della fame, la fine del pasto quello della sazietà. Presiede il senso della fame l’ormone detto grelina, presente soprattutto nello stomaco. La grelina aumenta il metabolismo e riduce il consumo energetico; finché è attiva, si continua a mangiare. In determinate condizioni tende però a non ridurre la propria attività, per esempio in presenza di stress cronico: da qui il bisogno di mangiare più cibo, soprattutto calorico e grasso. L’ormone della sazietà, la leptina, è prodotto dal tessuto adiposo per controllare il peso corporeo e aumentare la spesa energetica. Dal sangue raggiunge il cervello e dà il segnale di stop. Contrariamente a quanto si possa credere, non è la carenza di questo ormone a favorire il sovrappeso. Parecchi studi hanno identificato alti livelli di leptina nel sangue degli obesi, ma è come se il cervello non se ne accorgesse. Si tratta insomma di una forma di resistenza che impedisce di percepire il senso di sazietà. Perciò si continua a mangiare, e tutto l’apparato gastroenterico si adatta gradualmente all’apporto crescente di cibo, producendo sempre più enzimi digestivi (e ovviamente affaticandosi). È più forte di noi e va al di là di ogni razionalità.

Fattori psicologici

I disturbi alimentari, oggi in crescente diffusione, soo una prerogativa soltanto dell’essere umano. Solo noi distinguiamo la fame (“Sensazione viscerale stimolata dal bisogno del cibo”, dizionario Treccani), che ci farebbe mangiare anche le gambe del tavolo, dall’appetito (“desiderio di mangiare non sempre connesso a un reale bisogno di cibo, che è proprio della fame”), che ci spinge a scegliere mangiarini sfiziosi; solo noi concepiamo l’atto di mangiare in tanti modi diversi. Ansia, paura, malumore, desiderio di consolazione, depressione possono scatenare attacchi di fame anche incontrollabili. È forte anche la spinta nella direzione di cibi ricchi di zuccheri e grassi, entrambi capaci di attivare i centri nervosi della gratificazione e di stimolare la produzione di ormoni che favoriscono il buonumore, come dopamina e serotonina. L’effetto però è effimero, ma di continuo ricercato in un pericoloso circolo vizioso.

Portano alla dipendenza?

Da oltre un decennio è in atto un acceso dibattito scientifico sulla food addiction: così come esistono dipendenze da fumo o alcol, possono esistere anche quelle da cibo. Un numero crescente di studi sembra andare in questa direzione. Una review del 2018 conclude che “almeno in una parte di individui vulnerabili, i carboidrati ad alto indice glicemico inducono risposte neurochimiche e comportamentali paragonabili alla dipendenza”. Si innesca un meccanismo perverso nel quale le fluttuazioni glicemiche favoriscono gli sbalzi umorali e la troppa insulina causa un aumento del cortisolo, il famigerato ormone dello stress. A sua volta, lo stress cronico aumenta la grelina…
Ma se la natura non ha previsto alimenti con un alto tenore sia di zuccheri sia di grassi, l’industria l’ha fatto, e li ha pure “arricchiti” con sale, additivi, aromi artificiali, provocando un miscuglio ipercalorico e iponutriente ma che piace tanto, perché si crea un inedito sapore detto bliss point (punto di beatitudine), in grado di stimolare i centri del buonumore del cervello proprio come una droga.

Conclusione

È necessario dunque ritrovare un equilibrio alimentare, evitando di cedere alle sirene del junk food. La qualità deve prevalere sulla quantità, il cibo deve essere il più possibile biologico e naturale: solo così si rivela davvero nutriente e saziante. Per riuscirsi serve ritrovare un equilibrio interiore per comprendere meglio i segnali del corpo (come il senso di sazietà o lo stimolo della sete, troppo spesso ignorati). È utile poi cercare degli interessi che diano uno scopo alla vita e combattere la sedentarietà, che tra l’altro non è in grado di regalarci molecole del buonumore come fa l’attività fisica.
In estrema sintesi occorrono: cibo di qualità nelle giuste proporzioni; attività fisica, meglio all’aria aperta; un buon metodo di rilassamento (meditazione, training autogeno o altre tecniche utili a questo scopo) per combattere lo stress, imparare a guardarsi dentro e ad ascoltarsi.

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