Giovani pastori, ma a una condizione: l’allevamento secondo Eloïse e Matteo
Sono giovani e fanno i pastori: cioè allevano, portando d’estate le capre al pascolo, in alta montagna.
Ma più che una scelta di vita, è stata una scelta «di tecnica»: loro sono Matteo Cottura, 28 anni, ed Eloïse Vignon, di un anno più giovane; piemontese lui, francese del Vercors lei.
«Entrambi agronomi e figli di agricoltori» racconta Matteo. «Mio papà allevava bovini, mentre i suoi genitori hanno da sempre le capre. Noi ci siamo conosciuti duranti gli studi universitari, a Clermont-Ferrand». Poi, la decisione di tornare in Italia e avviare nel Cuneese un’attività.
A una condizione: «Basare l’allevamento sul pascolo – spiega Eloïse – perché per me è inconcepibile che un erbivoro non stia all’aperto, nei prati, a pascolare». Eccola spiegata, la tecnica: «Volevamo allevare, ma solo nel modo in cui secondo noi un allevamento è ben fatto, cioè pascolando e prendendoci cura dei prati».
Siccome in pianura non avevano superficie sufficiente per garantire alle capre di pascolare tutto l’anno, hanno deciso di cercare un alpeggio. L’hanno trovato a Ostana, nella cuneese valle Po, dove si sono aggiudicati anche la gestione del caseificio comunale in borgata Durandin, a 1640 metri di altitudine.
I due giovani pastori si dividono il lavoro: lui si occupa più della gestione degli animali, lei della produzione di formaggio. «Il terreno è di circa settanta ettari, di cui una trentina sono prati e il resto bosco – raccontano –. Arriviamo qua in alpeggio a giugno e rimaniamo fino a metà ottobre, mentre in inverno stiamo a Envie, nel fondovalle». Hanno un’ottantina di animali, di cui sessanta in lattazione.
Inizia Matteo: «Pratichiamo il pascolamento razionale, secondo un approccio orientato all’agricoltura organico-rigenerativa. Significa che muoviamo gli animali in base al ricaccio vegetativo, evitando di sovrasfruttarlo e cercando di alternare il prato alla parte semiboscata: vogliamo recuperare area di pascolo nella zona arbustiva e in questo le capre sono molto efficaci, perché brucano e mangiano anche le gemme e le foglie».
Prosegue Eloïse: «Mungiamo tutti i giorni e per fare il formaggio lavoriamo il latte totalmente a crudo. Non usiamo fermenti di tipo commerciale, ma adoperiamo tecniche di lattoinnesto e siero innesto. Volendo fare un paragone, è un po’ come il lievito madre per chi fa il pane: ci occupiamo noi di farci i nostri fermenti». Sul banco, alla fine, arrivano tome e cagliate lattiche, come le robiole e altri caprini freschi. Una produzione assai ridotta, di norma assorbita interamente da chi passa a trovarli nel caseificio, dai ristoranti di Ostana e dai rifugi della valle. I loro formaggi fanno parte del Presidio Slow Food dei prati stabili e dei pascoli.
da Il Corriere Torino del 14 settembre 2024
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