In occasione della settimana dedicata alla patologia, il prof. Andrea Ranghino illustra le ultime novità che arrivano dal fronte della ricerca
Ancona – La settimana che si è appena conclusa è stata dedicata in tutto il mondo a conoscere meglio l'iperossaluria primitiva, una malattia genetica rara che coinvolge principalmente i reni, ma anche numerosi altri organi. Una patologia che, secondo i dati del registro OxalEurope, ha una prevalenza attorno a 1-3 pazienti per milione di individui e un'incidenza pari a un caso ogni 120.000 nati in Europa.
In occasione di questa settimana di sensibilizzazione, chiamata Hyperoxaluria Awareness Week, abbiamo chiesto a un esperto di fornirci una panoramica sulle novità che arrivano dal fronte della ricerca, e in particolare un aggiornamento riguardo agli studi in corso sul lumasiran, il farmaco basato sulla tecnologia dell’RNA interference (RNAi) che ha rivoluzionato il trattamento di questa malattia. Ne abbiamo parlato con Andrea Ranghino, professore associato di Nefrologia presso l'Università Politecnica delle Marche e direttore della SOD di Nefrologia, Dialisi e Trapianto Rene dell'AOU delle Marche, nonché responsabile del Programma Regionale di Trapianto Rene.
Professore, nel 2021 la sua collega Marina Di Luca ci raccontò il caso clinico di un ragazzo affetto da iperossaluria primitiva di tipo 1 e in attesa di trapianto. Poi, nel 2023, lei e la dr.ssa Di Luca ci avete fornito un aggiornamento sulla vicenda: il ragazzo era diventato il primo e allora unico paziente in Italia (e fra i primi al mondo) ad aver affrontato con successo un trapianto di rene isolato mentre era in terapia con lumasiran. Qual è, ad oggi, la sua situazione?
Il trapianto è avvenuto circa due anni fa e il ragazzo, che ora ha 39 anni, ha una buona funzione dell'organo e sta molto bene: l'ossaluria è rientrata ed è assolutamente normale. In seguito al trapianto abbiamo effettuato delle biopsie seriate dell'organo trapiantato, le quali hanno mostrato che non c'è precipitazione significativa di cristalli di ossalato nel rene. Ora siamo in attesa della pubblicazione del caso clinico, e possiamo dire che la decisione presa allora fu quella giusta; non solo per il ragazzo, che ha subito solo un trapianto di rene e non un trapianto combinato fegato-rene che lo avrebbe esposto a dei rischi intraoperatori e perioperatori notevolmente maggiori, ma soprattutto perché quel fegato che sarebbe stato destinato a lui e di cui – adesso possiamo dirlo – non avrebbe oggettivamente avuto bisogno data la possibilità di terapia con lumasiran, è andato a un'altra persona in attesa di trapianto, e questo è un fatto che ha un valore inestimabile. Da allora, anche altri centri hanno realizzato dei trapianti di rene isolato in pazienti affetti da iperossaluria di tipo 1 in terapia con lumasiran, seguendo quello che è stato il nostro approccio di gestione del paziente dall'immediato post-operatorio. I risultati, alcuni dei quali sono stati pubblicati quest'anno (come ad esempio Bacchetta et al. e Choi et al.), seppur ancora preliminari sono assolutamente ottimi e confermano la bontà della nostra scelta.
Nel corso di quest'anno sono stati presentati ulteriori dati sull'efficacia di questo trattamento?
Sì, nel corso di due eventi che si sono appena conclusi – la Kidney Week, organizzata a San Diego dall'ASN – American Society of Nephrology, e il congresso nazionale della Società Italiana di Nefrologia che si è svolto a Riccione – sono stati discussi i dati, molto interessanti, relativi all'estensione del trial clinico ILLUMINATE-C. In questo studio sono state analizzate due coorti di pazienti con iperossaluria primitiva di tipo 1 in terapia con lumasiran, con una malattia renale cronica avanzata e alcuni di questi già in dialisi. I dati analizzati a due anni dall'inclusione nel trial hanno dimostrato che la terapia con lumasiran aveva contribuito a mantenere bassi i livelli di ossalemia (quindi di ossalati nel sangue) sia nei pazienti con malattia cronica avanzata che in dialisi. In aggiunta, i pazienti in trattamento mostravano un miglioramento della funzione contrattile cardiaca rispetto ai valori precedenti al trattamento. Questo è un dato molto rilevante, perché sebbene il paziente abbia necessità di una terapia sostitutiva come la dialisi (e quindi sul rene si possa fare ben poco), la riduzione dei valori di ossalemia contribuisce a ridurre il deposito di ossalati negli altri organi, come ad esempio il cuore, riducendo il rischio di mortalità. Questo è il motivo per cui prima facciamo una diagnosi di iperossaluria, prima possiamo attivare la terapia con lumasiran, per cercare di ridurre la litiasi e la malattia renale cronica, e quindi la necessità di dialisi e di trapianto. Tuttavia, se il paziente ha ricevuto una diagnosi tardiva, ha già una malattia renale o addirittura è già in dialisi, il lumasiran può avere comunque un effetto positivo nel ridurre la mortalità legata al deposito di ossalati in altri organi. Coerentemente, il dato ottenuto nei pazienti che hanno partecipato all'estensione di ILLUMINATE-C è stato un miglioramento degli indici di funzione cardiaca, espressi con un parametro di performance che chiamiamo frazione di eiezione”.
Il programma ILLUMINATE, che valuta l'efficacia di lumasiran a lungo termine, comprende altri due studi di Fase III tuttora in corso, e anche su questi trial sono stati pubblicati recentemente degli aggiornamenti. In particolare, il gruppo di Saland et al. ha presentato i dati di ILLUMINATE-A nei pazienti di età superiore a 6 anni, mentre Frishberg et al. hanno illustrato quelli di ILLUMINATE-B nei bambini sotto i 6 anni. In entrambi gli studi, i risultati dopo 30 mesi di trattamento sono risultati soddisfacenti, con una costante riduzione degli ossalati: ciò dimostra come lumasiran sia efficace in tutte le fasce d’età e in tutti gli stadi di funzionalità renale.
Il lumasiran, dunque, può realmente contrastare la storia naturale della malattia?
Sì, e credo che – come è già successo in altre malattie rare – la disponibilità di un farmaco abbia generato un circolo virtuoso: gli addetti ai lavori (parlo degli urologi, dei nefrologi, dei pediatri e dei medici di medicina generale) oggi sono più informati sulla patologia, e questo sta cambiando lo scenario anche in Italia, in termini di un maggior numero di diagnosi. Poco per volta stiamo tirando fuori il sommerso, ossia quelle basse incidenze e prevalenze che avevamo, e che ora trovano una spiegazione, almeno in parte, in una sottodiagnosi. Ci troviamo in un momento storico eccezionale: con una diagnosi precoce possiamo evitare che un paziente debba ricorrere alla dialisi e consentirgli di fare una vita normale, senza avere problematiche a carico di altri organi. Si è aperto uno scenario in cui è possibile valutare la terapia con trapianto di rene isolato, e solo il fatto di poter ragionare su questa ipotesi è straordinario. Prima potevamo immaginarlo solo se la mutazione rispondeva alla piridossina, oggi invece possiamo considerare questa opzione per tutte le mutazioni, anche per quelle che non rispondono alla piridossina.
Nel sospetto di iperossaluria, ci sono dei sintomi ai quali lo specialista dovrebbe prestare particolare attenzione?
Sono stati messi a punto alcuni algoritmi che hanno l'obiettivo di facilitare la diagnosi di iperossaluria. In particolare, quello proposto dal prof. Pietro Manuel Ferraro, uno dei ricercatori più quotati in Italia in quest'ambito, prevede la probabilità di iperossaluria primitiva nei pazienti adulti sottoposti a emodialisi, e tiene conto di quattro fattori: la storia di litiasi, l'età di inizio della dialisi, la storia familiare ed eventuali precedenti trapianti che sono falliti. Credo che i red flag previsti da questo algoritmo, chiamato "Primary Hyperoxaluria Prediction Tool", siano gli stessi che noi dobbiamo considerare nei pazienti con reni inattivi. In un paziente che ha queste caratteristiche dobbiamo sospettare un'iperossaluria su base genetica, quindi procedere con il dosaggio degli ossalati nelle urine e nel sangue e poi alla richiesta di un'analisi genetica per la conferma della diagnosi. Esiste sempre, infatti, una quota rilevante di pazienti, intorno al 30%, che sono in dialisi senza che ci sia una diagnosi della nefropatia che ha causato la necessità della dialisi stessa. Perciò è importante che ogni nefrologo o chirurgo che sia responsabile di un centro trapianti o di un ambulatorio per l'immissione in lista, faccia un'anamnesi accurata dei pazienti che hanno una causa di nefropatia non nota, identificando questi campanelli d'allarme che possono orientare verso la conferma o l'esclusione di una causa genetica. Se infatti trapiantiamo un paziente pensando che abbia avuto una litiasi su base non genetica, subito dopo il trapianto avremo una recidiva di malattia renale da precipitazione di cristalli di ossalato, con il conseguente fallimento del trapianto.