Gli studi guardano alle mutazioni del DNA nei siti di splicing, in grado di compromettere la corretta sintesi e la funzionalità di proteine di membrana note come canali ionici
Tra le notizie di cronaca accade di imbattersi con regolarità in articoli che descrivono l’improvvisa scomparsa di una persona, a volte relativamente giovane e in salute, per cause non ben identificate. In quelle situazioni si parla di morte cardiaca improvvisa, un fenomeno che interessa migliaia di persone nel mondo: si stima che un numero compreso tra il 10 e il 20% di tutte le morti in Europa rientri in questa categoria, mentre negli Stati Uniti fino a mezzo milione di individui ogni anno presentano un infarto cardiaco o vanno incontro a morte improvvisa. È dunque una problematica assai diffusa, il cui campo di estensione, anche a causa dell’alone di mistero da cui è avvolta, potrebbe intersecarsi con quello delle malattie rare, nel quale l’avanzamento delle tecniche d’indagine sta permettendo di svelare percorsi genetici e meccanismi molecolari fino a poco tempo fa sconosciuti.
MORTE IMPROVVISA: QUALI SONO LE CAUSE?
Quando un decesso naturale avviene in seguito a un collasso del sistema cardiocircolatorio annunciato da un’improvvisa e per lo più istantanea perdita di conoscenza, che avviene entro circa un’ora dall’insorgenza dei sintomi, si parla di morte cardiaca improvvisa. Va dunque precisato che questa dicitura non fa esclusivo riferimento all’arresto cardiaco, in cui il collasso cardiocircolatorio viene provocato da un evento che mette a rischio la vita del paziente ma che, se trattato in maniera appropriata, porta a evitare tale situazione; ciononostante, coloro che hanno già sperimentato un arresto cardiaco sono a maggior rischio di morte cardiaca improvvisa. Tenerne presente è corretto, dal momento che gli esami autoptici effettuati sulle vittime di morte improvvisa hanno evidenziato che nella maggior parte dei casi era presente una cardiopatia latente: fino all’80% dei casi presentava una cardiopatia ischemica, nel 15% circa è stata riscontrata una cardiomiopatia e nel restante 5% una patologia valvolare.
In un articolo di recente pubblicazione sulla rivista Genes, un gruppo di ricercatori dell’Università Politecnica delle Marche e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ancona ha esplorato la correlazione tra il fenomeno della morte cardiaca improvvisa e la genetica delle canalopatie, malattie ereditarie caratterizzate da alterazioni nella funzionalità elettrica del cuore, predisponendo all’insorgenza di tachiaritmie o bradiaritmie, in assenza di un problema cardiaco di tipo strutturale. In particolare ad essere interessati da queste problematiche sono i canali ionici, cioè le proteine di membrana che regolano il passaggio all’interno della cellula o verso l’esterno degli ioni come sodio, potassio e calcio. Dell’insieme delle canalopatie cardiache fanno parte condizioni come la sindrome del QT lungo (LQTS), la sindrome del QT breve (SQTS), la sindrome di Brugada (BrS) e la tachicardia ventricolare polimorfica catecolaminergica (CPVT). Ognuna di esse è in grado di provocare aritmie gravi e, nei casi estremi, persino la morte improvvisa.
CANALOPATIE: UN RARO MA PREZIOSO VERSANTE DI STUDIO
Tra le cause di morte improvvisa in pazienti con un cuore strutturalmente sano c’è la sindrome del QT Lungo (LQTS), provocata da una prolungata ripolarizzazione ventricolare predisponente a tachiaritmie potenzialmente fatali. Questa condizione insorge in seguito al prodursi di mutazioni a livello dei geni che codificano per i canali di potassio, sodio o calcio e la classificazione avviene in base al gene mutato: la gran parte delle LQTS rientra nelle categorie LQTS1 (dovute a mutazioni del gene KCNQ1, che codifica per il canale del potassio v7.1 responsabile della corrente lenta del potassio verso l’esterno della cellula) e LQTS2 (dovute a mutazioni del gene KCNH2, che codifica per il canale HERG, responsabile, invece, della corrente rapida verso l’esterno), mentre solo una frazione compresa tra 5 e 8% dei casi è associata alla categoria LQTS3, con mutazioni nel gene SCN5A che codifica per il canale Nav1.5, responsabile della corrente di sodio diretta verso l’interno. In tutti i casi il risultato è un una durata maggiore del normale nel tratto QT nel tracciato dell’elettrocardiogramma.
La sindrome del QT Breve (SQTS), invece, è meno comune e caratterizzata da un periodo di ripolarizzazione ventricolare abbreviato: similmente alla LQTS, essa è provocata da rare mutazioni autosomiche dominanti ma, diversamente dalla malattia precedente, esse causano una riduzione della durata del tratto QT e una ripolarizzazione cardiaca accelerata con un maggior rischio di fibrillazione atriale, episodi di sincope cardiaca e morte cardiaca improvvisa.
La sindrome di Brugada è un’ulteriore canalopatia che in circa un quinto dei casi è sostenuta dalle mutazioni del gene SCN5A e provoca alterazioni a livello del tratto ST, predisponendo i pazienti ad aritmie ventricolari maligne.
Infine, tra le patologie ad origine genetica che possono spiegare il fenomeno della morte improvvisa rientra la tachicardia ventricolare polimorfica catecolaminergica (TVPC) in cui le aritmie si manifestano principalmente nel corso di esercizi o stress emotivo: la TVPC è causata da mutazioni nei geni RYR2 o CASQ2, che regolano il rilascio del calcio intracellulare.
LE MUTAZIONI NEI SITI DI SPLICING
La morte cardiaca improvvisa può trovare spiegazioni in anomalie strutturali del cuore (tachicardie e fibrillazioni ventricolari oppure lo scompenso cardiaco) oppure può essere correlata a ischemia, rottura di aneurismi o emorragie cerebrali. Per quale motivo, dunque, i ricercatori hanno concentrato la loro attenzione su condizioni genetiche così rare? Con un occhio alla cronaca sembra di poter dire che la morte cardiaca improvvisa riguardi principalmente persone in salute, a volte anche atleti impegnati in un’attività fisica estrema, ma guardando più a fondo si può scoprire che le morti improvvise spesso colpiscono persone non del tutto sane, perché solo in apparenza non affette da patologie cardiache. In relazione a patologie come la sindrome di Brugada o la LQTS, i ricercatori marchigiani hanno voluto indagare a fondo alcune mutazioni, note come varianti di splicing, cioè anomalie che si creano nelle sequenze genetiche che determinano il taglio e la ricombinazione degli introni (i tratti non codificanti) durante la maturazione dell’RNA messaggero (mRNA).
In pratica, se una mutazione si genera in una sequenza codificante, con inserimento oppure delezione di un certo numero di nucleotidi, si può creare una mutazione puntiforme che può essere silente oppure associata a un cambiamento nella sequenza di aminoacidi necessari a costruire una proteina essenziale: tale cambiamento può portare a una proteina disfunzionale e, a seconda della funzione della proteina coinvolta, a danni potenzialmente enormi per l’organismo. Una mutazione che causi un’anomalia nelle proteine che fungono da canali di trasporto per gli ioni come il sodio o il potassio - come quelli di cui abbiamo appena parlato - può determinare alterazioni gravi nel battito cardiaco.
Meno di frequente, invece, si formano mutazioni in sequenze non codificanti del DNA: una volta si parlava di “Junk DNA”, ossia “DNA spazzatura”, anche se si è visto che la regolazione di molte funzioni è legata a tali regioni per cui questo nomignolo spregiativo ha perso di significato. Le regioni non codificanti del DNA includono sequenze regolatorie che controllano l’espressione genica, l’origine della replicazione del DNA, i centromeri e i telomeri, gli introni, gli pseudogeni, il DNA intergenico e alcune molecole di RNA non codificanti, come i miRNA (valsi il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina ai proprio scopritori, Victor Ambros e Gary Ruvkun). Le mutazioni in tali regioni possono prodursi anche nei siti di splicing, conducendo alla produzione di proteine difettose o non funzionali e alterando così l’attività dei canali ionici. Tutto ciò concorre allo sviluppo di canalopatie.
INTERPRETARE IL SIGNIFICATO DELLE MUTAZIONI RARE
Nella gran parte dei casi le varianti di splicing hanno un significato incerto ed è difficile capire come riescano a influenzare la struttura di una proteina, perciò i ricercatori suggeriscono di ricorrere ad approcci avanzati, come il sequenziamento dell’RNA, per andare a cercare eventuali alterazioni nel processo di splicing. Questo metodo risulta particolarmente utile per studiare gli effetti delle varianti non codificanti ma richiede campioni biologici ben conservati e adeguatamente processati per evitare degradazioni dell’RNA. Un’altra soluzione a cui si suggerisce di ricorrere consiste nell’impiego di strumenti computazionali per predire gli effetti delle varianti di splicing: attraverso speciali algoritmi che simulano il comportamento del DNA e dell’RNA, è possibile prevedere l’effetto delle mutazioni nei siti di splicing, tuttavia l’accuratezza di tali predizioni dipende dalla qualità dei dati e dei modelli utilizzati e non può sostituire le analisi funzionali che vengono usate per capire se una variante di splicing produca proteine difettose. Infine, i ricercatori fanno riferimento al test del Minigene, tramite cui si può confrontare una versione normale del gene con una mutata, valutandone l’effetto a livello dell’RNA, e a CRISPR, la tecnica di editing del genoma che consente di realizzare modelli cellulari estremamente attendibili. Tutto ciò fa comprendere bene la necessità di adottare strumenti con cui approfondire il significato delle varianti rare nel contesto delle canalopatie, le quali possono essere in relazione col fenomeno della morte cardiaca.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E PREVENZIONE
Per cercare di fare luce sul fenomeno della morte cardiaca improvvisa, che da molti anni continua a provocare un significativo numero di decessi, medici e ricercatori si stanno affidando anche all’intelligenza artificiale, tramite lo sviluppo di algoritmi che, incrociando enormi volumi di dati, possano elaborare profili di rischio personalizzati e individuare così le persone in cui l’arresto cardiaco abbia una elevata probabilità di presentarsi; fattore cruciale in questo approccio è la definizione dei fattori di rischio ma le potenzialità sono estremamente ampie perché, se in futuro questi sistemi troveranno il modo di esser applicati ai programmi gestionali dei medici di medicina generale, l’identificazione corretta delle persone a rischio potrebbe essere più rapida e la prevenzione del fenomeno più efficiente.
Nel frattempo, nel loro articolo su Genes gli studiosi italiani suggeriscono di aggiornare periodicamente i database clinici con i risultati dei test funzionali su varianti rare o non codificanti e, nei casi più interrogativi, di ricorrere all’utilizzo integrato di strumenti in silico per classificare con accuratezza le varianti di significato incerto e arrivare a una corretta interpretazione del rischio clinico nei pazienti predisposti a morte cardiaca improvvisa.