“I nostri figli desideravano tanto una famiglia”. Una testimonianza carica di emozioni, quella di una coppia che ha dato a due bambini peruviani un posto nel mondo. Il rito dell’addio

“Non vedevo l’ora di fare un giro in macchina con il mio papà!” e mentre esclamava gioioso queste parole, Juan saltava sul sedile della macchina davanti agli occhi emozionati e increduli del papà.
“Eravamo appena atterrati dal Perù, avevamo mangiato una pizza, un po’ stanchi per il fuso orario, e quando si è trattato di andare a casa a dormire Juan, il figlio più grande, espresse questo desiderio: papà, facciamo un giro in macchina io e te!”.

Il racconto durante gli incontri informativi di Ai.Bi.

Il racconto e il ricordo di Antonio prosegue, carico di dettagli ed emozioni che ancora sono vive nove anni dopo dal rientro in Italia con i due figli, Juan e Salvador, all’epoca di 9 e 6 anni.
Antonio e sua moglie Peggy spesso offrono disponibilità a raccontare la loro esperienza durante gli incontri informativi di Ai.Bi., a Roma, alla coppie che si stanno avvicinando all’adozione. Episodi come questo dicono già molto dei bambini che attendono in istituto l’arrivo di una famiglia tutta per loro e per sempre.
“Mi piace esprimere il punto di vista del papà nell’adozione anche perché papà e mamma hanno in comune gli stessi percorsi, le stesse emozioni in questa particolare ‘gravidanza’ – dice Antonio -. Dagli esperti sappiamo che solitamente i bambini mostrano difficoltà con la mamma, all’inizio, mentre conoscono poco il padre, la figura maschile, proprio perché di solito negli istituti vi sono tate ed educatrici. E così anche i primi giorni di affiatamento in Perù, Juan e Salvador hanno conosciuto un papà che all’inizio era come un fratello maggiore che amava giocare con loro.

Un percorso di genitorialità particolare

I nostri figli desideravano tanto una famiglia, ce lo hanno detto – continua Antonio – e il fatto di essere grandicelli, quindi consapevoli della loro situazione, ha aiutato molto nella costruzione della famiglia: erano e sono stati parte attiva anche del crescere dell’attaccamento, che quindi si è sviluppato in modo naturale”.
Antonio e Peggy, durante gli incontri, segnalano anche il fatto che “i genitori adottivi hanno la fortuna di fare un percorso di genitorialità particolare, si preparano, sono propensi a chiedere aiuto durante la crescita dei figli. Questo è un valore aggiunto – dicono – : chiedere aiuto se hai difficoltà con i figli è ancora un tabù per molti perché si sentono giudicati. L’adozione ti fa passare tutte queste paure”.
Oggi i figli di Antonio e Peggy si avvicinano all’adolescenza e tanta strada è stata percorsa dal giorno in cui lasciarono in loro hogar in un paesino vicino a Lima.
“Era un bellissimo istituto, quasi una casa famiglia in un edificio in stile coloniale portoghese immerso nella campagna – ricorda la coppia – : erano accolti una ventina di bambini seguiti da 5 o 6 educatrici. Possiamo dire che i nostri figli sono stati cresciuti in un luogo sereno, per quanto fossero senza una famiglia”.
E infatti Antonio ricorda che tempo fa i bambini dissero che in Perù “si sentivano sospesi”, caratteristica che accomuna a tutti i bambini che vivono in istituti o centri di accoglienza, anche quando sono strutture curate e dotate di molti servizi per l’infanzia in cui non mancano mai cibo o vestiti.

La partenza

“Quando arriva il momento dell’adozione, dei saluti perché si lascia la casa famiglia, c’è una specie di rito – ricorda Antonio – I genitori, una volta arrivati, alloggiano per alcuni giorni in un appartamentino accanto all’istituto per facilitare l’ambientamento dei bambini che a poco a poco lasciano le loro abitudini.
Per noi il processo di distacco è avvenuto bene: ci siamo subito messi a giocare, abbiamo fatto un giro nel paesino per fare la spesa e comprare alcuni accessori per sistemare le biciclette del centro che erano tutte malconce e che abbiamo aggiustato insieme. Poi di solito, la sera prima di lasciare la casa, si organizza una cena e una festa tutti insieme; noi abbiamo anche giocato a tombola”.
L’affiatamento della famiglia, che ha trascorso poco più di un mese in Perù, è proseguito a Lima in cui i ritmi della famiglia iniziavano a prendere forma.
Un ricordo di quelle sere riguarda invece il figlio più piccolo:
“I bambini erano entrambi un po’ agitati i primi giorni, per i molti cambiamenti. Ma era Salvador che di notte si alzava, si affacciava alla porta della nostra camera da letto e veniva a vedere se c’eravamo ancora”.

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