Sindrome emolitico-uremica atipica: le sfide della diagnosi differenziale

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Dott.ssa Carmelita Marcantoni (Catania): “Saper individuare tempestivamente la patologia è il punto di partenza imprescindibile per un intervento terapeutico efficace”

“La sindrome emolitico-uremica atipica (SEUa) è una malattia complessa e multifattoriale che spesso presenta un esordio subdolo, con sintomi aspecifici”, afferma la dottoressa Carmelita Marcantoni, Dirigente Medico Responsabile dell’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “G. Rodolico - San Marco” di Catania. “Tuttavia, sapere della sua esistenza e conoscerne le caratteristiche permette di prestare attenzione a tutti quei segni, anche minori, che se considerati nell’insieme possono comporre un quadro caratteristico, capace di far sorgere il sospetto che si possa trattare di questa rara forma di microangiopatia trombotica con coinvolgimento renale. Anche le diagnosi più complicate – sottolinea Marcantoni – possono diventare semplici quando si sa cosa guardare”.

LA MALATTIA

La SEUa è una patologia molto rara e rappresenta approssimativamente il 5-10% di tutti i casi di sindrome emolitico-uremica (SEU) [fonti: NORD; aHUS Alliance]. L'esatta prevalenza globale della SEUa è sconosciuta, ma le stime finora effettuate, anche se piuttosto datate, oscillano da uno a 9 pazienti ogni 100.000 persone [fonte: Orphanet]. In passato considerata quasi esclusivamente una malattia pediatrica, oggi sappiamo che il suo primo esordio può spaziare dal periodo neonatale all’età adulta. Alla base di questa condizione vi è la formazione di piccoli accumuli di piastrine e di una glicoproteina nota come fattore di von Willebrand (VWF), accumuli che si depositano diffusamente nei piccoli vasi sanguigni creando ostruzioni (trombosi del microcircolo) che ostacolano il passaggio del sangue e danneggiano meccanicamente le piastrine e i globuli rossi che li attraversano, con conseguente grave trombocitopenia e anemia emolitica. Molti sono gli organi interessati dalla formazione di questi microtrombi ma il cervello, il cuore e soprattutto i reni sono quelli che riportano i danni maggiori.

LE CAUSE

Recenti studi hanno dimostrato che circa il 60% dei casi di sindrome emolitico-uremica atipica è associato ad anomalie genetiche del sistema del complemento, in particolare della cosiddetta “via alternativa”, una delle tre ‘strade’ in cui si articola questo complesso meccanismo di difesa che fa parte della nostra immunità innata. Quello del complemento, infatti, è un sistema che conta oltre trenta proteine che, attivandosi a cascata, permettono l’eliminazione di virus, batteri, corpi estranei e tessuti danneggiati. Per prevenire danni alle cellule del nostro organismo, il complemento è guidato da alcune proteine regolatrici che ancorandosi alla membrana delle cellule sane le segnalano come ‘intoccabili’, e quindi ne evitano la distruzione. Nella SEUa, il malfunzionamento di alcune di queste proteine ‘protettrici’ porta a un’attivazione incontrollata del complemento, che bersaglia la superficie interna dei vasi sanguigni (endotelio) con conseguente infiammazione, adesione piastrinica e formazione di microtrombi. Questa perdita di funzionalità delle proteine regolatrici può essere dovuta a un difetto genetico oppure alla produzione di autoanticorpi diretti contro il fattore H, una proteina prodotta dal fegato che gioca un ruolo importante nella regolazione della via alternativa del complemento.

Ad oggi, sono state identificate come responsabili dello sviluppo della malattia diverse mutazioni nei geni CFH, CFI, CFB, C3, MCP e THBD. A seconda della mutazione coinvolta, la sindrome emolitico-uremica atipica si può manifestare con sintomi più o meno gravi, e può avere un decorso differente. Nonostante la componente genetica, però, la SEUa non è una patologia ereditaria classica ma presenta una complessa patogenesi multifattoriale, dove per lo sviluppo della malattia sono importanti anche cause ambientali (infezioni, gravidanza, impiego di alcuni farmaci, ecc.), che si comportano da elementi scatenanti in coloro che hanno, appunto, una predisposizione genetica.

LE TERAPIE

Fino a quindici anni fa, molti pazienti affetti da SEUa andavano velocemente incontro alla morte per insufficienza renale o per complicazioni cardiovascolari. “La prognosi di questi malati è stata radicalmente modificata dall’avvento di un anticorpo monoclonale, eculizumab, in grado di inibire la porzione terminale della cascata del complemento e di restituire a questi pazienti una buona qualità della vita”, afferma la dottoressa Marcantoni. “Una corretta diagnosi nelle fasi iniziali della malattia è fondamentale, perché spesso la SEUa tende a progredire in modo rapido. Inoltre, si è visto che il trattamento con eculizumab o ravulizumab [un nuovo anticorpo monoclonale a lunga emivita, recentemente approvato anche in Italia, N.d.R.], se iniziato precocemente, garantisce una migliore efficacia e un maggior recupero della funzionalità renale”.

LA DIAGNOSI

La diagnosi della sindrome emolitico-uremica atipica può rivelarsi un compito più arduo del previsto, dato l’esordio subdolo della malattia. Spesso, infatti, la SEUa si presenta con una vaga sensazione di malessere generalizzato, spossatezza, irritabilità e letargia, manifestazioni che ben presto, però, conducono il paziente alla necessità di un ricovero ospedaliero. “I tre sintomi tipici che devono far nascere il sospetto di SEUa sono anemia emolitica, piastrinopenia e insufficienza renale”, spiega la dottoressa Marcantoni. “Quando questi tre segni classici sono presenti, allora si può procedere indagando la presenza di altre manifestazioni, che indichino, ad esempio, un coinvolgimento neurologico, ma anche gastrointestinale, polmonare o cutaneo”.

L’ipotesi di SEUa, una volta formulata con l’ausilio di test di laboratorio di primo livello, viene rafforzata grazie a indagini di secondo livello”, afferma la dottoressa Marcantoni. “In particolare, il test di Coombs diretto permette di escludere la presenza di un’anemia emolitica su base autoimmune”. Altri esami di secondo livello comprendono la misurazione dei livelli di lattato deidrogenasi (LDH), bilirubina indiretta, aptoglobina e reticolociti (globuli rossi che non hanno ancora raggiunto la maturazione), la valutazione di alcuni parametri della coagulazione e l’esecuzione di uno striscio di sangue alla ricerca di schistociti (frammenti di globuli rossi).

LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE: UNA SFIDA PER IL CLINICO

Soprattutto nei bambini, la prima distinzione da fare è tra le due forme di sindrome emolitico-uremica, quella tipica (SEUt), molto più frequente, e quella atipica (SEUa). Nel primo caso, solitamente, la sintomatologia gastroenterica che precede la malattia vera e propria è grave, con diarrea intensa e spesso ematica, poiché causata da alcuni ceppi di Shigella dysenteriae o Escherichia coli, batteri capaci di produrre potenti tossine (rispettivamente shiga-tossina e verocitotossina) che, dopo aver compromesso la parete intestinale, sono in grado di entrare nel circolo ematico danneggiando il tessuto endoteliale dei vasi sanguigni. In circa il 30-40% dei casi, anche la SEUa è preceduta da diarrea, ma in genere di minore entità. Per questo motivo, per distinguere le due forme di SEU è fondamentale eseguire un esame colturale delle feci, alla ricerca dell’eventuale presenza dei sopracitati batteri.

Nel paziente adulto, un maggiore coinvolgimento del sistema nervoso centrale rispetto a quello renale dovrebbe far propendere per una diagnosi di porpora trombotica trombocitopenica (TTP). “Il dosaggio dell’enzima ADAMTS13 e la ricerca di autoanticorpi anti-ADAMTS13 può essere determinante per distinguere la sindrome emolitico-uremica atipica da microangiopatie trombotiche come la TTP”, spiega la dottoressa Marcantoni. “Oggi, in tutte le regioni è presente almeno un centro dove è possibile eseguire questo test capace di individuare la proteasi ADAMTS13, enzima che scinde il fattore di von Willebrand nel tentativo di ridurre la formazione di trombi. In Sicilia questo esame può essere effettuato in tre strutture ospedaliere: l’AOUP “G. Rodolico - San Marco” di Catania, il Policlinico “G. Martino” di Messina e il Policlinico di Palermo”.

La SEUa può essere confusa anche con alcune sindromi emolitiche secondarie, derivanti, cioè, dall’assunzione di farmaci o da altre patologie, tipicamente autoimmuni, come il lupus eritematoso sistemico. “Per tutti i casi di sospetta SEUa – precisa Marcantoni – c’è l’indicazione a effettuare uno screening genetico completo alla ricerca di eventuali mutazioni nei geni noti per essere correlati alla patologia. La conferma diagnostica, inoltre, può giungere anche da test di funzionalità delle proteine del sistema del complemento e dalla ricerca di anticorpi anti-fattore H, ma questi sono esami che, in tutta Italia, possono essere eseguiti solo da alcuni centri di riferimento”.

“In generale, ma soprattutto nel caso di una malattia severa come la sindrome emolitico-uremica atipica – conclude l’esperta – una diagnosi corretta e tempestiva è di importanza cruciale, perché rappresenta il punto di partenza imprescindibile per l’avvio di un intervento terapeutico efficace”.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Giulia Virtù)