Fa discutere la sentenza del Tribunale di Firenze che ritiene che anche i genitori di chi violentò una ragazza quando era minorenne debbano partecipare al pagamento dei danni subiti dalla ragazza. Ma la scuola non ha alcuna responsabilità?
La vicenda è drammatica e, anche se suona un po’ una frase fatta, la verità è che hanno perso tutti. Perché una violenza sessuale avvenuta a scuola, quando i protagonisti hanno solo 16 anni, è una storia che non può avere “vincitori”. Può avere, però, giustizia, almeno per l’interpretazione e il senso che di questa parola riescono a darne gli uomini.
La giustizia, da parte sua, si è presa il suo tempo, visto che è arrivata a una conclusione solo oggi una vicenda che risale al 2015. Una prima parte della questione, a dire il vero, aveva trovato un punto fermo nel 2022, quando il ragazzo protagonista dell’aggressione è stato condannato per violenza sessuale aggravata.
Ma la vittima, sostenuta dalla sua famiglia, aveva scelto di andare avanti e chiedere anche un indennizzo economico.
Violenza a scuola: nessuna responsabilità?
Oggi la ragazza sta bene, lavora, è sposata e aspetta un figlio, ma soffre ancora di ansia e, nei primi tempi dopo il fatto, ha subìto delle conseguenze non da poco, con sintomi assimilabili allo stress post-traumatico, certificati dai medici con 18 mesi di “inabilità temporanea” (come riportato dal quotidiano Libero). L’indennizzo viene chiesto al violentatore, alla sua famiglia e al Ministero dell’Istruzione, visto che la violenza è avvenuta all’interno della scuola frequentata dai due ragazzi. I giudici stralciano subito la posizione del Ministero e della scuola, mentre il processo va avanti nei confronti degli altri soggetti. E già qui sorge una prima domanda: possibile che la scuola, ovvero l’istituzione a cui una famiglia “affida” i suoi figli per una gran parte della loro giornata, non sia ritenuta in alcun modo responsabile del fatto? Può un genitore pensare che sia normale che una figlia incorra in una violenza “da strada”? Su questo versante, la sentenza non offre alcuna risposta.
A pagare siano anche i genitori di chi ha commesso il fatto
L’arrivo della sentenza, infatti, sancisce un risarcimento di circa 27mila euro da pagare non solo da parte del ragazzo, ma anche dei suoi genitori. Il giudice del Tribunale di Firenze, infatti, ritiene che questi ultimi siano condannabili per “culpa in educando”, secondo quanto prevede l’articolo 2048 del Codice Civile. Sostanzialmente, viene riconosciuta la responsabilità dei genitori per non aver fornito l’educazione corretta al figlio, quella “prima educazione” che può nascere solo tra le mura di casa e viene data prima di tutto con l’esempio.
Plaude alla decisione del Giudice il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che su X scrive: “Molto importante questa decisione giurisprudenziale che chiama i genitori a rispondere civilmente per violenze gravi commesse dai figli. Va nella stessa direzione della norma contenuta nel ddl sulla #condotta che prevede multe per chi aggredisce gli insegnanti”.
Il commento dell’ufficio diritti di Ai.Bi.
La sentenza applica un duplice principio: quello della minore età e, di conseguenza, quello della solidarietà dei genitori nel rispondere dei fatti illeciti del proprio figlio minorenne a norma del citato art 2048 cc.
Precisiamo che la responsabilità penale è personale e ciò vale anche per i minorenni; nel caso di specie si tratta proprio di un reato, quindi l’aspetto penale della vicenda non riguarda i genitori, ma questi vengono coinvolti per l’aspetto civile, che corrisponde all’aspetto economico.
Un minorenne non è in grado di rifondare la parte danneggiata poiché non ha quasi mai capacità economica, ecco il motivo per cui subentrano i genitori dello stesso quali responsabili in solido per il risarcimento come prescrive l’art. 2048 c.c comma 1.
Questo principio nemmeno tanto malcelato è alla base dell’art citato, ma lo stesso articolo al comma 3 prevede una scriminante nella dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto.
Non sembra che tale comma sia stato considerato, poiché la scuola (nella figura del Ministero dell’Istruzione), luogo in cui la violenza si è perpetrata, è stata sollevata da ogni responsabilità.
La sentenza a ben vedere non ha giudicato il comportamento dei genitori rispetto al fatto in sé, ma ha voluto giudicare sul ruolo educativo degli stessi accusandoli di non aver “vigilato sul comportamento del figlio, attraverso una corretta educazione fondata sul rispetto degli altri e delle donne in particolare», come si legge nella sentenza.
Appare inverosimile che un Tribunale, giudicando su un fatto specifico, abbia potuto effettuare una valutazione complessiva dell’operato dei genitori, poiché parlare di educazione non vuol dire limitarsi a una valutazione di alcuni comportamenti o aspetti del rapporto genitori figli, ma comporta una verifica a 360 gradi e ciò non può essere effettuato in un giudizio il cui scopo è quello di definire l’aspetto quantitativo del risarcimento. Sicuramente i genitori sono coinvolti nelle esperienze, atti e fatti dei propri figli, ma accanto a loro vi sono altri elementi e soggetti che interferiscono nello sviluppo del singolo e nella sua “educazione” indipendentemente dal comportamento dei genitori. Si pensi ai social, ai siti internet, ad altri soggetti fisici che i figli incontrano anche casualmente, tali figure non possono essere escluse dalla vita di un ragazzo adolescente.
Tra questi ulteriori soggetti istituzionalmente delegati all’educazione dei minori un ruolo preminente è dato alla scuola; il termine allievo è coniato proprio in virtù del fatto che il ragazzo per gran parte della sua vita giovanile è inserito nell’universo scolastico e la scuola ha la funzione didattica, ma anche educativa.
Il tempo che un ragazzo trascorre con i compagni di classe o d’istituto, con i professori, è spesso equivalente se non superiore a quello che passa con i familiari. Con questo non si vuole misurare il tempo, ma indicare la valenza che la scuola ha nell’educazione dei ragazzi. La scuola ha l’obbligo occuparsi dei propri studenti per il tempo che essi trascorrono negli istituti; ciò è previsto dalla legge al già citato 2048 c 2 cc.
La dottrina ha poi coniato due diversi tipi di responsabilità in educando e in vigilando, ma l’art. 2048 cc prevede una responsabilità per i soggetti che hanno la vigilanza del ragazzo nel momento in cui commette l’atto illecito. Nel caso concreto il fatto è accaduto a scuola e non si comprende perché, salvo l’applicazione del comma 3 del medesimo articolo, la scuola sia stata preliminarmente esclusa da ogni responsabilità.
I ragazzi durante le lezioni sono sotto la vigilanza della scuola e dei relativi insegnanti e a questi compete l’istruzione da espletarsi in modalità di educazione alla vita e alla critica, ma anche di vigilare sugli alunni.