Glomerulosclerosi focale segmentale: dal Gaslini di Genova un nuovo approccio terapeutico

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Si tratta di una malattia rara e cronica che può mettere a serio rischio la sopravvivenza dei pazienti

La glomerulosclerosi focale segmentale – anche nota come FSGS, dall'inglese Focal Segmental GlomeruloSclerosis – è un’infiammazione dei glomeruli renali che comporta una sindrome nefrosica. Ha delle caratteristiche istologiche specifiche: è caratterizzata da sclerosi, cioè cicatrici, che coinvolgono i glomeruli; è focale, cioè colpisce inizialmente solo alcune strutture; è segmentale, cioè disomogenea. In una percentuale ridotta di casi, questa malattia può portare all’insufficienza renale, che si traduce nella necessità di un trapianto di rene. Il problema più grave è che la FSGS può recidivare subito dopo il trapianto in circa la metà dei casi (50-60%), rendendo l’organo di nuovo inefficiente. Ne abbiamo parlato con il dott. Andrea Angeletti, dell’Unità di Nefrologia dell'Istituto Giannina Gaslini di Genova.

Dott. Angeletti, ci può descrivere come si manifesta la glomerulosclerosi focale segmentale?

La FSGS colpisce i glomeruli, che sono le piccole unità funzionali dei reni: si tratta di piccoli filtri a forma di sfera che hanno la funzione di depurare l’organismo. Ognuno contribuisce a formare un filtro che trattiene le sostanze utili all’organismo ed elimina ciò che non serve. Nel caso di malattia, una parte di questi glomeruli va incontro a cicatrizzazione e perde la loro funzione. Quando questo accade, viene rilevata proteinuria, cioè la presenza di proteine nelle urine. Il primo episodio che porta al sospetto di malattia è il gonfiore del volto e delle gambe, che manifestano i bambini proprio a causa della proteinuria che attira acqua ai tessuti. Il primo controllo che viene fatto in questi casi è di solito con l’allergologo, perché in caso di gonfiore il primo pensiero è una possibile reazione allergica. Nel percorso diagnostico, a un certo punto viene prescritto un esame delle urine che evidenzia la proteinuria, e da qui si iniziano le valutazioni del caso.

Qual è la causa scatenante?

Si pensa che alla base di tutto ci sia un cosiddetto “fattore circolante”, cioè che ci sia qualcosa che circola nell’organismo e che, arrivando al rene, causa il danno. Ancora non è chiaro cosa sia o come funzioni, ma si sta studiando. Per ora sappiamo che non è qualcosa che dipende dal rene o dall’ambiente, ma al paziente stesso. Questo è stato dimostrato con un esperimento un po’ empirico fatto qualche anno fa a Chicago: un bambino in dialisi per glomerulosclerosi focale segmentale ha subito un trapianto di rene e la malattia si è ripresentata subito dopo. Il rene è stato quindi ri-trapiantato in un altro bambino con insufficienza renale non causata dalla FSGS. Il rene non ha avuto problemi nell’altro organismo: questa è stata la prova che a scatenare la malattia è qualcosa che è nel paziente.

Come viene gestita la presa in carico delle persone con FSGS?

Nel momento in cui ci ritroviamo di fronte a un paziente con FSGS ci sono due situazioni che ancora non riusciamo a spiegare a livello biologico. Nella maggior parte dei casi è sufficiente somministrare cortisone e la situazione rientra completamente, senza altre complicanze. Altri casi, purtroppo, prendono una piega più impegnativa, che prevede una escalation di terapie che va dal cortisone ai farmaci immunosoppressivi, fino agli anticorpi monoclonali, che possono avere più o meno successo. Come si può dedurre dall’approccio terapeutico, la FSGS è un disarrangiamento del sistema immunitario. Negli ultimi 20 anni, una terapia che ha rivoluzionato il trattamento dei pazienti gravi è rituximab, un anticorpo monoclonale che colpisce una vasta gamma delle sottopopolazioni delle cellule B, che sono le cellule responsabili della produzione degli anticorpi. È un trattamento che somministriamo spesso, sia pre- che post-trapianto. Se la malattia si ripresenta dopo il trapianto, il trattamento standard prevede la plasmaferesi 2-3 volte a settimana e la terapia con rituximab. Questi trattamenti espongono il paziente a un rischio elevato di infezioni: il trapianto, infatti, prevede la terapia antirigetto, il rituximab è un immunosoppressore e la plasmaferesi toglie dal sangue le poche cellule del sistema immunitario rimaste in circolo. Se il trattamento non fa effetto, il paziente non vede differenze tra prima e dopo il trapianto: prima faceva la dialisi 3 volte a settimana per 4 ore a seduta, con la plasmaferesi è sostanzialmente uguale, con l’aggravante di aver subito un trapianto. La qualità della vita ne risente enormemente.

A che età può presentarsi la malattia?

Nella maggior parte dei casi si tratta di pazienti pediatrici e giovani adulti, dato che la malattia colpisce nelle prime due decadi con età di insorgenza variabile, ma è importante sottolineare che ci sono anche casi di FSGS in età adulta. Il trattamento è lo stesso e le difficoltà che incontriamo nel percorso di cura anche. Il Gaslini di Genova è un noto centro pediatrico ma essendo anche uno dei centri di riferimento in Italia per questa malattia, seguiamo anche tanti adulti.

Dottore, in quanti casi la FSGS può portare a insufficienza renale e trapianto di rene?

Il 5-10% di queste sindromi nefrosiche va incontro a insufficienza renale cronica e terminale perché i glomeruli, se non si riesce a contenere il danno, smettono di funzionare e portano il rene al collasso. L’insufficienza renale si traduce nella necessità di una terapia sostitutiva, sia essa dialisi o trapianto di rene. La cosa drammatica di questa malattia è che può recidivare subito dopo l’operazione nel 50-60% dei casi. Di conseguenza, una persona si ritrova ad affrontare il calvario subito con i reni nativi anche con il rene trapiantato. Questo crea un altro problema, dato che per il rene abbiamo la possibilità di fare un trapianto da donatore vivente, che tendenzialmente è un parente prossimo (genitori, fratelli, sorelle): i pazienti, quindi, spesso lo rifiutano perché i parenti che potrebbero donare l’organo andrebbero incontro a un’operazione complessa per poi rischiare di veder fallire, in poco tempo, l’organo donato.

A maggio avete condiviso la notizia di uno studio, pubblicato sulla rivista American Journal of Transplantation e di cui lei è un autore, per una nuova terapia che prevede l’utilizzo di una combinazione di anticorpi monoclonali: rituximab e daratumumab.

Rituximab la sua efficacia l’ha dimostrata, e questo è stato di grande aiuto nella gestione dei pazienti con FSGS in questi ultimi anni. Abbiamo imparato a conoscerne e gestirne gli effetti avversi e ad utilizzare delle dosi minime, rispetto ai protocolli per i quali queste terapie sono state inizialmente utilizzate. Questo farmaco colpisce il CD20, una proteina espressa dalla maggior parte delle cellule B, ma non da tutte le cellule del sistema immunitario. Le plasmacellule, cioè cellule che producono degli anticorpi che vivono più a lungo, non esprimo il CD20 e non vengono colpite dal farmaco, restando così espresse. La nostra idea è stata quella di aggiungere alla terapia un farmaco, il daratumumab, che prende di mira anche le plasmacellule. Anche questo è un farmaco noto da decenni e utilizzato per il trattamento del mieloma multiplo. L’associazione di terapia ci permette di colpire più ad ampio spettro. Abbiamo fatto un primo studio, pubblicato di recente, su 5 pazienti che avevano fatto il trapianto ed erano dipendenti da plasmaferesi oppure che avevano fatto il trapianto molto di recente e erano appena andati incontro a recidiva. Somministrando loro questa terapia siamo riusciti a sganciarli dalle plasmaferesi e a garantirgli di andare avanti solo con il trapianto. A partire da questa nostra prima esperienza, l’obiettivo è quello di ampliare la casistica grazie a una sperimentazione clinica internazionale.

Dott. Angeletti, ci può spiegare meglio cos’è il “fattore circolante” e se ci sono studi in corso?

Negli ultimi 2-3 sono molto aumentati gli studi sul fattore circolante, specialmente quelli che riguardano gli anticorpi anti-nefrina. La nefrina è una proteina che tiene unite cellule dei glomeruli ed è molto importante. Se mutata, la proteina difettosa può causare malattie, ad esempio la nefropatia finnica. L’idea è che ci sia un fattore circolante che va a colpire questa proteina, inficiandone la funzione e causando un disarrangiamento strutturale dei glomeruli. Di recente c’è stata una pubblicazione su The New England Journal of Medicine dal gruppo tedesco di Tobias Huber, con cui noi collaboriamo, che ha dimostrato l’esistenza degli anticorpi anti-nefrina. Quello che sembra anche dai nostri dati è che la presenza di questi anticorpi spieghi solo i casi di FSGS che vanno meglio e non quelli più gravi. Siccome non sappiamo ancora biologicamente e patologicamente quali siano le differenze tra i pazienti che vanno bene e quelli che vanno male, l’unica distinzione che abbiamo è tra quelli che rispondono al cortisone e quelli che non rispondono. E per un medico questo è terribile perché partiamo dalla fine: mi piacerebbe dare la terapia in base alla patologia, invece dobbiamo dare la terapia e, in base alla risposta dell’organismo, definire la malattia. L’idea di avere questi anticorpi anti-nefrina potrebbe aiutare a identificare i casi che rispondono al cortisone. È ancora tutto in fase di rodaggio, ma, insieme all’approccio terapeutico da noi proposto, è indubbiamente la novità più di rilievo degli ultimi anni nella ricerca sulla glomerulosclerosi focale segmentale.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Rachele Mazzaracca)