Fonte immagine – COP 16: Global Action for Biodiversity
Ufficio policy Focsiv – Nell’ambito del grande tema dello sviluppo sostenibile con particolare riguardo alla tutela della biodiversità e dei diritti dei popoli indigeni, contro le operazioni di land grabbing, riportiamo di seguito quanto affermato nel documento 2024 United Nations Biodiversity Conference – SBI 5 / CBD COP 16 / CP-MOP 11 / NP-MOP 5, elaborato in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità che si tiene dal 21 ottobre al 1 novembre 2024 a Cali, in Colombia.
La biodiversità è essenziale per il benessere dell’umanità e la salute del pianeta: sostiene la nostra alimentazione, fornisce energia e medicine, purifica l’aria e l’acqua e ci protegge dai disastri naturali, oltre a contribuire all’equilibrio climatico ed essere fonte di ispirazione per la creatività umana. Eppure, nonostante l’importanza della biodiversità sia ampiamente riconosciuta, la sua perdita continua a un ritmo allarmante, minacciando la sopravvivenza di tutte le forme di vita sulla Terra.
Il Quadro Globale sulla Biodiversità (GBF) Kunming-Montreal del 2022 rappresenta una risposta internazionale a questa crisi: attraverso l’adozione di traguardi da raggiungere entro il 2030 e obiettivi ambiziosi per il 2050, il GBF mira a invertire la rotta rispetto a tale perdita di biodiversità, affrontando le cause dirette e indirette del declino ambientale. Tra i suoi obiettivi principali vi sono la conservazione, l’uso sostenibile della biodiversità e la condivisione equa dei benefici derivanti dalle risorse genetiche.
Convocata con il tema “Pace con la Natura”, la 16ª Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (COP 16) è la prima grande riunione globale dopo l’adozione del GBF. Essa riunisce i principali organi della Convenzione e i relativi protocolli in discussione:
- il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza (CP-MOP 11), che regolamenta l’uso degli organismi geneticamente modificati (OGM) per garantire la sicurezza ambientale e prevenire i rischi per la biodiversità,
- il Protocollo di Nagoya sulla condivisione dei benefici (NP-MOP 5), che assicura che le comunità locali e indigene ricevano una giusta ricompensa per l’uso delle risorse genetiche provenienti dai loro territori.
Questi incontri sono stati preceduti dalla quinta riunione dell’Organo Sussidiario per l’Attuazione (SBI 5), che ha discusso la preparazione e l’allineamento dei piani d’azione nazionali per la biodiversità (NBSAP) con il GBF.
La COP 16 offre, dunque, l’opportunità di esaminare l’attuazione del GBF e di rafforzare il suo monitoraggio. Tra i principali punti da trattare sono previsti:
- il finalizzare il meccanismo di condivisione dei benefici derivanti dalle informazioni sulle sequenze digitali delle risorse genetiche (DSI),
- l’affrontare questioni globali come l’integrazione della biodiversità nelle politiche nazionali,
- la biodiversità marina, la biologia sintetica e il legame tra biodiversità e cambiamenti climatici,
- lo sviluppo di un programma di lavoro per garantire i diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali.
Quest’ultimo punto è un tema centrale (vedi Maggiori finanziamenti UE per la biodiversità e i diritti dei popoli indigeni). Le popolazioni indigene giocano un ruolo cruciale nella conservazione della biodiversità. Circa il 63% delle aree ricche di biodiversità è gestito da comunità indigene, e riconoscere i loro diritti fondiari potrebbe incrementare significativamente la protezione delle foreste e degli ecosistemi critici. Le pratiche tradizionali di gestione della terra e il rispetto per l’ambiente di queste popolazioni hanno dimostrato di essere strumenti efficaci per ridurre la deforestazione e preservare la biodiversità (vedi Gli indigeni per la difesa della biodiversità).
Tuttavia, le politiche di conservazione escludenti, che ignorano i diritti di queste comunità, rischiano di portare a conflitti, degrado ambientale e violazioni dei diritti umani.
Alla COP 16, dove uno dei principali obiettivi è il cosiddetto “30×30” (la protezione del 30% delle terre e delle acque del pianeta entro il 2030), è quindi fondamentale che i leader globali integrino il riconoscimento dei diritti indigeni nei loro Piani d’azione per la biodiversità (NBSAP), garantendo che gli sforzi di conservazione siano equi e rispettosi, e non slogan privi di sostanza.
Serve un consenso libero, previo e informato delle popolazioni (vedi La lotta dei Maasai per la terra e la sopravvivenza), aumentare i finanziamenti diretti, integrare le conoscenze tradizionali nelle pratiche di gestione dei territori, rafforzare i programmi di titolazione delle terre e implementare meccanismi di monitoraggio trasparenti (vedi Dichiarazione della società civile sulle compensazione e sui crediti per la biodiversità).
Organizzazioni come la Rainforest Foundation US sono in prima linea nel sostenere i diritti fondiari delle popolazioni indigene: attraverso la collaborazione con le comunità locali, ha contribuito al riconoscimento legale di oltre 42 milioni di acri di foresta pluviale, promuovendo la protezione della biodiversità e garantendo un futuro sostenibile per queste regioni. Alla COP16, si prevede che la RFUS continui a spingere per politiche che rafforzino la governance indigena e la protezione degli ecosistemi critici.
Per concludere, quindi, la COP16 rappresenta un’opportunità senza precedenti per correggere gli errori del passato e garantire che le politiche globali di conservazione siano inclusive e rispettose dei diritti dei popoli indigeni. Solo attraverso il riconoscimento dei loro diritti fondiari e la loro piena partecipazione nei processi decisionali, il mondo potrà sperare di raggiungere gli ambiziosi obiettivi di protezione della biodiversità e di mitigazione del cambiamento climatico.