Il vero Matteotti, finalmente - Partito Socialista Italiano

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di Fabio Martini

Quarantanove libri. Nel centesimo anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti il numero di volumi dedicati al martire socialista ha superato ogni immaginazione. fi già una notizia. Ma la più importante riguarda la qualità di alcuni di questi contributi, che hanno finito per riscattare finalmente un paradosso: per decenni Matteotti è stato un personaggio formalmente celebrato come pochi altri – gli sono state dedicate 3992 strade – ma al tempo stesso è rimasto sconosciuto nella sua essenza umana e politica. Nei cento anni seguiti al delitto, la morte aveva oscurato la sua vita. Una morte troppo innaturale per non diventare essa stessa memorabile, ma che al tempo stesso ha finito per oscurare l’intera figura di Matteotti. Un socialista intransigente: nella scelta riformista. Un socialista che nella difesa dello Stato liberale, fu più liberale dei liberali (dopo la marcia su Roma Einaudi, Giolitti, Croce votarono la fiducia al primo governo Mussolini) e al tempo stesso fu tacciato di legalitarismo e di viltà dai comunisti, prima e – incredibilmente – anche dopo la morte. Giacomo Matteotti è stato scomodo in vita per tanti e proprio per questo nei decenni successivi misurarsi con la sua identità, avrebbe costretto a chiudere troppi conti restati aperti. A sinistra, a destra, al centro. Certo, non si partiva dall’anno zero. Nel passato storici di vaglia (Arfè, Casanova, Caretti, Degl’Innocenti, Tamburrano) avevano contributo a ben definire la fisionomia politica di Matteotti ma nella memoria collettiva erano rimaste poche tracce. Tra i 49 libri sono comprese biografie davvero belle, come quelle scritte da Federico Fornaro, Gianpaolo Roma- nato, Vittorio Zincone, il racconto di Concetto Vecchio sull’oblio di Matteotti e meritano attenzione alcuni approfondimenti su aspetti particolari e rilevanti. Alberto Aghemo ha ripercorso l’importanza della “cultura del popolo”, dell’istruzione come leva per l’emancipazione non solo materiale. Francesco Tundo ha raccontato la concezione di Matteotti sul prelievo fiscale a fini di giustizia sociale. Fernando Venturini ha ridato piena dignità alla vedova Matteotti, portando alla luce una lettera del 1932 di Velia Titta che, assediata dalla polizia fascista, aveva fatto pervenire agli esuli antifascisti presenti a Parigi, una dignitosissima richiesta: un prestito in nome della “serietà del nome che portano i miei figli” e della “necessità di una educazione conforme”. Si deve in particolare a tre libri quel valore aggiunto che consente di definire il centenario un’occasione non sprecata. Antonio Funiciello, nel suo “Tempesta”, definendo l’antifascismo legalitario di Matteotti, ha sottolineato le parole “grossolane” usate da Piero Gobetti, nel tramandare il mito indimostrato di un socialista eretico e isolato nella sua parte politica: un martirologio incoraggiato dai comunisti per oscurarne il profilo socialdemocratico. Il centenario è stata anche l’occasione per approfondire il presunto movente “petrolifero” del delitto, un’ipotesi che peraltro non ha mai trovato una prova storica tangibile. Giampiero Buonomo, direttore della Biblioteca del Senato, nel suo “Sul delitto Matteotti”, ha tra l’altro pubblicato un importante documento trovato negli archivi della Banca d’Italia: un appunto manoscritto del ministro delle Finanze di Mussolini, nel quale Alberto De Stefani nei giorni cruciali del giugno 1924 definisce come “diversivo” la pista scandalistica. Una pista costruita dal governo fascista e della quale si accorse anche Pietro Nenni. Nel volume “L’assassinio di Matteotti”, una raccolta di saggi censurati dal fascismo, in uno scritto dell’agosto 1924, si legge che l’ipotesi scandalistica “è miseramente naufragata”. Matteotti fu eliminato per una ragione semplice e grande: era il più irriducibile avversario politico del fascismo. Per cento anni si è celebrato il mito del martire, nel 2024 è tornato il Matteotti che conobbero i contemporanei. Tutti – e figurarsi i martiri – hanno diritto ad essere ricordati per quel che furono. Per la loro essenza umana.

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