Diario di bordo – Il giardino da salvare - Slow Food - Buono, Pulito e Giusto.

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Tra i temi trattati da Slow Food nei suoi eventi, sempre più centrale quello del paesaggio. Aranceti, grani coltivati in quota avvantaggiandosi di un sistema di muretti a secco, tratturi, ma anche parchi archeologici subacquei…

Questi sono gli esempi presi in considerazione nella conferenza “Il giardino da salvare” di Mediterraneo Slow, moderata da Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food.

«Il paesaggio è tutto ciò che rende l’interazione uomo natura un’esperienza meravigliosa. Un paesaggio, inoltre, non è solo quel che possiamo apprezzare con gli occhi, ma un patrimonio di esperienze e conoscenze. Non è un qualcosa di statico, ma in continua mutazione, frutto della continua interazione tra uomo e natura». Le interazioni, non sono sempre benefiche, ma è a queste che si è voluto guardare nel corso della serata.

L’essere umano e la trasformazione dell’ambiente

Leandro Ventura, direttore dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, ha ribadito che, quando parliamo di paesaggio, parliamo di un ambiente trasformato dall’uomo.

Ma come viene trasformato l’ambiente? Che tipo di interazione c’è? Tra i paesaggi e gli esempi di cui si occupa l’ICPI molti riguardano il rapporto tra comunità costiere e pesca, ma anche le processioni a a mare. « Trasformare il paesaggio sulla base dei saperi legati alla cultura immateriale è frequente: ad esempio, i tratturi sono vie di comunicazione straordinarie, che servivano per lo spostamento non solo di mandrie, ma anche di pellegrini».

Il paesaggio è un insieme di conoscenze, religioni, manufatti, e analizzandolo possiamo osservare come nel tempo l’interazione che è venuta a crearsi tra uomo e ambiente sia stata un’interazione positiva.

L’arte dei muretti a secco

A seguire ha parlato Antonino Crupi (azienda Terra di Santo Stefano, Santo Stefano di Briga, Messina, rete Slow Grains) che in provincia di Messina ha ripristinato antichi terrazzamenti per coltivarvi grani antichi e che per questo viene spesso definito “agricoltore eroico”.

«Non possiamo definire una città come turistica, o come sede di civiltà, se non ci prendiamo cura del paesaggio che abbiamo accanto» inizia a dire, per poi esplicitare gli aspetti salienti del suo lavoro. «Il lavoro fatto dai contadini nei secoli, coi muretti a secco, è stato una sfida alla gravità, una voglia di creare pianure sospese laddove c’erano pendenze che non potevano essere affrontate neppure dagli stambecchi».

«Il muretto a secco è conoscenza delle tecniche di incastro. Io ho appreso la tecnica da mio nonno, pur non arrivando ai suoi livelli. Quando costruivo i muretti con mio nonno – i cui muretti sono in piedi da tantissimi anni e sono costruiti con pietre locali, irregolari nelle forme e nelle dimensioni, a lui non andava mai bene la pietra come la mettevo io. Il muretto a secco non ha secondi nel lavoro, è opera di una persona soltanto». È come fosse la sua firma.

I muretti a secco sono un’opera di ingegneria, un’opera certosina di costruzione, e per realizzarli bisogna avere un altissimo livello di specializzazione. Una specializzazione che, purtroppo, è sempre più rara, una conoscenza sempre meno diffusa.

La costruzione di un muretto a secco è un lavoro di testa, di resistenza, di conoscenza. Per questo è importante che Antonio lo abbia appreso da suo nonno, e che questa conoscenza sia promossa e sostenuta, anche dalla politica, perché è un fondamentale presidio del paesaggio, un’assicurazione per la sua tenuta, per il suo benessere.

Gli agrumeti vista mare

Annalisa Palanga è produttrice del Presidio degli agrumi di Palagiano, a circa 900 metri dal Mare Ionio. La sua terra, e molte delle conoscenze che ha le ha ereditate, come è accaduto nel caso di Antonino, dai nonni che «si resero conto di quanto questo ambiente, questa terra fosse favorevole per l’accrescimento delle piante  A me piace definire la mia terra la “culla”, la parte terminale del Parco delle Gravine».

La coltivazione degli agrumi, qui, è legata alla presenza nel territorio palagianese delle cosiddette lame: solchi carsici poco profondi scavati dall’acqua, tipici del paesaggio pugliese, le lame sono la parte terminale delle gravine (incisioni più profonde con pareti ripide) e costituiscono il bacino naturale di scorrimento delle acque piovane.

Un paesaggio trasformato, un luogo di biodiversità – clementine, arance e limoni – e di bellezza.

Non sono le perle a fare la collana, è il filo

Rita Auriemma, archeologa, professoressa associata presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, insegna archeologia subacquea presso la Facoltà di Beni Culturali. Nel suo intervento mostra come il tema del paesaggio sia un elemento dinamico. «Flaubert diceva che non sono le perle a fare la collana, è il filo. Il paesaggio è il filo, il tessuto connettivo. I monumenti, le grandi opere, non si spiegano se non si guarda al contesto in cui sono inseriti, se non si guarda al paesaggio nel suo complesso».

E tra tutti i paesaggi, secondo Auriemma: «I paesaggi costieri, subacquei, sono i più camaleontici, i più dinamici, che cambiano anche nell’arco della breve vita di un uomo. A Porto Cesareo stiamo indagando una serie di insediamenti, e stiamo trovando tantissimi reperti protagonisti di questo paesaggio subacqueo, di una sorta di tuffo lungo 3000 anni. Compito dell’archeologia, è far riemergere saperi antichissimi, che permeano i luoghi: anfore africane, oggetti, vasi per il vino, la salagione».

Ci immergiamo anche noi con un tuffo nella geoarcheologia, cercando di comprendere le interazioni tra esseri umani e i processi naturali in paesaggi che cambiano, che di continuo si modificano. Ed è un viaggio potenzialmente bellissimo.

Mediterraneo Slow si svolge dal 13 al 15 giugno nelle vie e nelle piazze del centro di Taranto: ti aspettiamo! #MediterraneoSlow2025

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