Il 19 marzo 2025 una giuria di 9 persone ha raggiunto un verdetto nella causa intentata da Energy Transfer, colosso del trasporto petrolifero e operatore dell’oleodotto Dakota Access contro Greenpeace.
La onlus dovrà pagare un risarcimento di più di 660 milioni di dollari per i danni causati a Energy Transfer, oltre alle accuse di diffamazione, violazione della proprietà privata, disturbo, cospirazione civile e altri illeciti. Una somma di denaro che fa sgranare gli occhi, soprattutto se si pensa ai soggetti coinvolti messi in contrapposizione, chi dalla parte dell’ambiente e chi dalla parte del denaro.
Per rispondere alle pesanti accuse mosse contro Greenpeace, è stata indetta la campagna #WeWillNotBeSilenced e una raccolta firme per evitare che questo processo finisca nel silenzio, come vorrebbe l’attuale presidente USA che ha già eliminato parole come “cambiamento climatico” dai siti web governativi.
Una causa che affonda le radici nel territorio statunitense e nella volontà da parte delle popolazioni native di difenderlo a tutti i costi. Questo processo, infatti, si riferisce alle proteste avvenute tra il 2016 e il 2017 a Standing Rock, la sesta riserva nativa americana più grande degli Stati Uniti, occupata dalla tribù Sioux, riguardo alla costruzione del Dakota Access Pipeline (DAPL).
Il DAPL è un oleodotto che trasporta il petrolio dal giacimento di Bakken in North Dakota, fino alla costa del Golfo. Dal 2008, gli Stati Uniti sono diventati il più grande produttore di petrolio di sempre. Questo ha portato alla costruzione massiccia di impianti di estrazione, oleodotti ed altre strutture che distruggono e inquinano i territori in cui si trovano.
Non è una storia nuova quella dell’espropriazione forzata delle terre native, come ricorda il Presidente della tribù Sioux del North Dakota Dave Archambault : “Che si tratti di oro dalle Black Hills o di energia idroelettrica dal Missouri o di oleodotti che minacciano la nostra eredità ancestrale, le tribù hanno sempre pagato il prezzo della prosperità dell’America”.
Nel 2016 sono iniziate le proteste contro la costruzione del DAPL da parte dei Sioux istituendo degli accampamenti lungo il corso del fiume con alcuni giovani “Protettori dell’Acqua” e cercando di far sentire la loro voce attraverso varie manifestazioni.
Alle iniziative, insieme a Greenpeace hanno partecipato decine di migliaia di persone e centinaia di nazioni tribali, richiedendo il blocco del DAPL. Tutto sembrava quasi funzionare fino all’elezione di Donald Trump nel 2016, finanziata con una somma di 250 mila dollari dal CEO di Energy Transfer. Trump ha subito approvato la costruzione dell’oleodotto e nel 2017 il “Black Snake” come viene chiamato dai nativi riferendosi ad una leggenda locale, è stato terminato.
Le proteste non si sono mai fermate e la tribù Sioux di Standing Rock ha continuato a chiedere giustizia, facendo proseguire la causa fino ad un verdetto del giudice federale che nel 2020 ha ordinato all’Army Corps un report sull’impatto ambientale dell’oleodotto, ancora in bozza.