AI e curiosità

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25/09/2025

Beniamino Buonocore

Le AI sono un'opportunità di crescita o di annichilimento della capacità di apprendere?

Una premessa per il lettore: non ho la risposta, ma una serie di dubbi.

Parto da una considerazione di carattere generale: i processi di apprendimento hanno una loro struttura: un interesse per un tema (uno qualsiasi), la curiosità, la ricerca di informazioni, l’apprendimento dell’informazione e la sua trasformazione in competenza.

Il punto di partenza di ogni apprendimento è la percezione di una necessità informativa. Si manifesta quando ci rendiamo conto di una discrepanza tra ciò che sappiamo e ciò che desideriamo o sentiamo di dover sapere.

Il passaggio successivo vede attivarsi la curiosità come risposta emotiva e motivazionale al gap informativo. È il "desiderio di sapere" che ci spinge ad agire per colmare quella lacuna.

Una volta che la curiosità ci ha motivati, entra in gioco l'attenzione. Poiché le nostre risorse cognitive sono limitate, non possiamo elaborare tutte le informazioni disponibili. L'attenzione agisce come un filtro, un riflettore che la curiosità dirige selettivamente verso le fonti di informazione più promettenti per colmare il nostro gap di conoscenza.

L'apprendimento è il risultato finale di questo processo. Quando l'attenzione, guidata dalla curiosità, si concentra sulle informazioni pertinenti, il cervello inizia il lavoro di codifica. L'apprendimento non si ferma alla semplice memorizzazione di fatti (memoria dichiarativa). Il suo scopo ultimo è la skill acquisition, l'acquisizione di competenze, ovvero la capacità di applicare la conoscenza per risolvere problemi.

Questo archivio di conoscenze ed esperienze procedurali diventa la nostra base per il futuro. Quando ci troviamo di fronte a una nuova situazione, non partiamo da zero. Il nostro cervello attinge a questo vasto repertorio per:

• Riconoscere schemi: un esperto riconosce rapidamente le caratteristiche salienti di un problema che un novizio non vede.  

• Prevedere risultati: le esperienze passate ci permettono di fare previsioni più accurate su cosa potrebbe accadere.

• Risolvere problemi in modo efficiente: applichiamo competenze acquisite a nuove sfide, trasferendo l'apprendimento da un contesto all'altro. 

In questo modo, il ciclo si chiude e si eleva. Le competenze e le esperienze acquisite formano una nuova, più ricca base di conoscenza. Questa base ci permette di identificare "gap informativi" più sottili e complessi, innescando una nuova spirale di curiosità, attenzione e apprendimento a un livello superiore.

Da questo scenario parte la domanda iniziale: le AI sono un sostengo alla curiosità, ovvero al processo di apprendimento, o sono un limite innescando il cosiddetto “offloading cognitivo”, ovvero quel processo per cui la mente decide di non affrontare il carico cognitivo utilizzando strumenti esterni?

È una domanda importante e la risposta non è così scontata.

Perché, da una parte abbiamo la situazione per cui se usata come strumento di esplorazione attiva, l'AI può essere un catalizzatore per il ciclo di apprendimento, in almeno tre modi.

a) La risoluzione dei “vuoti informativi": la teoria del "vuoto informativo" postula che la curiosità raggiunge il suo apice quando ne sappiamo abbastanza da percepire una lacuna, ma non abbastanza da colmarla. Ma se non sappiamo nulla di una qualsiasi cosa il processo non si attiva. L'AI è uno strumento utile per fornire rapidamente quella "dose di innesco" di conoscenza. Ognuno di noi, può partire da una conoscenza nulla di un argomento, porre una domanda generale all'AI e, in pochi secondi, ottenere le informazioni di base necessarie per iniziare a percepire le lacune più specifiche e interessanti. In questo senso, l'AI non elimina la curiosità, ma la rende più accessibile e mirata, trasformando un "abisso di ignoranza" in un "vuoto informativo" gestibile e stimolante.  

b) Riduzione dell'attrito nell'esplorazione: il framework: Prediction, Appraisal, Curiosity, Exploration (PACE) evidenzia che la curiosità motiva il comportamento di ricerca di informazioni (esplorazione). Tradizionalmente, questa fase può essere lunga e frustrante, anche perché spesso gli approfondimenti sono assolutamente soggettivi. L’IA, dando informazioni veloci, riduce drasticamente l'attrito in questa fase. Permette di testare ipotesi, ottenere dati e confrontare concetti quasi istantaneamente, accelerando il ciclo di apprendimento. Questo consente all'utente di rimanere più a lungo nello stato di curiosità e di apprendimento attivo, senza essere scoraggiato dalla difficoltà di reperire le informazioni.  In questo aiuta anche la sensazione di gratificazione (dopamina) a dare motivazioni al cervello di affrontare il carico cognitivo.

c) L’apprendimento incidentale potenziato, una sorta di apprendimento per rinforzo che descrive il cosiddetto "vortice della curiosità", in cui uno stato di alta curiosità migliora la memoria anche per le informazioni con cui interagiamo per caso. Utilizzando un'IA, possiamo conoscere rapidamente molteplici sfaccettature di un argomento che ci incuriosisce.  

D’altra parte abbiamo il rovescio della medaglia.

La potremmo definire la “competenza a portata di click” ed è il paradosso per cui non abbiamo più bisogno di memorizzare le informazioni, ovvero le competenze, perché sappiamo che sono e saranno disponibili in qualsiasi momento con un semplice click. Ed è qualcosa di assolutamente reale, che ci mette poi nella condizione di giustificare razionalmente l’uso del “click” attribuendo al mezzo estenso la giusta dose di fiducia. Nota bene: la fiducia è qualcosa che ci permette di accettare quello che gli altri dicono e fare nostra l’informazione. Vale per le persone, vale per i brand.

IA, in sostanza, rischia di rendere inutile quei meccanismi che abbiamo visto prima che governano l’apprendimento, anche qui, almeno in tre possibili casi.

a) Chiusura prematura del vuoto informativo (che è lo stesso visto poco fa): va considerato che l’attivazione della curiosità, e di tutto il processo, non risiede solo nella risposta, ma nella predizione gratificante che prepara il cervello all'apprendimento, attivando il circuito dopaminergico e l’ippocampo (memoria). Se l'AI fornisce una risposta completa e immediata prima che lo stato di curiosità si sia pienamente sviluppato, si rischia di ottenere l'informazione senza il beneficio neurochimico, e della conseguente attivazione della memoria.

b) Un’atrofia delle competenze procedurali: sapendo che l’apprendimento trasforma la conoscenza dichiarativa ("sapere cosa") in competenza procedurale ("sapere come") attraverso la pratica. L'affidarsi costantemente all'AI per compiti diversi può impedire questa transizione. In sostanza acquisiamo la conoscenza dichiarativa, ma non sviluppiamo la memoria procedurale del processo per arrivarci. Si rischia di creare una generazione di persone che "sanno cosa" è la risposta, ma non sanno poi come produrla autonomamente, indebolendo la capacità di pensiero critico, ovvero di applicazione di quel processo ad altre situazioni. 

c) Incapacità nel tempo di riconoscere schemi e modelli e di utilizzarli e applicarli in altri contesti (e questa, va ricordato, è la base della creatività). La costruzione di schemi robusti e modelli mentali flessibili richiede uno sforzo cognitivo attivo per l'assimilazione e l'accomodamento di nuove informazioni. L’uso dell'IA, dove si accettano risposte pre-digerite senza metterle in discussione o integrarle attivamente con le proprie conoscenze pregresse, può portare a una comprensione superficiale. Si rischia di "prendere in prestito" lo schema dell'AI invece di costruire il proprio, risultando in una conoscenza fragile e meno applicabile a contesti nuovi e imprevisti.

E quindi come ci comportiamo? Siamo sicuri che la centralità della questione del rapporto tra persone e strumenti innovativi, risieda nella tecnologia di cui le AI sono solo una parte del tutto?

La centralità della questione è tutta umana, e lo sarebbe anche senza la presenza delle AI. Gli inneschi sono diversi: viviamo in una società delle performance per cui dobbiamo avere (o consegnare, tutto e subito). Viviamo in una struttura di relazioni dove il tempo (la quantità) è l’unico elemento che dà misura alle cose che facciamo (anche se chi c’è che si affanna a dichiarare il contrario). Le relazioni sono mediate dalla tecnologia (i social) che richiedono che le cose, le azioni, i comportamenti, siano in un certo modo e dove la unicità del singolo non genera valore.

È una questione di persone. È una situazione in cui tutti noi vediamo gli altri, come gli altri vedono noi, come “target”, quando in realtà siamo persone.

Tempo fa avremmo detto: “abbiamo venduto l’anima al diavolo”. La realtà è che l’abbiamo ceduta, gratis, ad un modello di relazione che fa acqua da tutte le parti.

Il bello è che l’AI strumento attivo o AI strumento che ci consuma è una questione di scelta. Un tratto umano che può fare ancora la differenza.

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