«L'Ac, anche oggi forza di speranza» - Azione Cattolica Italiana

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Un convegno in formato “sinodale” per ripensare insieme prassi formative, modelli di organizzazione associativa e percorsi di accompagnamento nella fede. Al centro della tre giorni di convegno nazionale degli educatori e animatori dei gruppi di Azione cattolica dei ragazzi, dei giovani e degli adulti, intitolato Verso l’Alto. Per una scelta educativa fedele al Vangelo e alla vita, ci sarà la riflessione sul servizio educativo nel mondo di oggi, quale “autentica vocazione” personale e comunitaria.

«La presenza di 1700 educatori parrocchiali da tutte le diocesi italiane – spiega il presidente nazionale dell’Ac, Giuseppe Notarstefano, parlando dell’incontro che si terrà da stasera a domenica 7 dicembre, al PlayHall di Riccione, – per noi è un grande motivo di gratitudine in questi tempi così faticosi per tutti».

È una buona notizia anche per la Chiesa italiana?

La notizia è che, anche in una situazione complessa come quella attuale, c’è un grandissimo “capitale” di gratuità, fatto di persone che si dedicano nelle nostre comunità al lavoro paziente dell’educazione. Un capitale che è in grado di attivare nei territori dei processi importanti per la vita di tanti ragazzi, adulti, anziani e famiglie. Il convegno è inserito nel contesto del percorso sinodale, e infatti sarà l’occasione per riflettere anche su un cambiamento di approccio nel modo in cui facciamo formazione, che ci chiede di rivedere le nostre prassi educative e le modalitàorganizzative.

Durante il convegno ci sarà spazio anche per condividere una nuova riflessione sul “progetto formativo” dell’associazione?

Sì, assolutamente. L’idea è, da un lato, lavorare con i formatori perché si rafforzi la metodologia associativa, che non può essere data mai per scontata. Infatti occorre accompagnare le persone a leggere la complessità dell’esistenza attraverso un metodo, uno stile educativo ben preciso. Dall’altro bisogna interrogarsi, come formatori, sulle grandi sfide che oggi mettono alla prova il cammino educativo, dal mondo digitale alle nuove forme di intelligenza artificiale. Non a caso, nella giornata di domenica, riprenderemo anche il tema della tutela degli ambienti sicuri e della prevenzione degli abusi. In questo ambito siamo chiamati a rendere sempre più le nostre realtà associative ecosistemi che si prendano cura soprattutto di chi è più fragile e vulnerabile.

Quali sono le altre grandi sfide educative su cui l’Ac si sta interrogando?

Stiamo vivendo due grandi sfide antropologiche, quella del progresso digitale, che ha enfatizzato l’isolamento delle persone, e quella dell’accelerazione dei ritmi della vita quotidiana. Davanti alla solitudine che può nascere dall’utilizzo senza mediazioni della tecnologia, noi continuiamo a rilanciare il valore del camminare insieme, della vita di gruppo, di una educazione alla fede che non lascia le persone da sole nella costruzione dei significati da dare alle proprie esperienze, ai problemi, alle domande. In più un mondo così accelerato toglie il tempo per coltivare la propria spiritualità e l’interiorità. Toglie il tempo per andare a fondo nelle cose, per capirle meglio, costruendo un proprio pensiero critico. Ecco, questo ha sempre cercato di fare l’Ac nelle varie epoche storiche: dare risposte alle tante sfide della vita sociale ed ecclesiale, stando sempre accantoall’uomo.

Per domani avete proposto dodici mini convegni tematici, con molti ospiti coinvolti, per approfondire i diversi aspetti della formazione: dalla spiritualità all’ecclesialità, dalla fedeltà alla mobilità, dalla cura all’inclusione… 

Abbiamo cercato, a partire da riflessioni scaturite dall’ultima Assemblea nazionale dell’aprile 2024, di proporre ambiti di approfondimento che andassero dall’attenzione al linguaggio al tema dell’inclusione, dalla formazione alla pace alla cura della cittadinanza attiva. Il fatto di aver determinato tanti ambiti, però, non significa che occorre moltiplicare le riunioni, i percorsi, le commissioni. La complessità del mondo di oggi, piuttosto, ci chiede di “tenere insieme”, di essere sempre più sensibili, capaci di costruire sintesi sempre più ampie. L’obiettivo, in tutto questo, è diventare sempre più capaci di lavorare insieme, ed è quello che vorremmo consegnare ai formatori: una “modalità” di lavoro che si nutre di una concreta corresponsabilità nell’impegno educativo.

In una società travolta da individualismo, guerre, ingiustizie sociali, l’Ac è chiamata ad educare con ancora più attenzione alla pace e alla speranza. È ancora possibile?

Io non mi chiedo se sia possibile, perché credo che sia necessario e urgente. La pace in sé stessa non è una condizione valida una volta per tutte, ma è qualcosa che si costruisce. Allora non possiamo fermarci di fronte alle difficoltà, davanti all’evidenza della guerra non possiamo dire che la pace è un’utopia. Dobbiamo continuare a lavorare in una direzione diversa e noi lo facciamo educando allo stile dell’incontro, del dialogo, lavorando per il bene dell’altro e prendendoci cura delle fragilità. Non è un caso che il Giubileo della Speranza cada proprio in questo tempo così difficile, così abitato da contrapposizioni e da violenza. Proprio «in questa società inquieta e incerta», come diceva Vittorio Bachelet, siamo chiamati ad essere «una forza di speranza».

*L’intervista a Giuseppe Notarstefano è apparsa oggi 5 dicembre su Avvenire

Coordonnées
Agnese Palmucci