Joe Marie, pescatore nel tifone - Italia Caritas

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Cammino sulla scura sabbia delle spiagge che separano il barangay (quartiere) di San Angel dal mare schivando i residui di immondizia che costellano la spiaggia. Residui portati dal tifone Kalmaegi, conosciuto come Tino dai locals.

Adesso il caldo è torrido e il sole punta dritto sulle nostre teste, ma circa 5 giorni fa non era affatto così; 5 giorni fa, più precisamente il 4 novembre, Tino si è abbattuto nel centro delle Filippine ed in particolare su Panay Island, dove attualmente vivo da più di quattro mesi, provocando alluvioni, piogge, venti devastanti, alta marea, mare in tempesta e tanta disperazione.

Ogni anno circa 20 tifoni colpiscono le Filippine ma Kalmaegi è stato più forte degli altri.

4 novembre ore 20 circa, ero a casa senza corrente elettrica da tutto il girono e fuori il vento e la pioggia facevano un rumore che non credevo potessero fare, in quel momento ho pensato: “io sono qui, nel mio appartamento di cemento al secondo piano, ma chi vive sulla spiaggia in case fatte di bamboo e lamiera, adesso, come se la passa?”.

E’ per questo che, una volta finito il tifone, ho deciso di prendere penna, blocco di carta, registratore e andare lì.

Se il mio compito qui non è quello di portare la testimonianza di chi vive una realtà che non è neanche immaginabile se non la si vede, allora qual’ è?

Cammino sulle scure spiagge di San Angel, penna, carta, registratore e tanta voglia di scoprire di più. Con me c’è Sir Altar; collega, amico e guida.

L’obiettivo è quello di trovare un pescatore che abbia voglia di condividere la sua storia con noi.

Camminiamo per qualche minuto; davanti a noi un mare calmo, sembra quasi stanco dopo giorni di rabbia e sfogo; dietro di noi le piccole abitazioni esauste dei pescatori. Muri di bamboo e tetti in lamiera danno loro la forma di una casa, esse sono poste su delle  palafitte che a poco servono quando la marea è alta e le piogge sono costanti. Dietro le case svettano le palme, gli alberi del cocco, quelle che tutti noi immaginiamo pensando ad una spiaggia tropicale, ma che qui sono ben distanti da quel sogno esotico.

Il mio sguardo cade immediatamente su una bangka, le tipiche barche filippine riconoscibili perchè ai lati presentano due lunghi bracci di bambù che servono per dare stabilità in mare.

Di fianco alla barchetta c’è il suo pescatore, che con cura e dedizione è intento ad aggiustarla dai danni provocati da Tino.

Sir Altar ed io ci avviciniamo a lui e Sir Altar gli chiede gentilmente: «May gusto ka bala nga i-share sa imo naagyan sang nag-agi ang bagyo?». Il pescatore con timidezza accetta di condividere la sua esperienza con noi.

È così che la vita di Joe Marie si interseca con la mia per l’ora successiva, due vite molto diverse fatte di privilegi diversi, ma entrambi abbiamo un forte desiderio di condividere quella che per Joe è quotidianità e quella che per me è una realtà lontana.

Joe Marie arrotola il filo di nylon che stava utilizzando per aggiustare la sua bangka e ci invita a seguirlo, ci posizioniamo nell’ombra tra due casette di bamboo qui chiamate “Bahay Kubo”,  di cui una è la sua e inizio a porgli diverse domande alle quali risponde con una voce timida ma fiera.

Comunicare con lui non è semplice dato che io non so il kinaray-a e lui non conosce bene l’inglese, ma Sir Altar conoscendo bene entrambe le lingue riesce a sopperire a questo gap comunicativo.

Siamo in piedi, Joe subito ci porge due sedie per farci stare comodi, ci accomodiamo ed io inizio chiedendogli il suo nome completo.

«Joe Marie Sungcayawon» risponde lui.

Mentre gli pongo le domande Joe tiene in braccio un bambino di circa due anni che mi guarda curioso con due grandi occhi scuri, gli domando se è suo figlio e lui mi risponde di sì, aggiunge che ne ha due, la maggiore di 14 e il piccolo di due.

Sono poi curiosa di sapere se la pesca è la sua unica fonte di reddito e  da quanto svolge questo mestiere.

 «Sì, la pesca è la mia unica fonte di reddito, ci mantengo la mia famiglia dal 2009». Risponde Joe.

Le sue risposte sono brevi ma esaustive, la voce è ancora timida ma man mano che proseguiamo lo è sempre meno.

Proseguo domandandogli se avesse delle tecniche o strategie per capire in anticipo se è in arrivo un tifone.

Joe, facendo un leggero cenno di assenso con la testa, risponde: «Spesso osservo il cielo, se le nuvole sono basse e si muovono veloci potrebbe esserci un tifone in arrivo, quindi poi, consulto il PAGASA, l’Agenzia nazionale filippina per i servizi atmosferici, geofisici e astronomici o applicazioni come Windy».

«E se il tifone è in arrivo davvero, cosa fate, come mettete in sicurezza le vostre barche, abitazioni?» gli domando.

Joe mi spiega che se il tifone non è troppo forte allora ancorano le loro barche in modo tale che il mare mosso non le porti via; ma se il tifone è potente, come nel caso di Tino, allora devono smontare le loro bangke, ovvero rimuovere i bracci di bamboo laterali e portarle via dalla spiaggia in un luogo sicuro oppure posizionarle su delle palafitte simili a quelle dove sono posizionate le loro case.

Aggiunge che mette in sicurezza anche la sua casa, ad esempio ancorando il tetto di lamiera con delle corde in modo tale che il vento non lo faccia volare via.

«Durante il tifone Tino tu e la tua famiglia vi siete rifugiati da qualche parte?»

«Sì, mia moglie e i miei due bambini si sono recati al centro di evacuazione, ovvero la scuola pubblica elementare di San Angel, io invece sono rimasto per controllare la casa e la barca».

Poi aggiunge «Nonostante nelle Filippine si verificano circa 20 tifoni l’anno, quelli forti come Tino sono sempre spaventosi, non ci si abitua mai».

Chiedo poi a Joe Marie se durante questo tifone la sua casa ha subito grandi danni.

Il suo viso si corruccia leggermente mentre mi racconta che: «Purtroppo nonostante la mia casa sia su una palafitta, la marea era troppo alta e le piogge troppo forti, l’acqua ha raggiunto il pavimento danneggiando tutta la parte inferiore della mia casa».

Osservo la sua casetta e mi accorgo che tutta la parte inferiore è fatta di bamboo e si nota come l’acqua dei giorni precedenti abbia rovinato il materiale.

Joe nota la mia curiosità e si alza mostrandomi più nei dettagli le parti danneggiate. Ma poi aggiunge sorridendo «Ma non è un problema, fra un paio di giorni tornerà come nuova, ci sto lavorando!».

Una cosa che mi sono sempre chiesta è: «come fanno i pescatori a guadagnare e quindi a sopravvivere durante i tifoni? Ovviamente il mare  è troppo mosso per uscire a pescare e a volte i tifoni durano più di un paio di giorni». Lo chiedo a Joe e lui risponde: «Beh, solitamente quando la pesca va bene, una grande parte dei soldi guadagnati la mettiamo da parte in vista di momenti peggiori, come in questo caso…» poi aggiunge «però quando il tifone dura di più dei soldi che ho messo da parte, allora, dobbiamo rivolgerci ai centri di evacuazione, sperando che abbiano abbastanza cibo».

Poi mi spiega che durante la stagione delle piogge il suo guadagno è circa la metà rispetto a quello che guadagna durante la stagione secca, che qui chiamano estate.

«Quando tornerai a pescare Joe?».

«Appena avrò finito di riparare la mia bangka, probabilmente uscirò in mare domani all’alba».

Arriva suo figlio che inizia a tirarlo dal bordo della maglia chiamandolo, capisco che è il momento di salutare Joe. Lo ringrazio del tempo che molto gentilmente ha deciso di dedicarci, nonostante fosse intento a fare altro certamente più utile per lui.

Dopo aver salutato Joe e suo figlio, sir Altar ed io facciamo ancora qualche metro sulla caldissima spiaggia scura di San Angel e prima di lasciarcela alle spalle, mi volto un’ultima volta, come a voler cogliere gli ultimi dettagli di quella realtà e vedo tanti altri pescatori come Joe Marie intenti a sistemare le loro Bangke.

Mentre mi allontano sempre di più mi rendo conto del valore dell’incontro e dello  scambio appena avuto.

Mi ha permesso di entrare in contatto con una realtà che mai avrei pensato di conoscere così da vicino.

Scrivendo questo breve articolo ho l’onore di poterne essere portavoce e fare da tramite fra due mondi così lontani e diversi.

Grazie Joe ti auguro tante albe di mare calmo.

*Foto di Silvia Minnelli

Aggiornato il 09/12/25 alle ore 10:04

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