Addio Marco Benedetto, giornalista-manager che ha fatto grande Repubblica | Ordine dei Giornalisti del Lazio

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13 Dicembre 2025

di Carlo Picozza

Se n’è andato nel sonno: non si è svegliato il giorno dello sciopero di Repubblica. Dava peso alle coincidenze, Marco Benedetto che del quotidiano e del suo originario gruppo editoriale – L’Espresso – è stato amministratore delegato. Così, si è risparmiato le incognite sul futuro di quella creatura di carta che lui, insieme con il direttore Eugenio Scalfari, il principe Carlo Caracciolo, la redazione tutta, i poligrafici, i tecnici e gli amministrativi, aveva nutrito di buone scelte e fatto diventare grande.
Ritroso, Marco Benedetto appariva financo ruvido a quanti non lo conoscevano. La sua genovesità, asciutta e rigorosa, era capace, in realtà, di esprimersi in gesti speciali di dolcezza e magnanimità, con un sorriso di soddisfazione, timido ma guizzante, che a lui si apriva dal cuore.
Benedetto è stato costantemente teso alla sintesi. Cercava l’essenza di ogni accadimento. La grammatica e il metodo giornalistici lo hanno accompagnato anche nel mestiere di manager. Ha portato il suo stile schivo ed efficace alla Stampa di Torino e nel gruppo L’Espresso dalla fine degli anni Ottanta, passando per la redazione dell’Ansa, la corrispondenza da Londra e il timone dell’ufficio stampa della Fiat, fianco a fianco con i fratelli Agnelli, Gianni e Umberto, e con Luca Cordero di Montezemolo, suo amico fraterno.
Del “suo” giornale e di altri, conosceva vicende antiche e dinamiche in atto, sapendone valutare i risvolti con freddezza e lucidità.
Pure nelle vesti del manager, Marco Benedetto non ha mai dismesso quelle del giornalista. E del giornalismo ha fatto una delle sue ragioni di vita anche dopo l’uscita dal gruppo, nel 2008. Un anno ancora e varò Blitz, adattando una parte del suo castello medievale, in Trastevere, a redazione di uno dei primi quotidiani italiani tutto sul web.
Benedetto si apriva ai racconti delle sue esperienze professionali e anche umane di fronte all’interesse o alla stessa curiosità dei suoi interlocutori. Ne uscivano ritratti unici di giornalisti da lui apprezzati e benvoluti, da Sergio Lepri, ex direttore dell’Ansa, a Giulio Anselmi, anch’egli alla guida della prima agenzia italiana prima di dirigere L’Espresso e La Stampa.
Con Benedetto amministratore delegato, l’occupazione a Repubblica è cresciuta, non ci sono stati licenziamenti e le condizioni di lavoro delle giornaliste e dei giornalisti erano tra le migliori del mercato editoriale italiano.
Era il 1992 quando, da Il Lavoro – fondato 89 anni prima da Giuseppe Canepa e diretto anche da Sandro Pertini – Benedetto riuscì a traghettare a Repubblica 35 redattori, due collaboratori fissi, i cosiddetti articolo due, e tre precari. Aveva l’occhio sugli ultimi, fiero com’era delle sue origini: di suo padre, «barbiere e partigiano», lo accompagnavano il ricordo, l’umiltà, l’esempio.
Altri tempi. Tempi delle onde potenti che spingevano il brigantino di Repubblica, il suo equipaggio e i lettori-passeggeri, Per l’alto mare aperto, parafrasando il titolo del bel libro di Scalfari, il giornalista che Benedetto stimava più di ogni altro.
Una volta in pensione, messo alle spalle il periodo della conflittualità – fisiologica e sana – tra Cdr (il sindacato aziendale) ed editore, con Benedetto ci sentivamo per raccontarci il mondo intorno a noi e quello grande, attraversato da divisioni e da guerre. Era accaduto anche tre giorni prima della sua morte.
Aveva creato un gruppo Whatsapp – “Amici 2”, con 26 persone dentro – e lo animava con articoli di Blitz, i suoi fondi sul Secolo XIX… Lo aveva fatto anche il giorno prima che ci lasciasse, postando lì la sua «Cronaca oggi: notizie dall’Italia e dal mondo scelte da Marco Benedetto».
Già, le coincidenze: «Marco aveva una devozione particolare per la Madre di Cristo», ha ricordato sua cognata, Angela Leone, nella chiesa di San Crisogono, a due passi dalla dimora romana dei Benedetto, «e se n’è andato il giorno della Madonna di Guadalupe». Insieme con lui e Pina Leone, Marino Bisso e Franco Manzitti, incontrati a Genova, ci recammo al santuario di Nostra Signora della Guardia cui lo legavano ricordi e cultura. «La prima volta che ci misi piede, accompagnato dai miei», raccontò quel giorno, «avevo tre anni». Convinto di non essere osservato, Benedetto infilò 50 euro in una cassetta per le offerte posta sul lato destro dell’altare e 50 ancora in quella collocata a sinistra, prima di accendere un cero in onore di Maria Santissima.
E che dire di quella chat di amici che aveva voluto far nascere nel settembre scorso spinto dal desiderio di raccogliere intorno a sé le persone che sentiva più vicine, condividendone impressioni, valutazioni e prodotti giornalistici? Lui avrebbe chiamato «coincidenza» anche questa. Ciao Marco, che la terra ti sia lieve.

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Patrizia Renzetti