Se i “committenti” decidono di non volere più il minore commissionato e anche la gestante non può tenero, essendo obbligata a consegnarlo alla coppia, il destino del bambino è quello di essere abbandonato. Di fatto, dunque, gli viene negato fin dalla sua origine il diritto di essere figlio!
Il tema dell’utero in affitto continua a dividere l’opinione pubblica e la politica.
Il libro
Secondo Giuseppe Cricenti, giudice della Corte di Cassazione e autore del libro Il mercato del ventre. Il caso della maternità surrogata, la gestazione per altri (gpa) è oggi una pratica fortemente strutturata, sostenuta da un sistema di agenzie internazionali che seguono l’intero percorso, dalla selezione dei gameti alla gravidanza, con costi elevati per le coppie committenti che, secondo l’autore, arrivano anche a superare i 100mila dollari.
Gli interrogativi
Nella maggior parte dei casi, la donna che porta avanti la gravidanza è diversa dalla donatrice del gamete ed è estranea alla coppia. Un modello pensato per ridurre i contenziosi legali, ma che solleva interrogativi etici, soprattutto quando la pratica è a pagamento. Cricenti sottolinea come ciò possa favorire dinamiche di mercato e una selezione delle caratteristiche genetiche.
Ma il punto forse più critico dell’intera questione è quello che riguarda il destino del bambino nei casi in cui la coppia committente rinunci al progetto genitoriale, ad esempio per separazioni o problemi di salute del nascituro. In queste situazioni, il rischio di abbandono esiste è del tutto reale, perché se i “committenti” decidono di non volerlo più e anche la gestante non può tenero, essendo obbligata a consegnarlo alla coppia, il destino del bambino è quello di essere abbandonato. Di fatto, dunque, gli viene negato fin dalla sua origine il diritto di essere figlio!
Inutile, secondo Cricenti, anche parlare di “gpa solidale”, priva di compensi. Anche nei Paesi in cui è ammessa – spiega l’autore a La Verità – resta un fenomeno marginale. La questione di base non è tanto quella di considerare la maternità come un “fatto sociale” più che naturale, ma è quello di porre dei limiti sul piano etico, preoccupandosi prima di tutto dei diritti del nascituro e, non secondariamente, della tutela delle donne che il più delle volte mettono “a disposizione” il loro corpo per motivi economici.