Cresce il precariato, non i salari - Azione Cattolica Italiana

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Con all’orizzonte una minacciosa guerra commerciale tra Usa e Unione europea, che si preannuncia letale, spaventosa e massacrante proprio come quelle a base di missili e bombe, l’Italia dà l’impressione di avere il piede un po’ di qua e un po’ di là dell’Oceano, rischiando di fare la più classica delle spaccate frontali, tipiche degli esperti ballerini.
Solo che qui da noi di esperti al timone per il bene del Paese al momento se ne vedono, mentre di ballerini, acrobati ed equilibristi, votati ai propri interessi ad inseguire il potente di turno, ne troviamo tanti.
Venendo al tema di quest’articolo, ci auguriamo, che si batta un colpo e che lo si possa battere forte e deciso. In un contesto a cascata, in cui la durata dei contratti si accorcia, la quota di lavoratori con più impieghi cresce e le retribuzioni restano basse per una fetta sempre più consistente della popolazione.
Secondo l’Istat, i numeri che riguardano il mercato del lavoro del nostro Paese non sono proprio confortanti.

Aumentano gli occupati… e i precari, costretti a fare più di un lavoro

Secondo l’ultimo report sul mercato del lavoro, infatti, uscito lo scorso 25 febbraio, se da una parte viene sì confermata la crescita dell’occupazione (leggermente in calo, ma sempre stabile sopra il 62%, mentre la disoccupazione scende al 6,1%) e dell’indice delle retribuzioni orarie (+3,1% rispetto al 2024; aumenti superiori alla media caratterizzano il comparto industriale e quello dei servizi privati), dall’altra si fa largo un sistema sempre più frammentato e precario, che determina incertezze per il futuro e crescenti situazioni di povertà.

I contratti a tempo determinato sono paurosamente aumentati (abbracciano circa tre milioni di persone, secondo i dati Istat e Inps), e non a caso la Commissione Ue ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea per non aver posto né fine, né un minimo freno all’uso eccessivo dei contratti a tempo determinato e a condizioni di lavoro discriminatorie (la questione degli scatti d’anzianità non riconosciuti) nella scuola. In pratica, dopo aver richiamato l’Italia in autunno sulla discriminazione salariale tra docenti precari e docenti di ruolo (progressione stipendiale non prevista dal nostro Ordinamento, ma riconosciuta dal diritto comunitario), la Commissione Ue mette il nostro Stato dietro la lavagna per non aver fatto assolutamente niente per adottare delle norme necessarie per porre un freno all’abuso dei contratti a termine del personale amministrativo, tecnico e ausiliario.
Certo è che, se non si dovesse trovare il bandolo della matassa, le implicazioni economico-sociali sarebbero considerevoli. E andrebbero ad inserirsi proprio nella macroarea del precariato.

Da un contratto all’altro senza garanzie di continuità e stabilità

Partendo sempre dai dati dell’Istat si scopre, per esempio, che, soprattutto a partire dal 2022 quasi il 20% dei lavoratori, annualmente, cambia impiego frequentemente, passando da un contratto all’altro senza una reale garanzia di continuità e stabilità economica sia perché si è retribuiti male (ai bassi salari aggiungiamoci le tante situazioni di lavoratori sfruttati e sottopagati), sia perché le aziende non sempre hanno la possibilità materiale di rendere quei “determinati” in “indeterminati”.
Ora, cambiare spesso lavoro è un elemento che, se prima costituiva una legittima scelta per le persone desiderose di saggiare sé stesse in più e diversificate esperienze, oggi rappresenta un’estrema necessità, spesso proprio di sopravvivenza. Così come, per necessità, sono sempre di più le persone (oltre tre milioni), che si trovano a dover svolgere più d’un lavoro per trovarsi con un gruzzoletto adeguato alla fine del mese. Con un solo reddito, purtroppo, sono in moltissimi a non riuscire a coprire le proprie esigenze di vita. Ed è proprio nei settori a più bassa retribuzione che queste scelte sono in crescita. È chiaro che gli occupati in Italia e la retribuzione lorda annua sono aumentati, ma contemporaneamente ad essi le condizioni salariali non sono affatto migliorate e sta dilagando, peggio di prima, il precariato.
Una sfida che, indubbiamente, come sistema Paese stiamo perdendo. A vantaggio di povertà economiche e ingiustizie sociali, come anche quest’anno ci ha ricordato puntualmente e doviziosamente la Caritas Italiana nel suo rapporto sulle povertà.

In dazi Usa e la “sentenza” della Coldiretti

Da primo partner commerciale degli Stati Uniti, nonché quarto Paese esportatore al mondo, senza catastrofismi ma con numeri alla mano che vengono espressi da un’innegabile preoccupazione di imprenditori e investitori, l’Italia rischia di essere il Paese europeo più colpito se gli Usa imponessero la mannaia del 25% di dazi. La sola Coldiretti ha già stimato una stangata senza precedenti fino a due miliardi di euro sulle esportazioni di prodotti agroalimentari nostrani. Davvero una randellata sulle gambe, che sostengono la nostra economia, molto forte. Che, sommata all’instabilità lavorativa, non fa certo dormire sonni tranquilli. Per avere una realtà più rassicurante fatta di dignità del lavoro, servirebbe il colpo di coda di una rivoluzione sociale dei cuori, occorrerebbe uno scatto in avanti in proposte di solidarietà sociale e di tutela delle situazioni di maggiore precarietà e dei lavoratori invisibili. Non dobbiamo, infatti, smettere di interrogarci su quale contributo possiamo dare oggi per recuperare il valore del lavoro dignitoso.

È in gioco la fraternità umana e, quindi, la pace

C’è bisogno di modelli economici dal volto umano, modelli che possano tutelare i più deboli, così che la principale risorsa, ad esprimere la vera ricchezza, rimanga l’uomo. È in gioco la fraternità umana e, quindi, ancora una volta la pace. Perché, quando si creano, potenziano e sussistono le condizioni di un lavoro sicuro e dignitoso, si pongono le basi per una cultura della cura che porti maggior benessere economico-sociale per tutti ed eviti ulteriori pericolosi conflitti. Solo quella marcia in avanti da inserire potrebbe aprire una nuova speranza. Modelli economici più umani? È una parola! Ora come ora, infatti, senza per questo perdere la speranza ma guardando in faccia alla realtà, tutto questo sembra essere lontano anni luce dall’approdare in porto. Ma è l’unica direzione possibile per questa navigazione. L’unica che consentirebbe di causare meno incertezze e incognite lavorative nella vita delle persone. Già costellata di per sé di imprevisti lungo il cammino. Ma un conto sono gli imprevisti, che fanno “biologicamente” parte del programma. Altro ragionamento è considerare le persone come numeri o come effetti collaterali da gestire con fastidio e disprezzo. Questo modo di argomentare non va certo nella direzione del prenderci cura gli uni gli altri, da fratelli, riconoscendo la piena dignità di ogni persona umana.

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Giovanni Pio Marenna