Lotta alla plastica monouso: la nostra indagine inedita del cliente misterioso sulle stoviglie considerate “riutilizzabili” ma di fatto “usa e getta”.
In Italia la vendita dei prodotti presentati come riutilizzabili, ma considerati nei fatti usa e getta, è un gran pasticcio normativo che alimenta la produzione di plastica tradizionale, contraddicendo l’obiettivo della direttiva europea SUP (Single Use Plastic), e mette seriamente a rischio la filiera industriale nazionale della chimica verde e delle bioplastiche, fino ad oggi leader a livello globale.
La scarsità e le informazioni fuorvianti sul riutilizzo, unite anche alla mancata definizione del concetto “riutilizzabile” nella Direttiva SUP sulla plastica monouso e nel decreto legislativo di recepimento 196/2021, fanno sì che spesso piatti, bicchieri e posate in plastica, presenti sugli scaffali dei negozi e che si definiscono “riutilizzabili”, dopo essere stati utilizzati la prima volta, vengono poi gettati esattamente come fossero “usa e getta”.
A fare un punto la nostra l’indagine inedita del cliente misterioso “Usa & getta o riutilizzabile? Facciamo chiarezza!”, condotta nei primi sei mesi del 2024 e che ha preso in esame un campione di 317 prodotti – 57% piatti, 27% bicchieri, 12% posate e 4% coppette, vaschette e vassoi – appartenenti a 70 marchi diversi di produttori e presenti in oltre 60 di punti vendita (supermercati, casalinghi e negozi di prossimità) con l’obiettivo di verificarne proprio le informazioni presenti sulle confezioni. Un’impresa non semplice, come sanno gli stessi consumatori, perché spesso a mancare sulle confezioni dei prodotti sono proprio quelle informazioni più basilari sul riutilizzo come il numero di lavaggi massimi, la modalità di lavaggio (se a mano o in lavastoviglie), le temperature massime consentite per il lavaggio, se i materiali sono idonei all’uso in microonde o al forno e relative temperature di utilizzo, eventuali certificazioni.
Dati dell’indagine
Su 317 i prodotti attenzionati dall’indagine, il 38% non specifica infatti il numero di lavaggi massimi o consigliati; paradossale dato visto che la peculiarità di questi oggetti sta proprio nella loro riutilizzabilità e le informazioni chiare e coerenti circa il loro lavaggio sono un primo tassello fondamentale per poterlo fare. Altre lacune sono state riscontrate anche nelle informazioni sulla modalità di utilizzo: solo l’8% dei prodotti riporta la possibilità del loro uso sia in lavastoviglie sia al microonde. Più specificatamente, nel caso del lavaggio, nel 25% dei casi non è specificato se i prodotti possono andare in lavastoviglie e, laddove specificato, nel 60% dei casi non viene indicata la temperatura e la modalità di lavaggio.
Rispetto all’utilizzo del prodotto nel microonde, è riportato solo nel 30%dei casi (circa un prodotto su tre) ma nel 43% dei casi in cui è esplicitato – anche in questo caso – è assente l’informazione sulla temperatura. Per l’utilizzo del prodotto nel forno tradizionale solo in un campione su due viene esplicitata l’impossibilità di farne uso.
Altro “buco nero” segnalato dall’indagine riguarda le certificazioni riportate sulle confezioni: almeno una è presente solo nel 35% dei prodotti (110 su 317) e nel 70% dei casi non riguardano la riutilizzabilità ma altri aspetti (certificazione di qualità dell’azienda, gestione ambientale, sicurezza sul lavoro, l’HACCP); solo il 30% dei certificati (55 su 183) riguarda la “resistenza meccanica al lavaggio in lavastoviglie degli utensili per uso domestico” che rappresenta, però, una condizione necessaria ma non sufficiente per definire il riutilizzo.
Disinformazione anche sull’origine dei prodotti: sebbene l’83% sia di origine europea (di cui il 77% prodotto in Italia), viene spesso riportato ambiguamente solo il fatto che il prodotto è importato e distribuito in Italia e nel 5% dei casi l’informazione sull’origine del prodotto è assente. Rispetto alla tipologia del materiale, i prodotti – composti per il 56% da Polistirene o Polistirolo (PS06) e 32% da Polipropilene (PP05) – riportano informazioni generiche che si riferiscono sia al materiale del prodotto che del packaging (o solo di uno o dell’altro), mentre nel 5,7% non viene specificata. Inoltre, ben il 19% dei prodotti non offre indicazioni sulle modalità di conferimento del materiale a fine vita per la raccolta differenziata.
Non abbassiamo la guardia
Nella lotta alla plastica monouso l’Italia non deve abbassare visto che questi prodotti rappresentano ancora il 56% del totale dei rifiuti monitorati nel 2024 sulle nostre spiagge secondo i dati dell’indagine ‘Beach litter’ e che incombe sul Belpaese una procedura d’infrazione europea per il mancato rispetto della direttiva 2019/904 sulla plastica monouso e le norme procedurali dell’UE sulla trasparenza nel mercato interno.
Chiediamo al Governo Meloni di colmare il vuoto normativo creato dalla direttiva europea e dal decreto legislativo 196/2021 per evitare che i vecchi prodotti monouso in plastica, messi alla porta dalla normativa comunitaria, rientrino dalla finestra, cambiando solo il nome, da “usa e getta” a “usa e getta riutilizzabile.
Per approfondire: