Continua di seguito il reportage di Carlo Petrini pubblicato su La Stampa. Qui la prima parte.
La crescita infinita non può esistere.
E governare i limiti imposti dalla stessa conformazione di questo territorio risulta essere la soluzione migliore per equilibrare autenticità e turismo, una florida economia e il benessere dei cittadini.
Va sempre ricordato che il primo obiettivo di un sano turismo, che punti a perdurare a lungo nel tempo, deve essere quello di rendere felice, in primis, la comunità locale. Nessuno è infatti invogliato a visitare un luogo dove gli abitanti non sono pienamente appagati.
In un territorio come la Langa, ma mi sento di dire come l’Italia intera, questa impostazione risulta essere l’unica percorribile in questo particolare periodo storico. La fase della Transizione Ecologica che ci apprestiamo a vivere richiede di adottare una mentalità diversa, dove la massimizzazione dei profitti viene sostituita da una logica della cura e della moderazione. Tutto questo in risposta ad altri cambiamenti, di ben più grande portata, che è già possibile percepire nei territori. Uno su tutti: il cambiamento climatico.
Ecco un altro grande elemento di difformità. Quando negli anni Settanta mi soffermavo a discorrere con i produttori, l’elemento della crisi climatica era del tutto tralasciato, assente nelle conversazioni e nelle preoccupazioni.
Ora la situazione è lampante. Da anni di grave siccità, siamo passati a una vendemmia, quella appena conclusa, dove le continue e consistenti piogge hanno pesantemente gravato sul lavoro dei mesi precedenti. Le grandinate sono aumentate, tanto che anche le assicurazioni sono subito corse al riparo aumentando consistentemente i premi. Insomma, le preoccupazioni per chi lavora a stretto contatto con la natura sono notevolmente aumentate. Appare chiaro che, in questo scenario, i prezzi esasperati di alcuni appezzamenti risultano ancor più irrazionali.
In un’attenta analisi, va tenuto conto che la nutrita compagine di giovani viticoltori dovrà far fronte a condizioni produttive e climatiche a cui i loro predecessori non erano abituati. L’attenzione e la sensibilità che loro stessi riservano a questi temi, tuttavia, è davvero ammirevole.
Ho potuto riscontrare l’esistenza di esempi virtuosi che già si impegnano in valide operazioni di contrasto al cambiamento climatico. Pratiche di agroecologia, rifiuto della chimica, gestione dei boschi, consociazioni con altre colture, salvaguardia della biodiversità: queste sono alcune delle azioni che una piccola parte di produttori ha già adottato. E alla domanda se fosse mai balenata in testa l’idea di invadere i versanti più a Nord delle colline (storicamente quelli meno vocati alla viticoltura) o di piantare nuove vigne in altri territori limitrofi come l’Alta Langa, una delle risposte è stata:
«mio nonno mi ha insegnato che fino a quando sei di piccole dimensioni riesci ad avere un legame con il tuo territorio e a lavorare bene la vigna, gestendo nel migliore modo anche le criticità. Quando ti ingrandisci troppo, tutto diviene più complicato e finisce che il vino che produci non piace più nemmeno a te».
Credo che questo sia il migliore insegnamento che le generazioni più anziane possano tramandare ai giovani. Un modo di pensare rispettoso della vocazione naturale del territorio che tutela la qualità e che, da un certo punto di vista, giustifica anche quella forbice contributiva che esiste tra le aziende agricole e chi svolge altre mansioni.
Infatti, risulta innegabile che i produttori siano agevolati sotto un punto di vista fiscale. Questo crea un’evidente discrepanza nel rapporto stipendio/contributi versati tra viticoltori e cittadini impegnati in altre importanti mansioni nello stesso comune. Anche alla luce di questo, un produttore dovrebbe sentirsi maggiormente responsabilizzato e investire nella salvaguardia del territorio, nel mantenere salubre l’ambiente e nel non impoverire la fertilità del suolo.
In questo contesto, merita un approfondimento il tema della biodiversità. Se cinquant’anni fa, affacciandosi sulle Langhe, era normale osservare un territorio eterogeneo, questo oggi non può dirsi. Negli anni, molti terreni che un tempo erano occupati da boschi, destinati ad altre colture frutticole o utilizzati per il pascolo del bestiame, oggi sono invasi dalla vite. Ecco spiegato l’incremento di ettari vitati riportati all’inizio dell’articolo. Inoltre, era dato per assodato che in questo territorio vi fossero più vitigni autoctoni e che tutti meritassero di essere coltivati.
Negli ultimi anni, la stessa logica che vuole il profitto come unico discrimine, ha portato molti produttori a far la scelta di abbandonare la coltura di uve che, come il Dolcetto, hanno un prezzo di mercato più basso. E allora via a espiantare e a convertire molti vigneti al più profittevole Nebbiolo. Un altro duro colpo per la biodiversità delle Langhe.
Anche in questo caso però la storia può essere di insegnamento. In viticoltura, come in agricoltura in genere, sul lungo periodo non è mai stato vincente concentrare la coltivazione su poche specie. Questo vale, a maggior ragione, in tempi mutevoli come questi, dove molti degli effetti della crisi climatica si stanno velocemente aggravando. Non serve andare lontano, nelle stesse Langhe dove non c’è la vite ci sono noccioleti. È notizia fresca il fatto che l’ultimo raccolto di nocciole stia facendo registrare un meno 50% rispetto al 2023. È voce comune di tutti i produttori che le cause sono principalmente imputabili al cambiamento climatico.
Tornando al vino, su questo fronte ho potuto ascoltare interessanti testimonianze. Produttori che non si sono mai sognati di intraprendere una scelta monovarietale. Altri, più giovani, che anche solo per un valore affettivo hanno deciso di puntare molto su quei vitigni meno conosciuti. Altri che hanno addirittura deciso di valorizzare vitigni che da decenni erano dimenticati. Ed enotecari che portano avanti in maniera convinta una vera e propria battaglia in favore del Dolcetto e dei suoi simili.
Il valore della biodiversità è bene che venga compreso da tutti, anche a fronte del fatto che il gusto non è un senso immutabile e ci sono già primi segnali che, tra le giovani generazioni, in molti apprezzino vini più semplici e meno strutturati.
Sotto il punto di vista umano, invece, è possibile sostenere che negli ultimi decenni la biodiversità è addirittura accresciuta. Purtroppo questo non è sempre sintomo di buone notizie. Non mi sto riferendo ai turisti stranieri, ma a quella moltitudine di persone che, nonostante sorreggano in maniera importante l’impianto vitivinicolo, in Langa vivono ancora emarginate e con gravi difficoltà.
Provenienti da molti Paesi dell’est, dell’Asia e del centro-nord Africa, migliaia di braccianti sono arrivati nel tempo per lavorare nelle vigne. Chi è specializzato nella potatura, chi nel diradamento e chi nella vendemmia. La loro professionalità è oggi diventata indispensabile. Tuttavia, si tratta di persone che continuano a rimanere ai margini della società.
La dinamica è ahimè molto semplice. Le cantine contattano le cooperative nei periodi di maggior bisogno, pagando loro un determinato costo all’ora per ogni lavoratore. Le cooperative organizzano così dei gruppi di braccianti che, va sottolineato, per motivi di sicurezza sul lavoro non possono operare insieme ai dipendenti delle aziende viticole.
Negli anni la gestione di questi processi è passata un po’ troppo sotto traccia. Non pochi mi hanno riferito che alle prime luci dell’alba, in alcuni punti della Langa più ricca, è facile vedere gruppi di persone attorno ai pulmini delle cooperative. Qui, i “caporali” scelgono le persone che per quel giorno lavoreranno nei campi, mentre gli altri dovranno aspettare a guadagnarsi qualche soldo per vivere.
La compagine di lavoratori stranieri caratterizza la Langa di oggi più di quanto non lo facesse un tempo. Non solo nei vigneti, anche ai fornelli delle osterie e nelle sale dei ristoranti. Spesso viene dimenticato, ma anche loro fanno parte della nuova comunità. E anche sulle loro esigenze e sulle loro necessità dovrà essere improntata la rigenerazione di questo territorio.
In conclusione di questo viaggio in Langa, devo dire che oggi come allora ho appreso molto da questa terra e dalle persone che la abitano. Alla luce di quanto osservato, debbo dire che è stata proprio la diversità qui rappresentata a generare una ricchezza davvero fuori dal comune.
A trainare questo territorio verso un futuro più equo e sostenibile, vedo una nuova generazione di produttrici davvero fenomenale.
In queste zone, le donne hanno sempre avuto una posizione di prim’ordine all’interno della comunità. Se un tempo, in una società sicuramente più maschilista, erano chiamate a esercitare il loro ruolo da dietro le quinte, o ai fornelli delle numerose osterie, oggi si trovano in prima linea anche nel settore vitivinicolo. E da chi, se non da loro, si può imparare una sana e naturale logica della cura?
Ai giovani e alle donne, ovvero a coloro che sono sempre rimasti nella periferia del sistema capitalistico, dovrà essere data maggiore voce per ricostruire un modello che possa ben integrarsi con il periodo di Transizione Ecologica che abbiamo innanzi.
In questi cinquant’anni siamo stati così condizionati da un solo paradigma che ci risulta oggi impossibile comprendere il valore dirompente e liberatorio di una nuova forma di economia. Se è vero come è vero che l’orizzonte non può più essere quello basato sulla crescita infinita, è altrettanto vero che la situazione della Langa è emblematica. Un nuovo modello che pone al centro la realizzazione umana, i beni comuni e le relazioni interpersonali non solo elude ogni tipo di mortificazione, bensì è l’unico possibile per preservare gli agi fino a qui raggiunti.
Rigenerare le comunità, valorizzare la biodiversità, rispettare il lavoro e aver cura della salute delle persone dell’ambiente è il percorso da seguire per permettere alle comunità di vivere in gratificazione e gioia. La ricchezza del futuro sarà infatti determinata da come si sapranno coniugare questi valori. Solo attraverso il giusto equilibrio si potrà godere di un vero benessere. Perché fatta una scelta non espansiva ci sono ancora mille modi diversi di viverla in maniera felice e rispettosa di tutti.
di Carlo Petrini da La Stampa del 10 novembre 2024