Anita Pallara (FamiglieSMA): “Per le persone con SMA, ma non solo, la carrozzina non è un bagaglio ma un’estensione del corpo, il modo di muoversi e di stare al mondo. Non basta chiedere scusa. Serve cambiare sistema”
Torino-Napoli-Torino, settembre 2025. Doveva essere il primo convegno internazionale di sociologia per Elisa Costantino, dottoranda torinese con atrofia muscolare spinale (SMA), è diventato il racconto di un doppio danneggiamento di una carrozzina elettrica trattata come un oggetto qualsiasi, e di una persona con disabilità ignorata nei suoi bisogni più elementari.
“Ero contentissima”, racconta Elisa. “Era il mio primo convegno internazionale, partecipavo sia come speaker che come uditrice. Avevo deciso di allungare il soggiorno, prendermi un po’ di sole, rilassarmi. È stato tutto tranne che una vacanza”.
Il viaggio, prenotato con largo anticipo, si è trasformato in un percorso a ostacoli già prima della partenza. “Una settimana prima del volo mi arriva un messaggio WhatsApp da Volotea. Mi dicono che la carrozzina non è autorizzata al volo per via delle batterie. È imbarazzante. Avevo già volato con Ryanair e EasyJet, tutto sempre perfetto. Volotea, invece, ha letto male le specifiche: pensavano fossero batterie al litio, ma sono batterie al gel, le più sicure in assoluto”.
Nonostante le minacce di denuncia e l’invio delle certificazioni, la compagnia ha continuato a porre ostacoli anche sui macchinari respiratori. "Ho dovuto litigare a ogni controllo. Una volta mi hanno detto che per portare i macchinari salvavita avrei dovuto avere un medico personale a bordo. Avevo tutta la documentazione, ma non bastava mai”.
Il primo danno alla carrozzina si verifica all’arrivo a Napoli. “Scendo dal volo e mi trovo il joystick completamente storto. La carrozzina si accendeva e si spegneva, ma non riuscivo a guidarla. Ho dovuto chiamare un tecnico a Napoli, fortunatamente disponibile, per sistemarla. Ma ho perso tempo, non potevo uscire, ero bloccata in hotel”.
Il secondo episodio si consuma al ritorno. “La carrozzina non era pronta all’uscita, l’ho vista sollevata di peso da un gradino enorme, senza usare il muletto. Parliamo di un ausilio di circa ottanta chili, è evidente che dovrebbe essere manovrato in un certo modo. Di nuovo, joystick storto. Fortunatamente la mia assistente è riuscita a rimetterlo in posizione. Ma poi ho dovuto portarla in officina ortopedica: viti smollate, intervento da pagare, denuncia fatta all’‘Lost and Found’ dell’aeroporto. Per ora, nessuna risposta da Volotea”.
Il problema, sottolinea Elisa, non è solo tecnico. È sistemico. “Gli aeroporti non prevedono pratiche diverse per il danneggiamento di una carrozzina. È gestita come una valigia qualsiasi. Ma se io torno a casa senza la carrozzina, non ci arrivo nemmeno a casa. È come chiedere a una persona con protesi di togliersi la gamba. La carrozzina è un’estensione del mio corpo”.
E poi c’è la questione della stiva. “A differenza di quanto accade su autobus e treni, in aereo siamo nel medioevo. Non esistono posti per le carrozzine. Se ci fossero sedili rimovibili, come sugli autobus, si potrebbe fare. Ma non conviene economicamente, dicono. E allora la carrozzina va in stiva, sempre. E ogni volta è un terno al lotto: dipende da chi trovi, da quanto ha fretta, da quanto capisce il valore di quell’ausilio”.
Elisa conclude con una domanda che è anche una denuncia: “Nel 2025, perché le persone disabili non possono viaggiare come esseri umani sulla propria carrozzina?”.
“Quello che è successo a Elisa – commenta Anita Pallara, presidente di FamiglieSMA – non è un caso isolato. Troppo spesso le nostre carrozzine sono trattate come se fossero un oggetto qualsiasi, come se mancasse la percezione che non si tratta di un vezzo ma di una vera e propria estensione del nostro corpo. Un simile approccio rivela tutto: l’ignoranza, l’abilismo, l’assenza di protocolli, di rispetto, di responsabilità. Una carrozzina non è un bagaglio. È il nostro modo di stare al mondo. E ogni volta che viene danneggiata, è la nostra autonomia, la nostra dignità, la nostra sicurezza a essere calpestata. Non basta chiedere scusa. Serve cambiare sistema”.