In Friuli l’Associazione “Anche noi a cavallo” segue anche persone con sindromi genetiche e patologie rarissime. La psicoterapeuta Marianna Di Fiore: “Ogni intervento è personalizzato”
A Porcia, nella campagna friulana, l’associazione “Anche noi a cavallo” da quasi 40 anni lavora accanto a persone con disabilità, sindromi genetiche e malattie rare. L’avventura comincia nel 1987 con la creazione di un Centro di ippoterapia, e da allora l’associazione ha aiutato centinaia di persone dai 2 ai 90 anni a migliorare la qualità della propria vita attraverso la relazione con gli animali, in particolare i cavalli. A spiegare come ci possano aiutare gli amici a quattro zampe e quali sono le attività dell’associazione è Marianna Di Fiore, psicologa e psicoterapeuta, specializzata nei disturbi del neurosviluppo, nel trattamento dell’autismo e negli interventi assistiti con animali.
Dottoressa Di Fiore, cosa sono esattamente gli interventi assistiti con animali?
Un tempo si parlava di pet therapy, ma dal 2015, con le Linee guida nazionali del Ministero della Salute, gli interventi con gli animali sono stati distinti in tre categorie: terapie assistite, attività educative e attività ludico-ricreative. Nel nostro Centro le pratichiamo tutte, le Terapie con Animali sono prestazioni sanitarie a tutti gli effetti, tanto che rientrano tra le spese deducibili in presenza di Legge 104 o detraibili per tutti.
Con quali animali lavorate?
Le terapie possono essere svolte con cinque specie animali, le uniche finora riconosciute come scientificamente efficaci: cavallo, cane, gatto, asino e coniglio. Nel nostro centro abbiamo una dozzina di cavalli, due asinelli, tre conigli, tre gatti e tre cani: un Bovaro del Bernese, un Border Collie e un meticcio. Ogni progetto è personalizzato e può coinvolgere una o più specie, a seconda dei bisogni della persona. In presenza di una sindrome o di una malattia rara con deficit fisici, per esempio, lavoriamo spesso con il cavallo, che garantisce una stimolazione corporea particolarmente intensa.
Può spiegarsi meglio?
In passato si parlava solo di “ippoterapia”, un metodo che anche noi utilizziamo. Per i pazienti con tetraparesi o diparesi utilizziamo il sollevatore per montare a cavallo. Per i più leggeri adottiamo, invece, la tecnica del “maternage”, in cui l’operatore monta in sella con il paziente tenendolo tra le braccia e poi continuando a sorreggerlo. Quando serve usiamo selle con maniglie, redini speciali o fascioni che aiutano a stimolare la muscolatura addominale. È un lavoro personalizzato: ogni caso è diverso dall’altro. Ma, a differenza della vecchia ippoterapia, oggi gli interventi sono più ampi. Non sempre è necessario far salire la persona a cavallo, a volte la componente relazionale è più importante di quella fisica. In questi casi utilizziamo, tra le altre tecniche, un trattamento ispirato al modello Parelli, interamente focalizzato sulla comunicazione: il bambino guida il cavallo con lo sguardo o con piccoli movimenti del corpo.
Cos’altro è cambiato nel passaggio dalla pet therapy agli interventi assistiti con animali?
A differenza della pet therapy, gli interventi assistiti prevedono la presenza di un’équipe multidisciplinare. C’è il responsabile di Progetto, il veterinario che rilascia certificazioni sanitarie e comportamentali per ogni animale, il coadiutore dell’animale, che è uno specialista della specie, come, per esempio, un educatore cinofilo nel caso dei cani. E poi c’è il referente d’intervento, ovvero una figura sanitaria come uno psicologo, un logopedista o un terapista occupazionale, che porta avanti gli obiettivi individuati dallo psicoterapeuta insieme alla persona o alla famiglia. Insomma, è un vero lavoro di squadra con tutti i componenti specializzati anche in interventi assistiti con animali.
Perché per avere benefici non basta la semplice compagnia di un animale domestico?
La convivenza con un animale in casa è preziosa, è una vera risorsa. Ci sono studi che confermano l’aumento dell’ossitocina e delle endorfine in presenza del proprio pet. Però qui c’è una differenza fondamentale: negli interventi assistiti c’è un progetto, una diagnosi, obiettivi chiari e personale qualificato. Inoltre gli animali coinvolti sono dotati di certificazioni sanitarie e comportamentali specifiche. Infatti, non basta avere un animale “buono”, bisogna avere l’animale “adatto” al singolo caso. Per esempio, con un adolescente problematico può essere utile coinvolgere un cavallo sicuro di sé. Invece, nelle sindromi rare con disprassia motoria servono cavalli fisicamente idonei, magari più asciutti, per non costringere il cavaliere ad aprire troppo le gambe, cosa dolorosa per chi usa la carrozzina. Ogni persona ha le sue esigenze, e ogni scelta viene fatta su misura.
Prima accennava a degli studi sul tema, ci sono evidenze scientifiche sui risultati degli interventi assistiti con animali?
Sì, noi stessi recentemente siamo stati selezionati dall’Università di Verona per un progetto sull’autismo intitolato “Riding the Blue”. Nel nostro Centro in particolare è emerso che il rapporto con il cavallo migliora la capacità relazionale dei bambini con autismo. Nel caso specifico è stato preso in esame un protocollo basato su una decina di incontri con giochi e altre attività in un setting organizzato, ma la stessa logica vale per qualsiasi progetto personalizzato.
Lei ha citato le malattie rare. Possono essere oggetto di interventi assistiti?
Assolutamente sì, gli interventi con animali sono molto flessibili e ci giungono richieste anche per persone con malattie rarissime. In questi casi i progetti sono ancora più personalizzati e spesso anche la famiglia viene supportata. Non si prende in carico solo il bambino o l’adulto, ma anche le persone che gli stanno intorno.