In un nuovo rapporto, Slow Food Italia chiede all’Unione europea di porre fine ai doppi standard applicati al cibo importato e di utilizzare le cosiddette clausole specchio per garantire che il cibo extraeuropeo sia almeno conforme agli standard stabiliti per quello prodotto in Unione europea.
Lo fa analizzando tre filiere – soia, riso e manzo – dimostrando gli effetti negativi sulla salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi nei Paesi produttori – soprattutto nel Sud del mondo – e la concorrenza sleale a danno degli agricoltori europei.
Vediamo il caso della soia.
Il 77% della produzione globale di soia è destinato all’alimentazione animale in forma di farina o panelli. Questi ultimi sono un sottoprodotto dell’estrazione dell’olio dai semi di soia, impiegato sia nell’alimentazione umana sia nella produzione di biocarburanti, farmaci, resine, vernici, cosmetici.
Un super legume, un super problema
La soia è un legume molto più ricco di proteine e grassi rispetto ad altre specie della stessa famiglia. È una pianta azotofissatrice e quindi non necessita di fertilizzanti azotati e può essere impiegata nelle rotazioni colturali. Inoltre richiede meno acqua del mais. Per tutti questi motivi le superfici dedicate alle monocolture di soia negli ultimi 60 anni si sono decuplicate. Ma le monocolture hanno conseguenze ambientali, sociali e dunque economiche; inoltre, il 90% della soia coltivata nel mondo è geneticamente modificata, resistente all’erbicida Roundup, un prodotto a base di glifosato – classificato come probabile cancerogeno – che dunque viene utilizzato con grande disinvoltura.
La produzione nel mondo, in Ue, in Italia
Brasile e Stati Uniti sono i due principali produttori totalizzando più del 60% della produzione mondiale. La produzione europea di soia copre appena il 15% del fabbisogno e così l’Europa è, dopo la Cina, il secondo importatore al mondo.
L’Italia è il primo produttore europeo con circa 350mila ettari dedicati che però soddisfano all’incirca il 30% del fabbisogno nazionale, sicché l’Italia è il quarto Paese europeo per importazione, con una quota del 9% del totale Ue.
Le importazioni di soia dai Paesi terzi
I principali fornitori dell’Ue sono Stati Uniti, Brasile e Argentina. Da Brasile e Stati Uniti arriva il 90% dei semi di soia; da Brasile e Argentina arrivano sia i 16 milioni di tonnellate di panelli, sia il milione di tonnellate di olio di soia utilizzato prevalentemente (80%) per l’alimentazione umana.
Gli Ogm, il Roundup
Il 77% della soia prodotta nel mondo è geneticamente modificata, con picchi del 94% negli Usa e del 97% in Brasile. L’Italia e altri 17 Paesi europei hanno vietato gli Ogm da oltre vent’anni. Nel resto dell’Ue, per coltivare Ogm è necessaria un’autorizzazione preventiva, comprensiva di una valutazione del rischio.
Ma, dato che l’Ue importa soia da Brasile e Stati Uniti, gli Ogm arrivano nei piatti europei attraverso i prodotti di origine animale e non è obbligatorio indicare in etichetta, sul prodotto finale, se l’animale è stato nutrito con Ogm.
La soia Roundup Ready ha residui elevati di glifosato: su quella argentina e brasiliana i residui sono più che raddoppiati tra il 1996 e il 2014. Oggi il limite massimo residuo (LMR) di glifosato fissato dall’Ue per la soia importata è di 20ppm, cioè 200 volte più alto di quello fissato per molte altre colture.
Non solo glifosato
Sulla soia, in Brasile, si riversa il 52% di tutti i pesticidi utilizzati e, a fronte delle 195 molecole vietate e delle 269 non approvate (al 01/04/2022) in Ue, il Brasile vieta solo 133 molecole. Dei circa 200 principi attivi registrati in Brasile per l’uso sulla soia, solo 80 sono registrati in Ue.
Tra i prodotti più usati troviamo i neonicotinoidi: l’uso di queste sostanze è associato a effetti letali e subletali sulle popolazioni di api dalle quali dipende, in Brasile, il 60% delle colture destinate al consumo umano e animale. Alcuni neonicotinoidi sono vietati in Europa dal 2018 e a breve un prodotto che ne contenga tracce non potrà accedere al mercato europeo. Tuttavia, le materie prime agricole destinate alla produzione di energia, alla produzione di mangimi e agli alimenti trasformati non rientrano nella nuova normativa.
Ci sono poi altre sostanze che prevedono limiti massimi residui particolarmente alti per la soia: l’acefato (insetticida vietato in Ue dal 2003, possibile cancerogeno) ha un LMR per la soia 15 volte più alto rispetto ad altri prodotti; per il glifosato è stato ottenuto l’innalzamento di alcuni LMR, e quello della soia è oltre 20 volte più alto rispetto ad altre colture; il dicamba (erbicida sistemico selettivo, autorizzato in Ue), ha un LMR di 0,05 per la maggior parte delle colture, ma per la soia è di 200 volte più alto.
In più, se esistono limiti massimi residui sui prodotti destinati all’alimentazione umana, per i prodotti destinati all’alimentazione animale i controlli avvengono per i contaminanti ma non su tutti i residui di pesticidi.
L’irrorazione aerea
Il numero delle vittime da avvelenamento da pesticidi è altissimo, in tutto il mondo. Alla pericolosità delle sostanze si aggiunge quella delle modalità con cui vengono applicate.
L’irrorazione aerea di pesticidi è dannosa per la salute umana e per l’ambiente a causa dell’ampia dispersione. In Unione europea esiste, sia pure con una serie di deroghe, un divieto di irrorazione aerea, mentre in Brasile questa pratica è consentita.
La minaccia per la salute riguarda prevalentemente i lavoratori agricoli, ma anche il resto della popolazione è a rischio, inclusi i nascituri.
Servono clausole specchio e un cambio di visione
Risulta quindi palese la necessità di imporre clausole specchio a protezione dell’ambiente, dei diritti di lavoratori e popolazioni dei paesi terzi e dei consumatori europei; con la stessa urgenza occorre ripensare i consumi di carne e le metodologie di allevamento dell’Unione europea.
A cura di Cinzia Scaffidi
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