Displasia spondiloepifisaria, individuato un gene responsabile

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La scoperta proviene da un gruppo di ricercatori canadesi: un altro passo avanti nella comprensione delle malattie rare

Le displasie scheletriche costituiscono un ampio ed eterogeneo gruppo di anomalie che colpiscono il tessuto osseo e cartilagineo. Il sintomo principale è la bassa statura, con problemi di crescita e proporzioni e morfologia scheletriche anomale, ma la gravità è molto variabile e in certi casi può portare al decesso poco dopo la nascita, mentre in altri si manifesta solo un lieve ritardo nella crescita. Se la diagnosi tramite immagini, come le radiografie, e visita da parte dello specialista è relativamente facile, l’individuazione della causa molecolare non è scontata. Un articolo pubblicato di recente su Nature Communication ha permesso di fare luce sulla mutazione genetica alla base di una forma di displasia spondiloepifisaria, quella a trasmissione autosomica dominante.

NON È SOLO BASSA STATURA

Le displasie scheletriche sono malattie rare che dipendono tipicamente dalla disregolazione del processo di crescita e mineralizzazione ossea, che porta a malformazioni nello scheletro e problemi di crescita. Stando ai dati riportati nella pubblicazione, sono state definite ben 461 forme di displasie scheletriche, di cui 425 caratterizzate anche a livello molecolare. Inoltre, continuano a emergere condizioni da inserire in questo variegato gruppo.

Come espresso dal termine “spondiloepifisarie”, le displasie di questo tipo colpiscono principalmente le vertebre della colonna vertebrale (spondilo-) e le epifisi, cioè le estremità delle ossa lunghe di braccia e gambe (-epifisarie). Oltre alla bassa statura, che nell’adulto può raggiungere gli 85-130 cm circa, si possono presentare malformazioni craniofacciali, torace corto, alterazioni della colonna vertebrale, deformità agli arti, disturbo dello sviluppo motorio a causa delle anomalie nello sviluppo di ossa e cartilagini e altre manifestazioni più o meno frequenti. Tra i sintomi meno collegati allo scheletro ci sono quelli che colpiscono la vista e l’udito, motivo per cui le persone affette da queste patologie devono essere seguite costantemente, specialmente nella fase dello sviluppo. Non esiste una cura e il trattamento si focalizza sulla gestione ottimale dei sintomi, ad esempio tramite ortopedia, e sulla correzione chirurgica – se possibile – delle deformità più gravi.

Fare luce sui meccanismi genetici alla base della displasia spondiloepifisaria è fondamentale per comprendere le cause ed elaborare strategie per sviluppare terapie in futuro. Nella maggior parte dei casi si tratta di mutazioni de novo, cioè non ereditate dai genitori ma acquisite durante la formazione dei gameti (cellula uovo e spermatozoo) o nelle prime fasi dello sviluppo embrionale.

La displasia spondiloepifisaria più comune è quella definita congenita (SEDc) a ereditarietà autosomica dominante, protagonista dello studio, e la mutazione più comune è quella che coinvolge il gene COL2A1, che codifica per il collagene. La prevalenza varia molto da uno studio all’altro, a seconda di che parametri vengono considerati (ad esempio se sono inclusi i dati sui nati morti). Un’altra forma diffusa è quella a esordio tardivo (SEDT), caratterizzata dall’insorgenza nell’adolescenza e nell’età adulta. In questo caso la trasmissione può essere recessiva e legata al cromosoma X – la più comune, con mutazioni a carico del gene TRAPPC2 - oppure autosomica (dominante o recessiva).

LO STUDIO SUL GENE MGP

La “proteina Gla della matrice” (Matrix Gla Protein, MGP) è un inibitore della mineralizzazione della matrice extracellulare: infatti, è una speciale proteina presente nei vasi sanguigni e nella cartilagine che aiuta a prevenire l'indurimento di questi tessuti nell'organismo. Quando non funziona si manifesta una malattia, chiamata sindrome di Keutel,  caratterizzata da una diffusa calcificazione di vari tessuti cartilaginei e anomalie scheletriche e vascolari. Di questa sindrome state fatte meno di 30 diagnosi e, anche se la prognosi è generalmente buona, l’aspettativa di vita è variabile.

Nello studio pubblicato su Nature Communication, i ricercatori della McGill University (Canada) hanno rivelato che un difetto nel gene che codifica per la MGP può causare un disturbo che colpisce la struttura dei tessuti connettivi che sostengono il corpo. In questo caso va sottolineato che la variante del gene è diversa da quella coinvolta nella sindrome di Keutel, che è a trasmissione recessiva.

Nell’analisi sono stati riportati i dati relativi a quattro persone con disturbo osseo appartenenti a due famiglie non imparentate, le quali presentavano varianti nel gene MGP che rendevano la proteina leggermente diversa. Dopo il sequenziamento dell’esoma e dopo aver testato, grazie a CRISPR-Cas9, queste modifiche genetiche su modelli murini per comprendere meglio la situazione a livello cellulare e molecolare, i ricercatori hanno scoperto che la MGP modificata causava problemi ossei simili sia nei topi che negli esseri umani. A differenza della proteina normale, la proteina modificata non riesce a uscire dalle cellule, il che, a sua volta, provoca stress cellulare. I condrociti [le cellule che si trovano nella cartilagine, N.d.R.] che producono la proteina modificata non riescono a gestire lo stress e alla fine muoiono, causando problemi all’organismo. La proposta fatta nell’articolo è di chiamare questa condizione SED di tipo MGP.

Questa ricerca non solo amplia la comprensione dei fattori genetici che contribuiscono alla displasia scheletrica, ma apre anche la strada a potenziali interventi terapeutici. I risultati evidenziano l'importanza del gene MGP e il suo ruolo nello sviluppo dello scheletro, fornendo una speranza per migliorare la diagnosi e il trattamento degli individui affetti da questa rara condizione.

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info@osservatoriomalattierare.it (Rachele Mazzaracca)