BIOPSIA LIQUIDA: A CHE PUNTO SIAMO ORA E COSA ARRIVERÀ NEL FUTURO - Europa Donna

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BIOPSIA LIQUIDA: A CHE PUNTO SIAMO ORA E COSA ARRIVERÀ NEL FUTURO

La biopsia liquida è una tecnica promettente e innovativa in oncologia paragonata al “Santo Graal” per le sue potenzialità (genomica, metilomica e fragmentomica) e per ciò che vorremmo nel prossimo futuro non lontano: riuscire a identificare la presenza di un tumore senza necessariamente fare riferimento al tessuto. Tuttavia, è importante sottolineare che non rappresenta una soluzione universale. Piuttosto, è uno strumento aggiuntivo che può integrare le metodologie tradizionali per migliorare diagnosi e trattamenti. Per fare chiarezza, ne parliamo con Antonio Russo, Direttore Oncologia Medica Policlinico Giaccone di Palermo e Professore di Oncologia Medica Università di Palermo e Presidente del Collegio degli Oncologi Medici Universitari (COMU)

Quali sono i vantaggi, ma anche gli svantaggi della biopsia liquida rispetto alla biopsia tradizionale?

Prima di tutto, è una procedura minimamente invasiva che consiste in un semplice prelievo di sangue, quasi priva di complicanze, quindi altamente accettata dai pazienti ed in grado di fornire risultati rapidamente. A differenza della biopsia tissutale, che rappresenta una fotografia istantanea della neoplasia, la biopsia liquida permette un monitoraggio dinamico e in tempo reale del tumore. Analizzando il DNA tumorale circolante, può anche affrontare il problema dell’eterogeneità tissutale, se interpretata correttamente. Tuttavia, la biopsia liquida presenta alcune limitazioni che ne riducono l’utilizzo. In particolare, la quantità insufficiente di DNA tumorale nel plasma e la necessità di scegliere il momento ottimale per il campionamento, in base alle caratteristiche cliniche del paziente, possono portare a risultati “falsi negativi” che compromettono l’accuratezza diagnostica del test. Inoltre, attualmente, la biopsia liquida può essere utilizzata in pratica clinica solo per un numero limitato di geni e non permette di valutare il microambiente tumorale o l’espressione di specifiche proteine. Pertanto, nonostante il suo enorme potenziale, la biopsia liquida non può ancora sostituire la biopsia tissutale, ma ne rappresenta una preziosa integrazione.

⁠A tutt’oggi è già nella pratica clinica e in quali casi?

Nella pratica clinica attuale, la biopsia liquida, più specificatamente l’analisi del DNA tumorale circolante da plasma, è utilizzata principalmente per valutare lo stato mutazionale del gene EGFR nel percorso diagnostico-terapeutico dei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) in stadio avanzato. Questo test è indicato in due specifici contesti clinici. Il primo riguarda i pazienti con NSCLC avanzato non pre-trattato, dove la quantità e/o qualità del tessuto disponibile può essere insufficiente per le analisi molecolari previste, oppure non è possibile ottenere il tessuto a causa delle condizioni cliniche generali compromesse del paziente. Il secondo contesto riguarda i pazienti con NSCLC avanzato che mostrano progressione dopo trattamento con inibitori tirosin chinasici di EGFR di prima o seconda generazione, al fine di identificare il principale meccanismo di resistenza, ovvero la mutazione T790M, scenario ormai secondario considerato il crescente utilizzo dell’inibitore di terza generazione in prima linea di trattamento. Sempre nel setting del NSCLC, un discorso a parta va fatto per le valutazioni mediante biopsia liquida dello stato mutazionale di altri geni predittivi di risposta (BRAF, ALK e ROS-1) in quanto procedure non ancora approvate in pratica clinica, sebbene in casi selezionati e discussi all’interno dei gruppi multidisciplinari l’analisi in biopsia liquida è raccomandabile per esigenze cliniche opportunamente identificate anche al di fuori degli studi clinici. Le applicazioni cliniche emergenti della biopsia liquida riguardano anche i tumori del colon retto e del seno in fase avanzata. Per il carcinoma del colon retto, abbiamo informazioni solide e riproducibili riguardo alla caratterizzazione dei geni RAS e BRAF, mentre per il carcinoma mammario sono disponibili dati relativi al gene PIK3CA ed ESR1.

A che punto sono gli studi per quanto riguarda il tumore al seno?

Il carcinoma mammario ormono-dipendente HER2-negativo merita sicuramente una menzione a parte, dato che rappresenta un setting in cui numerosi trial hanno dimostrato una possibile utilità clinica della biopsia liquida sia nell’identificazione di biomarcatori predittivi positivi (come nel caso del testing della mutazione a carico di Pi3KCA per alpelisib) sia nell’identificazione di varianti del gene ESR1 (estrogen receptor 1) che, poiché acquisite spesso subclonalmente, sono soggette a falsi positivi sulla biopsia tessutale tradizionale. Lo studio di fase 3 EMERALD ha recentemente dimostrato un vantaggio in sopravvivenza in favore di elacestrant, un nuovo degradatore selettivo del recettore degli estrogeni (SERD), rispetto allo standard di cura. Il risultato è ancora più netto se si considera la sola coorte di pazienti con mutazioni in ESR1. Emerge come l’analisi sul DNA circolante sia in grado di identificare mutazioni a carico di ESR1 che nel tessuto potrebbero non essere individuate. Pertanto, ancora una volta la biopsia liquida è in grado di superare le difficoltà tecniche legate all’eterogeneità tumorale e alla subclonalità, cioè nel caso di fase della malattia senza ancora segni, nell’acquisizione di alcune varianti che possono condurre a falsi negativi sul tessuto.

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