Referendum contro l'autonomia differenziata, le ragioni del CNCA - CNCA

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Il CNCA fa parte del comitato referendario per l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata.

La Federazione, dunque, è impegnata in prima linea per raccogliere le firme in favore del referendum.

Qui sotto le ragioni della nostra adesione, nelle parole della presidente e di alcuni consiglieri nazionali del CNCA.

Caterina Pozzi, presidente del CNCA

Il CNCA, insieme a tante altre organizzazioni sociali e politiche, è stato tra i primi firmatari del referendum per l’abrogazione dell’autonomia differenziata.

“Sì all’Italia unita, libera e giusta. Una firma contro l’Autonomia differenziata” è lo slogan con cui il comitato promotore sta raccogliendo firme in tutta Italia per contrastare l’autonomia differenziata: una legge che va abrogata perché non solo aumenterà le diseguaglianze già ora così evidenti tra i nord e i sud del nostro paese, ma perché se dovesse essere attuata verrebbe davvero messa in discussione la nostra identità nazionale. Avremmo la costruzione di 21 piccole “casematte”, 21 centri di potere chiusi, probabilmente in competizione gli uni con gli altri, in cui i rapporti di potere con lo Stato centrale verrebbero gestiti autonomamente e chi è più capace, o maggiormente allineato politicamente, riuscirebbe ad ottenere di più. La legge 86 accentra il potere, non lo decentra a favore dei cittadini e delle cittadine.

L’attuazione di questa legge porterà a un aumento delle già enormi disuguaglianze territoriali e, poiché le risorse rimangono comunque poche, una più incisiva privatizzazione dei servizi. Come ha scritto Francesco Pallante, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Torino nella sua ultima opera (da leggere!) Spezzare l’Italia. Le regioni come minaccia all’unità del Paese (2024): “L’autonomia differenziata è una risposta di retroguardia – e politicamente meschina – ai problemi della società italiana proprio perché certifica questo stato di cose: l’Italia è perduta, si salvi chi può”. Una Italia più ingiusta, in cui le persone più fragili e vulnerabili verranno lasciate ancora più sole e in cui l’articolo 3 della nostra Costituzione – che ci piace qui riprendere:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” – verrebbe completamente disatteso.

Le diversità del nostro paese sono importantissime e vanno tutelate, l’autonomia è un valore in sé sancito anche dalla Costituzione. Peccato che in questa legge le parti che riguardano i principi di solidarietà e perequazione e il diritto a pari prestazioni a prescindere dal luogo di residenza non siano declinate in maniera tale da renderle attuabili e soprattutto finanziabili, quindi esigibili.

Per tutte le persone che incontriamo ogni giorno nei nostri servizi, per le nuove generazioni, per l’ambiente che ci circonda (eh sì, anche le politiche ambientali verrebbero decentrate…), fino al 30 settembre ci impegneremo a raccogliere firme, a spiegare e sollecitare una partecipazione dei cittadini per l’abrogazione di questa legge!

Liviana Marelli

La legge “Calderoli” sull’autonomia differenziata va integralmente abrogata perché irricevibile sotto il profilo costituzionale: l’Italia, il nostro Paese, è una Repubblica unica e indivisibile e non può diventare la somma sgangherata di piccoli staterelli autonomi: un medioevo culturale che solo a pensarlo ci riporta in un periodo storico che pensavamo davvero superato.

inoltre, i diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini e delle cittadine non possono essere “differenziati” in base al luogo e alla regione di nascita!

I diritti – di cittadinanza, sociali, di salute… –  sono per loro natura universali e devono essere esigibili in ugual misura sull’intero territorio nazionale.

Abbiamo già esempi e storie di “autonomie” che coinvolgono drammaticamente le persone: i bambini e le bambine, le famiglie in particolare, stante il sistema sociale che già differenzia servizi e risorse tra una regione e l’altra penalizzando appunto i più fragili.

Eppure l’Italia ha ratificato la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel 1991 e dovrebbe, quindi, attenersi rigorosamente al principio di non discriminazione normativamente sancito! Non è così!

Ci sono deroghe costanti e nulla è “pari” e “uguale” già ora nel nostro Paese. Questa “strada differenziata” per il sociale non ha affatto migliorato le condizioni di vita delle persone. Le ha solo discriminate, divise, e questo è inaccettabile.

Questa scellerata e insensata norma sull’autonomia differenziata peggiora ulteriormente una situazione/condizione di disuguaglianza che già conosciamo perché già in atto a danno delle persone, tutte, non solo le più fragili.

Per questo, questa norma va interamente abrogata, nel rispetto della nostra Costituzione, a sostegno dei diritti universali di tutte le persone residenti in qualunque luogo del nostro Paese.

Per questo io firmerò il referendum e spero che in molti lo facciano.

Jenny De Salvo

Sono nata in Sicilia, ho studiato in Emilia Romagna, vivo e lavoro in Toscana. Il luogo dove ho vissuto ha determinato la qualità della mia vita, a seconda di quanto i diritti riconosciuti per legge diventassero per me accessibili ed esigibili. La legge sull’autonomia differenziata rende la diseguaglianza normalità, l’esclusione dai diritti strutturale. Ma i diritti o sono per tuttə o non sono. Sosteniamo insieme con le nostre firme il referendum contro la legge sull’autonomia differenziata!

Silvia Salucci, presidente del CNCA Emilia Romagna

Francesco Pallante in “Spezzare l’Italia” premette: “uno scenario a breve scadenza: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, le regioni più ricche del Paese, che insieme valgono il 40% del Pil nazionale, mettono fine all’unità d’Italia. Sanità, istruzione, musei, giustizia di pace, lavoro, sostegno alle imprese, trasporti, strade e autostrade, ferrovie, porti e aeroporti, paesaggio, ambiente, laghi e fiumi, rifiuti, edilizia, energia, enti locali passano integralmente alla competenza delle regioni”.

Nel 1991, quando Bossi urlava all’indipendenza della Padania, pensavamo che questo progetto strampalato, arricchito da coloriti rituali (ricordate le ampolle con l’acqua del Po?) non sarebbe mai approdato da nessuna parte, se non in una visione distopica della nostra, già a quei tempi, povera patria.

Siamo riusciti a perdere di vista questa scellerata controriforma senza una mobilitazione civile. Dobbiamo proprio dircelo.

Noi operatori del sociale, siamo dentro a un quotidiano complesso, coinvolti da emergenze umanitarie, immersi nella gestione dei nostri servizi territoriali, ma già comprendiamo, a chiare lettere, quello che ci attende: l’Italia si dividerà ulteriormente in territori forti e deboli aumentando le diseguaglianze sociali, rendendo l’Italia ancora meno libera ed ancora meno giusta.

Noi, come realtà di CNCA, abitiamo i nord, i centri e i sud del mondo e attraversiamo meridiani e paralleli per poi dimenticarci dove ci troviamo, se non fosse per quello sguardo, quella storia e quel nome.

Possiamo, con facilità, immaginarci cosa significherà operare in territori ulteriormente abbrutiti da disuguaglianze sociali, dove le leve statali saranno sostituite da politiche regionali miopi e arroccate sui propri interessi. E chi si farà garante di tutto questo se lo Stato non avrà più il potere di intervenire? Può una riforma dal sapore esclusivamente economico (fondamentalmente dove deve andare la raccolta fiscale) tenere la visione su diritti costituzionali?

Noi realtà del sociale che sappiamo bene cosa significhi non essere visto, non avere identità, non avere cure, non avere servizi scolastici e sanitari adeguati, dobbiamo firmare perché tutto questo si trasformi in un referendum abrogativo (e ci siamo vicini perché in tanti abbiamo già sottoscritto), per poi tornare al voto, per poi tornare a Regioni realmente a servizio della Repubblica e dei suoi cittadini.

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Mariano