Pseudo-ostruzione intestinale cronica: da una chirurgia ‘demolitiva’ a una più ‘conservativa’

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Dott.ssa Alessandra Masin (Padova): “La chirurgia del passato ci è stata utile ma oggi non è più la prima scelta”

L’intervento chirurgico è da sempre considerato uno degli approcci di cura più rapidi ed efficaci per molte malattie intestinali, da quelle infiammatorie ai tumori, fino alla stipsi cronica. Negli ultimi decenni, tuttavia, grazie alle nuove conoscenze su queste patologie e all’evoluzione delle terapie, il paradigma di trattamento è cambiato, spostandosi verso strategie sempre più conservative. L’iter è stato questo anche per la pseudo-ostruzione intestinale cronica (CIPO): la più rara e grave patologia della motilità gastrointestinale, caratterizzata da episodi acuti e ricorrenti di occlusione e subocclusione simili a un'ostruzione meccanica ma in realtà causati dal malfunzionamento dell’apparato neuromuscolare enterico. “Oggi l’intervento chirurgico non è più il trattamento d’elezione per la CIPO: si predilige un approccio farmacologico, e la chirurgia - quando strettamente necessaria - è comunque più ‘risparmiosa’ e selettiva rispetto al passato”, spiega la dott.ssa Alessandra Masin, Dirigente Medico dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Generale 3 dell’Azienda Ospedale Università di Padova.

LA CHIRURGIA DEL PASSATO

Quand’ero specializzanda, la pseudo-ostruzione intestinale cronica quasi non si conosceva: veniva considerata una forma di stipsi cronica particolarmente severa”, racconta la dott.ssa Masin. “Gli interventi di colectomia erano piuttosto frequenti, ma non sempre si dimostravano risolutivi, soprattutto nel caso di pazienti giovani che - come avremmo scoperto in seguito - presentavano una disfunzione neuromuscolare panenterica [che interessa l’intero intestino, N.d.R.]. Negli anni l’approccio è cambiato in maniera abbastanza radicale e da quando sono diventata medico strutturato avrò eseguito giusto un paio di interventi di colectomia”.

Questo, però, non significa che la chirurgia del passato sia da ‘demonizzare’. “Se siamo arrivati a fare questi enormi passi avanti nella comprensione dei meccanismi patogenetici alla base della CIPO lo dobbiamo in gran parte proprio alla chirurgia”, precisa Masin. “Solo grazie all’acquisizione di numerosi campioni anatomici, che sono stati studiati con indagini via via più approfondite e raffinate, siamo riusciti a individuare la disfunzione neuromuscolare alla base della malattia”. Il problema della pseudo-ostruzione intestinale cronica, infatti, è funzionale e risiede nella peristalsi, la famosa ‘spinta’ dell’intestino, che nel caso della CIPO può essere deficitaria o completamente assente. Alla base di questa disfunzione del transito intestinale ci possono essere anomalie del sistema nervoso enterico (neuropatia viscerale), della muscolatura liscia (miopatia viscerale) o delle cellule interstiziali di Cajal (mesenchimopatia). Il malfunzionamento della peristalsi porta questi pazienti a manifestare sintomi molto gravi e invalidanti: dolori addominali lancinanti, vomito, diarrea o stipsi intrattabile, malassorbimento e perdita di peso (nel bambino ritardo della crescita), tanto che si rende spesso necessaria l’alimentazione per via parenterale.

CHIRURGIA OGGI: SI O NO?

Uno degli interventi chirurgici più frequenti nella CIPO è proprio quello volto a predisporre un accesso vascolare per la somministrazione endovenosa di nutrienti (nutrizione parenterale). “Anche l’esecuzione di biopsie è un intervento ordinario: soprattutto quando sono profonde e mirate permettono di ottenere informazioni utili a capire il tipo di patologia che affligge il paziente e muoversi di conseguenza”, spiega la dott.ssa Masin.

“Al di là di queste operazioni basilari, la questione dell’efficacia del trattamento chirurgico per la CIPO è ad oggi controversa”, prosegue l'esperta. “Di fatto, l’intervento operatorio non ha più una sua valenza in prima battuta e - vista la disponibilità di procinetici e lassativi di nuova generazione - si tende a privilegiare un approccio farmacologico. Eppure ci sono casi in cui l’intervento chirurgico rappresenta un vero e proprio salvavita per il paziente. A volte, ad esempio, la distensione del colon (megacolon) è tale da comprimere i polmoni, impedendo al paziente di respirare; in queste condizioni, inoltre, il rischio di perforazione intestinale – una delle complicanze più gravi e difficili da trattare – è altissimo. La colectomia rappresenta allora l’unica soluzione praticabile, anche se talvolta non risolutiva”.

In generale, dovrebbero essere evitate inutili laparotomie esplorative, che potrebbero causare aderenze, complicando in maniera significativa il decorso clinico. “Le nuove procedure chirurgiche mininvasive permettono di ridurre drasticamente questo tipo di complicanze - aggiunge Masin - ma a volte sono comunque necessari nuovi interventi di colectomia ‘a cielo aperto’ per porre rimedio alle conseguenze indesiderate di operazioni precedenti (aderenze, danni ischemici, occlusioni, ecc.). Con la rimozione totale o parziale del colon, infatti, si asporta la cornice che protegge e sostiene il piccolo intestino, il quale, una volta privo di appoggio, è libero di ‘vagare’ per l’addome, formando volvoli e bloccando il transito”.

In conclusione, quindi, gli interventi chirurgici indicati per la pseudo-ostruzione intestinale cronica sono riparativi o palliativi, come la colectomia totale, l’enterostomia esterna, la duodeno-digiunostomia e la duodenoplastica. “Al momento non esistono farmaci in grado di ripristinare la fisiologica motilità intestinale compromessa dalla CIPO, ma un approccio terapeutico mirato può ridurre i sintomi e migliorare la qualità della vita delle persone affette dalla patologia. Per questo è fondamentale che ogni paziente possa rivolgersi a un centro di riferimento per la CIPO, dove l’esperienza e la competenza nel combinare trattamento farmacologico e chirurgico siano in grado di offrire un percorso il più possibile personalizzato”, conclude la dott.ssa Masin.

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info@osservatoriomalattierare.it (Giulia Virtù)