La trilogia dei Sarmenta: l'opinione di Lorenzo Di Lauro • Las Vegas edizioni

Compatibilidad
Ahorrar(0)
Compartir

Lorenzo Di Lauro ci ha scritto per esprimerci la sua opinione sulla trilogia dei Sarmenta di Giuse Alemanno. La condividiamo con piacere sul nostro blog!


Come belve feroci è l’inizio di un lungo viaggio di oltre novecento pagine e tre volumi, che Giuse Alemanno riserva con la sua penna sferzante alle vicende legate alla famiglia Sarmenta. Mattanza e Nero finale completano il quadro di una trilogia, firmata Las Vegas edizioni, dai forti richiami cinematografici. L’autore li ha abilmente costruiti attraverso il sapiente spargimento di citazioni memorabili, appartenenti soprattutto agli universi leoniano e tarantiniano.

Oppido Messapico, paese fittizio che rappresenta una Puglia violenta e lontana dagli scenari da cartolina, è il luogo d’esordio delle vicende narrate. Le descrizioni e i dialoghi tra i personaggi appaiono fin da subito truculenti e immergono il lettore in un’atmosfera cupa che persiste senza tregua per l’intera saga.

Tuttavia un’ironia sporadica, spesso anche macabra, contraddistingue in alcuni tratti la narrazione e i personaggi: l’umorismo alleggerisce il clima di tensione che si respira nel corso di una lunga ricerca, alla base della quale prevale la volontà di vendetta.
È proprio l’ironia l’ingrediente principale alla base del rapporto tra i cugini protagonisti delle vicende.
Massimo e Santo Sarmenta sono diversi tra loro, ma complementari, esattamente come Tex Willer e Kit Carson, la leggendaria coppia del fumetto sul cui modello l’autore costruisce battibecchi di nizziana ispirazione che contribuiscono all’affezione da parte dei lettori.
Massimo è cinico, freddo e impulsivo, Santo è un calcolatore spietato: così diversi, così vicini. Uniti nel dramma familiare che vede la morte dei rispettivi genitori per mano della ‘Ndrangheta, Massimo e Santo cedono all’impulso della vendetta, inseguendo i responsabili degli omicidi fino in Val Camonica, nella provincia di Brescia, quindi a Milano, di nuovo ad Oppido Messapico, che diviene teatro di sanguinosi crimini, per far poi tappa conclusiva in Calabria. In questa terra Ciro Barrese, il gran burattinaio che si erge a capo dell’organizzazione, ha tessuto con sapienza una vischiosa ragnatela criminale, che risponde ai suoi comandi e non si fa scrupoli ad eliminare avversari scomodi su sua richiesta.

La trilogia dei Sarmenta è dunque una lunga e intensa storia dai forti caratteri pulp, un microcosmo rappresentato da cattivi e meno cattivi, dove ad incarnare le uniche due figure “positive”, sviscerate dal mondo criminale che le avvolge, sono due donne: la Simo, eroinomane di Milano, e Giovanna, ex prostituta calabrese, rispettivamente attratte da Santo e Massimo. I rapporti sessuali rappresentati trovano compimento solo nella dimensione carnale, non lasciando alcuno spazio al sentimento: le donne subiscono la violenza degli uomini, ma anche il fascino delle loro personalità. Tra di esse vi è suor Aurelia, che viene meno agli impegni del celibato ecclesiastico per soddisfare la propria esigenza di piacere, che resterà inappagata dopo la partenza di Santo dalla Val Camonica.

Lo spargimento di sangue è un’altra costante irrinunciabile. Una catena di omicidi a ripetizione spazza via prima i responsabili della morte di Vittorio e Paolo Sarmenta, genitori dei protagonisti, quindi gli sgherri di Barrese, che non si fa scrupoli ad eliminare chi considera un ostacolo alle sue viscide trame.

E poi vi è il tema dei soldi, la terza s dopo sesso e sangue, ma non meno importante: è la proposta di acquisizione di uno stabilimento di calcestruzzo a convincere Costantino Rochira a sfogare i propri rancori nei confronti dei Sarmenta con l’uccisione di Paolo e Vittorio. Sono poi proprio i soldi sottratti a Madre Renata e Giovanni Argento, complici di Barrese, a permettere a Santo e Massimo di pianificare la loro vendetta.

La trilogia si snoda in modo armonico, approfondendo il lato introspettivo dei personaggi principali, e non rinunciando ad incursioni di figure realmente esistite appartenenti al mondo del potere. Anche l’autore si concede un simpatico cameo, come Hitchcock e Scorsese, quasi voglioso di oltrepassare la carta e vivere in prima persona gli sviluppi delle vicende. Come ne Il Padrino, dominano scene di pranzi e cene tra uomini d’affari e malviventi, come se le decisioni importanti, quelle che determinano lo svolgersi delle vicende, venissero prese esclusivamente nei momenti più piacevoli della giornata.

Se Come belve feroci e Mattanza sono dominati dalla violenza che abbatte qualsiasi sentimento di razionalità, Nero finale è forse il più riflessivo dei tre libri, dove i personaggi, forse catturati dalla bellezza del paesaggio calabrese, sembrano quasi rimuginare sull’enorme mole di delitti disseminata nel loro percorso.

Tuttavia la trilogia conserva nella sua interezza un coinvolgimento e una coerenza narrativa impressionante, che rende la lettura scorrevole, piacevole e coinvolgente. Il lettore si immedesima negli stati d’animo dei personaggi, riconosce la dimensione criminale di Massimo e Santo, ne prende le distanze dai metodi e dai delitti, ma è in grado di comprenderne il dolore, la sete irrefrenabile di vendetta. E ne apprezza la lunga ricerca, i dubbi, le perplessità, ma soprattutto il senso di affetto che li lega alla famiglia, e che li tiene uniti anche laddove le circostanze sembrano essere in grado di dividerli.


Lorenzo Di Lauro è nato a Rimini nel 1998. Ha pubblicato i due romanzi di narrativa “Il gran burattinaio” e “La pietra insanguinata”. Collabora con il periodico Clinamen, per il quale si occupa di letteratura e cinema e per la Community sportiva Calcio Totale.

Questo è il suo profilo Facebook.

Detalles de contacto
Redazione