Scrivo per passione da tutta la vita. Professionalmente, da quasi vent’anni.
In tutto questo tempo, ho sbagliato tantissimo.
Errori semplici o marchiani, disastri o piccoli contrattempi, flop di vario tipo. Ma la cosa mi riempie di soddisfazione. Perché? Sono sadomasochista? Mi piace sbagliare apposta? No.
Perché sbagliare ha fatto di me un professionista.
Scrivere è (soprattutto) sbagliare e riscrivere
Fin dal primo approccio, pensiamo (sbagliando!) che la scrittura sia ispirazione e basta. Che chi scrive sia un genio romantico, che si fa ispirare (dalla natura, da un bel ragazzo o ragazza, da un prosecco, quel che volete) e poi scrive. Senza poi riscrivere, naturalmente: è tutto già perfetto, geniale. Invece, scrivere vuol dire soprattutto scrivere qualcosa che non funziona – sbagliare, quindi – e poi riscrivere. Riaggiustare. Buttare via tutto, a volte.
L’errore è solo uno: fermarsi!
Quando iniziamo a scrivere, naturalmente, non partiamo con l’idea di scrivere un’atroce porcheria. Tutti vogliamo scrivere qualcosa di bellissimo. Ma non è mai così. Perché poi ci scontriamo con i nostri limiti. Sbagliamo. E a volte capita di dover ricominciare daccapo, magari rammaricandoci per il tempo sprecato. Ma sono davvero errori, questi?
No. L’errore, di solito, è uno solo: fermarsi. Pensare di essere troppo bravi (non è vero) o troppo scarsi (neanche questo è vero). Invece, chi ha il coraggio di continuare a scrivere per migliorare una sceneggiatura, un romanzo, un racconto o un post come questo, vince. Perché il testo in questione, di solito, migliora davvero. Magari dopo un po’ di tempo, per rivederlo a mente fredda. Il poeta latino Orazio lo chiamava labor limae. Hemingway diceva: write drunk, edit sober. Insomma: scrivi senza preoccuparti di sbagliare, fare errori, sprecare tempo. Poi rivedi il tutto a mente fredda. Io, poi, ci aggiungo anche un terzo step, per essere certo di comunicare al meglio.
Così si migliora. E la paura sparisce. Non stai solo scrivendo quell’unica riga, magari pessima, in tutta la tua vita. Quella riga è solo una tra le milioni che scriverai, se solo avrai il coraggio di non fermarti. Il coraggio di sbagliare e di accettare che sbagliando si migliora.
Andrew Stanton, il regista di Alla ricerca di Nemo, dice che ognuno di noi ha in sé almeno mille pagine orrende. Quindi, tanto vale scriverle tutte il prima possibile e togliercele dal sistema.
Il tennista Andrea Agassi, nel suo bellissimo Open, dice invece che quello che l’ha reso un campione è stato il metodo del padre (per quanto duro): battere diecimila palline, per altrettante giocate. Ne sbaglierai tantissime, ma ne prenderai molte altre. E diventerai sempre più bravo.
Di nuovo: sbagliare ci rende migliori.
Scrivere è un esperimento scientifico
Ma c’è il giudizio del pubblico. Che è quello che ci spaventa di più, che sia una persona (una moglie, un marito, un amico, un parente) o milioni di spettatori. E se anche qui sbagliamo?
Di nuovo: nessuno parte con l’idea di scrivere qualcosa di pessimo. Ma se succede?
In un altro libro molto bello, Verso la Creatività e Oltre, Ed Catmull, presidente e co-fondatore della Pixar, spiega che dovremmo paragonare la creatività a un esperimento scientifico.
Uno scienziato fa un’ipotesi. La mette alla prova con un esperimento. Se funziona, bene: l’ipotesi è confermata. Se non funziona, l’ipotesi viene smentita. Ma nessuno si sogna di prendersela con lo scienziato, no? Ha solo fatto un’ipotesi. Quando invece una persona creativa fa un film, scrive un libro, disegna un fumetto e questa opera non piace o non funziona, ce la prendiamo con quella persona. Che però non ha “sbagliato”: la sua ipotesi non era quella giusta, tutto qui. Il creativo imparerà allora che quell’idea non funziona… e penserà alla prossima.
Questo deve essere il nostro atteggiamento. Così fanno i professionisti.
Ricordiamo le opere che ci hanno emozionato
Scriviamo, sempre. Sbagliamo e miglioriamo. Funziona? Ottimo. Non funziona? Abbiamo sbagliato: ora sappiamo che così non funziona. Se andiamo avanti, dimenticando la paura di sbagliare e considerando l’errore come una parte normale, anzi, fondamentale, del nostro processo creativo, allora diventiamo davvero invincibili.
Tanto, tra qualche anno, nessuno ricorderà più quel “fallimento”, a parte noi. Perché alla fine, ricordiamo le opere che ci hanno emozionato, ci hanno trasformato, ci hanno aiutato a ricominciare.
Certo, bisogna continuare a scrivere.
Quindi, torno a scrivere.
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Roberto Gagnor è docente del nostro Corso Online di Sceneggiatura Cinematografica.
Scrivo per passione da tutta la vita. Professionalmente, da quasi vent’anni.
In tutto questo tempo, ho sbagliato tantissimo.
Errori semplici o marchiani, disastri o piccoli contrattempi, flop di vario tipo. Ma la cosa mi riempie di soddisfazione. Perché? Sono sadomasochista? Mi piace sbagliare apposta? No.
Perché sbagliare ha fatto di me un professionista.
Scrivere è (soprattutto) sbagliare e riscrivere
Fin dal primo approccio, pensiamo (sbagliando!) che la scrittura sia ispirazione e basta. Che chi scrive sia un genio romantico, che si fa ispirare (dalla natura, da un bel ragazzo o ragazza, da un prosecco, quel che volete) e poi scrive. Senza poi riscrivere, naturalmente: è tutto già perfetto, geniale. Invece, scrivere vuol dire soprattutto scrivere qualcosa che non funziona – sbagliare, quindi – e poi riscrivere. Riaggiustare. Buttare via tutto, a volte.
L’errore è solo uno: fermarsi!
Quando iniziamo a scrivere, naturalmente, non partiamo con l’idea di scrivere un’atroce porcheria. Tutti vogliamo scrivere qualcosa di bellissimo. Ma non è mai così. Perché poi ci scontriamo con i nostri limiti. Sbagliamo. E a volte capita di dover ricominciare daccapo, magari rammaricandoci per il tempo sprecato. Ma sono davvero errori, questi?
No. L’errore, di solito, è uno solo: fermarsi. Pensare di essere troppo bravi (non è vero) o troppo scarsi (neanche questo è vero). Invece, chi ha il coraggio di continuare a scrivere per migliorare una sceneggiatura, un romanzo, un racconto o un post come questo, vince. Perché il testo in questione, di solito, migliora davvero. Magari dopo un po’ di tempo, per rivederlo a mente fredda. Il poeta latino Orazio lo chiamava labor limae. Hemingway diceva: write drunk, edit sober. Insomma: scrivi senza preoccuparti di sbagliare, fare errori, sprecare tempo. Poi rivedi il tutto a mente fredda. Io, poi, ci aggiungo anche un terzo step, per essere certo di comunicare al meglio.
Così si migliora. E la paura sparisce. Non stai solo scrivendo quell’unica riga, magari pessima, in tutta la tua vita. Quella riga è solo una tra le milioni che scriverai, se solo avrai il coraggio di non fermarti. Il coraggio di sbagliare e di accettare che sbagliando si migliora.
Andrew Stanton, il regista di Alla ricerca di Nemo, dice che ognuno di noi ha in sé almeno mille pagine orrende. Quindi, tanto vale scriverle tutte il prima possibile e togliercele dal sistema.
Il tennista Andrea Agassi, nel suo bellissimo Open, dice invece che quello che l’ha reso un campione è stato il metodo del padre (per quanto duro): battere diecimila palline, per altrettante giocate. Ne sbaglierai tantissime, ma ne prenderai molte altre. E diventerai sempre più bravo.
Di nuovo: sbagliare ci rende migliori.
Scrivere è un esperimento scientifico
Ma c’è il giudizio del pubblico. Che è quello che ci spaventa di più, che sia una persona (una moglie, un marito, un amico, un parente) o milioni di spettatori. E se anche qui sbagliamo?
Di nuovo: nessuno parte con l’idea di scrivere qualcosa di pessimo. Ma se succede?
In un altro libro molto bello, Verso la Creatività e Oltre, Ed Catmull, presidente e co-fondatore della Pixar, spiega che dovremmo paragonare la creatività a un esperimento scientifico.
Uno scienziato fa un’ipotesi. La mette alla prova con un esperimento. Se funziona, bene: l’ipotesi è confermata. Se non funziona, l’ipotesi viene smentita. Ma nessuno si sogna di prendersela con lo scienziato, no? Ha solo fatto un’ipotesi. Quando invece una persona creativa fa un film, scrive un libro, disegna un fumetto e questa opera non piace o non funziona, ce la prendiamo con quella persona. Che però non ha “sbagliato”: la sua ipotesi non era quella giusta, tutto qui. Il creativo imparerà allora che quell’idea non funziona… e penserà alla prossima.
Questo deve essere il nostro atteggiamento. Così fanno i professionisti.
Ricordiamo le opere che ci hanno emozionato
Scriviamo, sempre. Sbagliamo e miglioriamo. Funziona? Ottimo. Non funziona? Abbiamo sbagliato: ora sappiamo che così non funziona. Se andiamo avanti, dimenticando la paura di sbagliare e considerando l’errore come una parte normale, anzi, fondamentale, del nostro processo creativo, allora diventiamo davvero invincibili.
Tanto, tra qualche anno, nessuno ricorderà più quel “fallimento”, a parte noi. Perché alla fine, ricordiamo le opere che ci hanno emozionato, ci hanno trasformato, ci hanno aiutato a ricominciare.
Certo, bisogna continuare a scrivere.
Quindi, torno a scrivere.
Ha scritto il post
Roberto Gagnor scrive per Topolino dal 2003. Ha firmato più di 200 storie Disney in italiano e inglese, tra cui Topolino e il Surreale Viaggio nel Destino e il ciclo della Storia dell’Arte di Topolino. Ha studiato regia ai Film&TV Workshops di Rockport (USA) e alla Scuola Holden con Abbas Kiarostami, e sceneggiatura al VII Corso RAI-Script a Roma. Ha vinto “Talenti in Corto” nel 2011, col cortometraggio Il Numero di Sharon. Il suo primo film da sceneggiatore, Sommer Auf Dem Land (Detail Film / Black Forest Films) è uscito nel 2012 in Germania e Polonia. È co-autore di Food Wizards in produzione con RAI e Zocotoco. È il co-fondatore di Magical Realist. Insegna sceneggiatura all’Accademia 09 (Milano) e all’Ist. Cinematografico Antonioni (B.Arsizio), oltre a tenere laboratori di fumetto per ragazzi. Collabora con Il Post.