Il gruppo dei ribelli M23 ha dichiarato la presa di Goma. La Repubblica Democratica del Congo sprofonda nel caos. Miniere, etnie e geopolitica. Quali sono le origini e gli interessi dietro a questa guerra?
Il dramma che si sta consumando da anni nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) ora è visibile a tutti.
Lunedì 27 gennaio, i ribelli dell’M23 hanno annunciato di aver preso il controllo di Goma, il capoluogo del Nord Kivu, regione strategica e ricca di risorse minerarie nel nord est del Paese. Questa offensiva ha aggravato una situazione umanitaria già drammatica, causando oltre 400mila sfollati e aumentando le tensioni tra la RDC e il Ruanda, accusato di sostenere i ribelli.
Un conflitto radicato nella storia
La crisi affonda le sue radici nei conflitti etnici e geopolitici della regione dei Grandi Laghi. In questa zona (che comprende il Ruanda, la Repubblica Democratica del Congo ma anche il Burundi, l’Uganda, la Tanzania e il Kenya), i principali gruppi etnici sono gli Hutu e i Tutsi. Nel 1994, in Ruanda, gli Hutu massacrarono centinaia di migliaia di Tutsi.
Dopo questo tragico evento i Tutsi ripresero potere in Ruanda e costrinsero molti Hutu a migrare in Repubblica Democratica del Congo.
L’M23 stesso è formato prevalentemente da Tutsi e si considera il difensore della minoranza tutsi congolese. Il gruppo è nato nel 2012 come erede del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), un’altra milizia attiva nel Nord Kivu. Il suo nome richiama l’accordo del 23 marzo 2009, che prevedeva l’integrazione dei combattenti Tutsi nell’esercito congolese, accordo che secondo i ribelli non è mai stato rispettato. Già nel 2012 l’M23 riuscì a occupare Goma per dieci giorni, ma fu costretto a ritirarsi a seguito di forti pressioni internazionali, inclusa quella degli Stati Uniti sul presidente ruandese Paul Kagame.
Il deteriorarsi della situazione
Dal 2021 l’M23 ha ripreso la sua offensiva, estendendo il territorio sotto il suo controllo e ponendo sotto assedio Goma. Nel gennaio 2025, i ribelli hanno completato l’accerchiamento della città, occupando centri strategici come Minova e Sake. Nonostante gli appelli delle Nazioni Unite e il tentativo di una mediazione regionale, il gruppo ha proseguito l’avanzata, costringendo l’esercito congolese a una ritirata e provocando scontri tra le forze congolesi e quelle ruandesi lungo il confine.
Le ragioni della nuova offensiva dell’M23 non sono solo politiche ed etniche, ma anche economiche. Il Nord Kivu ospita importanti miniere di coltan, un materiale essenziale per la produzione di microchip e dispositivi elettronici. Controllare questa regione garantisce ai ribelli introiti significativi, stimati in circa 800mila dollari al mese. Inoltre, il controllo delle rotte commerciali tra la RDC, l’Uganda e il Ruanda consente all’M23 di imporre pedaggi e aumentare le proprie risorse.
Il ruolo del Ruanda e le reazioni internazionali
Il Ruanda continua a negare il suo coinvolgimento diretto nel conflitto, ma diverse fonti internazionali – dalle Nazioni Unite agli Stati Uniti – hanno confermato il suo sostegno ai ribelli. Secondo i report dell’ONU, fino a 4mila soldati ruandesi sarebbero presenti nella RDC, equipaggiati con armi avanzate come mortai e visori notturni.
A differenza del 2012, il Ruanda oggi gode di una maggiore stabilità diplomatica. La sua partecipazione a eventi internazionali, come la riunione del Commonwealth del 2022, lo ha reso meno vulnerabile alle pressioni occidentali. Inoltre, la sua economia è meno dipendente dagli aiuti internazionali rispetto al passato, riducendo l’efficacia delle sanzioni economiche come strumento di pressione.
Uno scenario incerto
Mentre i presidenti della RDC e del Ruanda, Félix Tshisekedi e Paul Kagame, si preparano a un incontro d’emergenza mediato dal Kenya, la popolazione civile subisce le conseguenze del conflitto. Migliaia di persone sono costrette alla fuga, mentre Goma diventa il simbolo di una guerra che sembra senza fine.
Se la comunità internazionale non interverrà con decisione, la crisi rischia di peggiorare ulteriormente, alimentando instabilità e violenza in una regione già martoriata da decenni di conflitti.
[Fonte: Il Post]
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