Intervista a Lorenzo Guerini - Assintel

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Membro della Camera dei deputati della Repubblica Italiana

Guerini, Lorenzo – Uomo politico italiano (n. Lodi 1966). Laureato in Scienze politiche e di professione consulente assicurativo, ha iniziato la sua carriera politica all’inizio degli anni Novanta militando nella Democrazia cristiana e venendo eletto per due volte consigliere comunale a Lodi. Dal 1995 al 2004 è stato presidente della Provincia di Lodi e dal 2005 al 2012 sindaco di Lodi, eletto in rappresentanza di una coalizione di centro-sinistra. Nel 2013 è stato eletto alla Camera dei Deputati nelle fila del Partito democratico, di cui nello stesso anno è stato nominato membro della segreteria nazionale. Dal 2014 al 2017 è stato vicesegretario del PD. Alle elezioni politiche del 2018 è stato rieletto alla Camera e nello stesso anno è stato eletto presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), carica ricoperta fino al 2019. Dal 5 settembre 2019 al 22 ottobre 2022 è stato ministro della Difesa, prima del secondo governo Conte e poi del governo Draghi. Alle elezioni politiche del 2022 è stato rieletto alla Camera nelle fila del PD e nello stesso anno presidente del Copasir.

L’intelligenza artificiale sta diventando sempre più centrale nelle strategie di difesa. Come possiamo assicurarci che l’Europa non diventi dipendente da tecnologie sviluppate al di fuori dei suoi confini, mantenendo così la nostra sovranità digitale?
Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, peraltro ancora nelle fasi iniziali ma che presenta già tutte le sue potenzialità, è senza dubbio un passaggio tecnologico che è possibile definire epocale, termine abusato ma che in questo caso credo sia adatto a descrivere l’influenza che l’AI avrà su tutti gli ambiti della vita individuale, sociale, economica, culturale e politica. È evidente che anche per ciò che riguarda il settore della difesa questo impatto comincia già a influire sui processi e sull’operatività dei sistemi, anzi sulla logica stessa con cui si “pensano” tali sistemi. Direi, anzi, che la difesa è uno degli ambiti dove la ricerca e l’applicazione dell’AI trovano un terreno fertile e produttivo di sviluppi significativi. Ciò detto non a caso ho utilizzato il termine “potenzialità”, che incorpora sia le straordinarie opportunità sia i possibili alti rischi, e questo in molteplici direzioni, compreso l’equilibrio geo strategico (che investe ovviamente anche gli ambiti economici). In questo senso il ruolo dell’Europa è certamente rilevante e chiama l’Unione a occuparsi con puntualità degli impatti dell’AI e anche dell’implementazione delle proprie capacità di ricerca e industriali perché ne facciano un attore importante a livello globale in questo settore. L’approvazione lo scorso marzo da parte del Parlamento europeo di una legge dedicata è sicuramente il segnale che il tema AI è cominciato ad entrare nell’agenda europea. Indubbiamente però, se questa legge affronta innanzitutto i diritti delle persone e la loro protezione, l’Europa non può non continuare ad affrontare la questione della sua sovranità tecnologica e digitale. Ne va della sua capacità di essere protagonista nei nuovi scenari globali che anche con l’avvento dell’AI subiranno, se già non subiscono, rilevanti mutazioni. E siamo di fronte a scelte non solo tecniche ma primariamente politiche. Occorre mettere in comune le capacità tecnologiche e industriali già presenti, stabilire le priorità e le linee strategiche e prevedere corposi e a lungo termine investimenti in capo all’Unione. Il pacchetto che la Commissione ha presentato nel 2021, sulla base della Comunicazione del 2018, ha bisogno di essere implementato e anche con velocità. La straordinaria rapidità dell’avanzamento tecnologico rischia di travolgere i processi decisionali che a livello europeo sono necessariamente elaborati. Una cosa è certa, solo l’Unione europea nel suo complesso può essere in grado di evitare una dipendenza da altri attori, sapendo bene che i singoli Stati non hanno le forze e le capacità per essere competitivi. Questo incide ovviamente anche sul livello di sicurezza interna e sulla capacità di essere “resistenti” a possibili influssi esterni non benevoli. In sostanza quella dell’AI è una sfida tra le più decisive e urgenti per una Unione europea che voglia tutelare i suoi cittadini e rendersi capace di influire a livello globale.

La sovranità digitale europea è sempre più minacciata da giganti tecnologici extraeuropei. La NIS2 punta a rafforzare la nostra resilienza cibernetica, ma siamo davvero pronti a fronteggiare minacce sempre più sofisticate? Quali sono le lacune più urgenti che dobbiamo colmare per proteggere le nostre infrastrutture strategiche? Crede che le recenti iniziative dell’UE, come il Digital Services Act e il NIS2, siano sufficienti? Oppure serve un approccio più aggressivo per difendere le nostre PMI e il nostro patrimonio tecnologico?
Che attori esterni siano interessati a influire sul flusso di informazioni e dati che riguardano i singoli Stati e la UE nel suo complesso mi pare sia un fatto assodato, dimostrato da diverse prove. D’altra parte alcuni di essi lo dichiarano con una certa schiettezza. Questo implica prima di tutto una presa di consapevolezza comune che si deve tradurre in una condivisione di strumenti affinché la tutela della sicurezza cibernetica sia sempre più raffinata ed efficace. Le iniziative finora adottate segnalano una presa di coscienza e possono produrre i risultati sperati ma siamo in un ambito in cui l’evoluzione dello scenario, velocissima, richiede un loro costante aggiornamento. Accanto a questo è evidente che, come detto sopra per quanto riguarda l’AI, la ricerca e lo sviluppo in ambito extra europeo chiamano l’Europa a trovare le forme e i modi più efficaci per essere in grado di essere competitiva in questi settori. Anche in questo caso occorre saper comporre specifici interessi nazionali con una visione unitaria a livello europeo.

Con l’istituzione di un Commissario alla difesa, si apre una nuova fase per la cooperazione europea…
La scelta di nominare un Commissario alla difesa è una buona notizia. Finalmente, verrebbe da dire. Naturalmente si tratta ancora solo di un passo verso l’obiettivo, non più differibile, della costruzione di una difesa europea compiuta. È una necessità per l’Europa, per diverse ragioni e su diversi fronti. Se pensiamo che già De Gasperi individuava nella difesa europea un elemento che avrebbe dovuto caratterizzare una Europa davvero unita, capiamo il ritardo col quale si è affrontato un tema che invece era e rimane cruciale. In questi ultimi anni si è presa consapevolezza che la difesa comune è un settore dove si gioca la capacità dell’Europa di essere protagonista nell’evoluzione, anche drammatica, degli scenari mondiali. Ma occorre essere chiari: anche in questo caso la scelta è eminentemente politica e non solo tecnica. Significa che non è possibile limitarsi a quello che, con una definizione parziale e fuorviante, viene definito un “esercito europeo”. È necessario invece che l’Europa sia in grado di individuare le priorità comuni, gli strumenti per perseguirle e la volontà di utilizzarli per raggiungere i risultati previsti. A partire da una base tecnologica ed industriale condivisa, fino ad arrivare alla costruzione di capacità militari comuni. Un’attività tutta politica come si capisce che non credo possa aspettare ancora a lungo per essere praticata con convinzione e determinazione.

Nell’ambito della difesa europea, come può l’Italia giocare un ruolo da protagonista senza sacrificare le sue specificità industriali e tecnologiche? È possibile conciliare integrazione europea e protezione del nostro patrimonio nazionale? Come evitare che l’Italia rimanga ai margini di questo processo, specialmente nella difesa del nostro know-how tecnologico e industriale?
L’Italia è un Paese fondatore dell’Unione europea e con eccellenze industriali in ambito difesa riconosciute a livello continentale e mondiale. Un fatto che richiede ovviamente la responsabilità e la capacità di mantenere alto il proprio protagonismo nel processo di integrazione europea. Questo sta già accadendo, basti guardare la partecipazione dell’industria italiana ai programmi europei non di rado con ruolo di guida. Naturalmente la sfida è importante: l’approccio che ancora i diversi Stati europei rischiano di adottare è, per certi versi comprensibilmente, solo la difesa della propria industria nazionale, magari a scapito di concorrenti “interni”. Con questo non voglio dire che non sia utile e opportuno garantire e incentivare a livello nazionale lo sviluppo dell’industria di settore. Da Ministro della difesa ho emanato a suo tempo una direttiva sulla politica industriale proprio con l’obiettivo di fissare i contorni della collaborazione, nei rispettivi ambiti di responsabilità, tra lo Stato e l’industria. Credo però che, come già detto, questo si debba inserire all’interno di una visione della difesa europea che sistematizzi le capacità dell’industria in rapporto alle scelte politiche che ne caratterizzano gli obiettivi. La capacità dell’industria di muoversi all’interno dei mercati è possibile che vada più veloce delle scelte politiche e questa possibilità, che è dettata dalle esigenze industriali, chiama la politica ad avere maggior coraggio e una prospettiva chiara, in particolare nello stanziamento di risorse adeguate e nella elaborazione di procedure comuni sui programmi. Detto questo l’integrazione europea non può che portare vantaggi anche all’Italia e alla sua industria se gestita e governata secondo linee strategiche tanto chiare e condivise quanto necessarie.

L’Europa sta aumentando il suo sostegno all’Ucraina, ma a che prezzo per la nostra sicurezza interna? Siamo davvero preparati a fronteggiare le possibili ripercussioni, anche in termini di attacchi cibernetici o destabilizzazione economica?
Il sostegno europeo all’Ucraina è indispensabile per la stessa Europa. Sono in gioco i principi e i valori alla base della democrazia e del diritto internazionale. E l’Europa, e in essa l’Italia, hanno opportunamente scelto di stare dalla parte della libertà e del diritto di fronte alla criminale invasione dell’Ucraina da parte di Putin. Che questo comporti delle conseguenze è un rischio possibile e che sta nelle cose, ma in Ucraina sono messi in discussioni i fondamenti della convivenza civile. Il che non significa che non si debbano adottare tutte le misure necessarie per una puntuale prevenzione e un efficace contrasto a possibili azioni che incidono sulla sicurezza. Ma questi rischi non possono e non devono mettere in dubbio la scelta da che parte stare: cioè dalla parte del diritto internazionale e della garanzia della sovranità e della libertà dei popoli.

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