Spesso mi chiedono da dove nasca la mia ispirazione per le storie che racconto, e rispondere non è mai facile. Per Il deserto di Carcosa, il mio –>ultimo romanzo pubblicato e che dal 15 al 19 maggio 2025 parteciperà al Salone Internazionale del Libro di Torino, la risposta ha radici profonde che intrecciano l’immaginario americano del primo Novecento con qualcosa di molto più antico e vicino a noi: la mitologia mediterranea, che quasi sempre utilizzo nelle mie storie.
L’incontro con Carcosa e “Il Re Giallo”
Tutto è iniziato con la passione provata per l’immaginario di Robert W. Chambers e la sua raccolta di racconti “Il Re Giallo” (1895). Chambers creò un’opera che oggi definiremmo di “horror cosmico”, dove una misteriosa città chiamata Carcosa e un misterioso testo teatrale intitolato “Il Re Giallo” infettano la mente di chi li conosce, portando follia e disperazione.
Questa città immaginaria, Carcosa, è un luogo di rovine antiche, laghi neri, e cieli strani con due soli. Un luogo onirico e terrificante che richiama la nostra paura dell’ignoto.
Ma ciò che mi ha sempre affascinato è come questa creazione americana potesse dialogare con la nostra tradizione mediterranea. Come un mito “straniero” potesse essere reinterpretato attraverso le lenti della nostra cultura millenaria, ampliando perciò lo spettro di ciò che riteniamo vicino alla nostra esperienza e, al contempo, disturbante.
La “mediterraneizzazione” di Carcosa
Nel mio romanzo Il deserto di Carcosa, ho voluto trapiantare questo mito in un contesto italiano, più precisamente nella provincia di Verona. Perché? Perché credo fermamente che il “fantastico mediterraneo” abbia caratteristiche uniche che lo distinguono dal fantastico nordico o anglosassone, e che quest’ultimo possa essere adattato e reinterpretato in modo nuovo, legandolo a processi narrativi o esistenziali tipici della gente mediterranea.
Il nostro è un fantastico di luce accecante, non di nebbie. Di calore che consuma, non di freddo che pietrifica. Di paesaggi eventualmente aridi e polverosi, e non tanto di foreste impenetrabili. Soprattutto, è un fantastico dove il confine tra realtà e “altro” è più sottile, quasi quotidiano, in virtù di una cultura che ha sempre giocato sulla sottile linea che divide la realtà dall’immaginazione. Basti pensare al fatto che la fiaba moderna è nata in Italia, grazie a Giambattista Basile attraverso il suo Pentamerone.
Nel romanzo, ho trasformato Carcosa in un luogo che, pur mantenendo le sue caratteristiche di alterità e pericolo, si manifesta in modo diverso:
- Il calore invece della nebbia: la minaccia di Carcosa si percepisce nell’afa soffocante dei pomeriggi estivi della pianura veneta, all’interno di una villa rinascimentale.
- La luce invece dell’oscurità: i segni del “Re Giallo” appaiono nei momenti di luce più intensa, abbagliante, che distorce la percezione, in mezzo al pieno divertimento.
- Le ville rinascimentali e gli ipogei retici invece dei castelli gotici: i portali tra i mondi si aprono in luoghi antichi, dove la storia ha stratificato significati nei quali siamo tutti immersi, noi che viviamo in Italia.
I B.R.A.V.I. e i loro legami con la tradizione mediterranea
I protagonisti del romanzo, un gruppo di adolescenti che si fanno chiamare i B.R.A.V.I., sono radicati nella cultura italiana non solo per ambientazione, ma anche per i loro archetipi.
Stefano Luschi, con il suo desiderio conscio di vivere un’adolescenza normale e quello inconscio di comprendere i segreti familiari, rappresenta l’eroe mediterraneo per eccellenza: non un predestinato, ma qualcuno che si trova coinvolto suo malgrado in eventi più grandi di lui. Un po’ come era già successo con Geshwa Olers, il mio eroe che ha dato il titolo al mio romanzo più lungo (oltre 3500 pagine complessive, –>Storia di Geshwa Olers).
Marco Costantinescu, con la sua identità divisa tra origini rumene e vita italiana, incarna la complessità dell’identità mediterranea contemporanea, fatta di stratificazioni e contaminazioni.
Nadia, che affronta il lutto per la madre e una misteriosa trasformazione, richiama le figure femminili della nostra tradizione che spesso fungono da medium tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Il “lupo nel cielo” come metafora mediterranea
L’antagonista principale, “il lupo nel cielo”, è forse l’elemento dove la fusione tra il mito di Carcosa e la mitologia mediterranea diventa più evidente.
Questo essere, che si manifesta come una nuvola cangiante nel cielo, unisce:
- La natura proteiforme e inafferrabile delle entità di Chambers
- L’immediatezza visiva e la teatralità proprie della tradizione mediterranea
- Il simbolismo del lupo, figura ambivalente nelle culture dell’Europa meridionale, ma riferita da Yaheya, figlio di immigrati nord-africani.
Non è un caso che nel romanzo il lupo appaia spesso in momenti di vita quotidiana, durante una gita a Gardaland o guardando il cielo da una finestra. Nella tradizione mediterranea, il soprannaturale non è confinato in castelli abbandonati o cimiteri, ma può manifestarsi in pieno giorno, in mezzo alla normalità.
Il “segno giallo” e la malattia mediterranea
Un altro elemento che ho reinterpretato è il famoso “segno giallo” di Chambers, simbolo di contaminazione e follia. Nel mio romanzo, questo segno si manifesta come una sorta di febbre che consuma lentamente, richiamando le epidemie che storicamente hanno colpito il Mediterraneo.
La malattia non è solo fisica, ma anche una trasformazione dell’identità, una perdita di sé che rispecchia l’alienazione contemporanea, particolarmente sentita nelle nostre società mediterranee in rapida trasformazione.
La famiglia come nucleo della resistenza
Se in Chambers l’individuo è spesso solo di fronte all’orrore cosmico, nella mia reinterpretazione mediterranea è la famiglia a essere al centro della resistenza contro le forze di Carcosa.
I Luschi, con i loro segreti tramandati, con “L’antidoto“ custodito gelosamente, rappresentano la capacità di resistenza della famiglia, realtà eminentemente mediterranea, con le sue ombre e le sue luci.
Non è un caso che il confronto finale con il “lupo nel cielo” avvenga in una villa abbandonata, dove ciascun membro del gruppo ha un ruolo specifico, come in una famiglia allargata.
Conclusioni: un ponte tra mondi
Scrivere “Il deserto di Carcosa” è stato per me un modo per gettare un nuovo ponte tra mondi apparentemente distanti: l’immaginario americano di fine Ottocento e la nostra antichissima tradizione mediterranea.
È stato anche un modo per esplorare ciò che definisco il “filone mediterraneo della narrativa fantastica”, un approccio che valorizza le peculiarità della nostra cultura senza cadere nei soliti stereotipi turistici dell’Italia.
In questo senso, Il deserto di Carcosa si inserisce nel percorso iniziato con L’isola dei morti, cercando di definire un fantastico autenticamente nostro, che parli al presente senza dimenticare le radici profonde della nostra identità culturale.
E voi, quali elementi della mitologia mediterranea vorreste vedere reinterpretati nella narrativa fantastica contemporanea? Lasciate un commento qui sotto o scrivetemi.
Fabrizio Valenza è scrittore di narrativa fantastica e fondatore di Albero del Mistero, scuola di scrittura creativa online. Tra le sue opere: “L’isola dei morti” e il recente “Il deserto di Carcosa”. Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo sui social e iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti.