Slow Food Travel Valdarno – © Archivio Slow Food

Dal 2010 vivo in un’area interna, in cima a una collina. Gli abitanti del capoluogo del Comune, dicono che io abito “in campagna”: loro, novemila anime circa, hanno una stazione ferroviaria regionale, scuole fino alla secondaria di primo grado e un piccolo supermercato.

Dove abito io, appena fuori da una frazione di duecento anime, il pulmino scolastico passa a prendere i bambini poco dopo le sette per arrivare a dieci chilometri di distanza dopo un’ora. La questione si complica per chi frequenta le superiori. Per contro, all’inizio del secolo scorso, c’era il fornaio, il calzolaio, il fabbro, il falegname, persino la locanda. Fino agli anni Ottanta, mentre le attività artigianali si esaurivano, c’era ancora la piccola scuola con le classi miste e i bambini andavano a scuola a piedi.

Adesso restare lì è possibile per i pensionati fintanto che sono autonomi, per i privilegiati che non hanno la fastidiosa impellenza di recarsi a lavoro, o per i “resistenti”: persone che deliberatamente scelgono, nonostante tutto, di metter su famiglia lì.

Tutta la retorica intorno ai “borghi”, che pure è una bella parola, è stata controproducente: ha creato un immaginario poetico artificioso ed evanescente utile a vendere fine settimana e casali di lusso, ma non ha certo sostenuto le comunità locali.

Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia
L’articolo completo è disponibile dal pomeriggio di martedì 15 aprile