Parliamo di “prezzo giusto” con il referente dei produttori della ciliegia Moretta di Vignola
La stagione delle ciliegie è finita, e con lei anche quella delle polemiche per il loro prezzo, che nelle grandi città del nord ha superato i 23 euro al chilo. In queste settimane si è scritto molto sulle ragioni di questa impennata, in particolare le gelate primaverili che hanno colpito la Puglia, regione dove si coltiva circa il 30% delle ciliegie italiane, compromettendo i raccolti. Per capirne di più sulle dinamiche – in campo e fuori – che determinano il prezzo delle ciliegie, abbiamo chiesto aiuto a Francesco Vaccari, giovane agricoltore e referente dei produttori del Presidio Slow Food della ciliegia Moretta, varietà di ciliegia tenerina tipica di Vignola, località emiliana nota per la produzione e il commercio di frutta. Un punto di vista privilegiato il suo, visto che l’Emilia-Romagna ha un peso notevole (quarta regione d’Italia) per quanto riguarda la coltivazione delle ciliegie, contribuendo per l’8% al totale.
«Qua da noi l’annata è stata molto buona, il bel tempo e le poche piogge hanno permesso alla frutta di essere meno soggetta agli incidenti di percorso, cioè i danni diretti dell’acqua e la possibile proliferazione di insetti, funghi e muffe – spiega Vaccari –. Il grosso del nostro mestiere lo fa ancora la natura, e in Puglia la natura non è stata clemente: il raccolto è stato la metà del solito, quindi i prezzi sono stati più alti».
L’importanza di spuntare un prezzo giusto
La regola della domanda e dell’offerta, insomma, vale ancora e se il prodotto scarseggia i prezzi salgono, al netto di possibili speculazioni. Ma non è tutto così semplice e lineare: a determinare il prezzo della frutta, spiega Vaccari, sono gli intermediari, soggetti a cui gli agricoltori conferiscono il raccolto e che si occupano poi di venderlo al pubblico. Come accade nella grande distribuzione organizzata, chi detta le regole del gioco non è chi produce: «Questi intermediari stabiliscono come dev’essere la frutta, ad esempio la pezzatura e la durata sul banco – aggiunge Vaccari –. Ma non solo: sempre più sovente stabiliscono anche altre caratteristiche. Nel caso delle ciliegie, ad esempio, si guarda la tipologia della buccia, che i consumatori vogliono soda e resistente, oppure il momento della raccolta, e infatti si privilegiano le varietà precoci o tardive, che consentono di spuntare prezzi più alti rispetto alla media. Sono gli intermediari che stabiliscono il prezzo: sia quello a cui comprano dai produttori la materia prima, sia quello a cui la rivendono».
Per gli agricoltori, conferire la frutta a un intermediario ha un unico vantaggio: avere un’entrata certa. Ma il sistema produce una serie di storture: «Oggi si tende a cogliere i frutti acerbi, per conservarli qualche giorno di più e allungare la stagione, ma questo va a discapito del gusto, delle proprietà nutritive e del grado zuccherino, che dipende dalla maturazione al sole sulla pianta». E poi c’è il tema dello spreco: «A nessun agricoltore piace buttar via il prodotto, ma per rispettare gli standard si scarta tutto ciò che non è adeguato, ad esempio le ciliegie di un calibro troppo piccolo». Quando ho iniziato questa attività – la mia non è una famiglia di agricoltori, ma di professionisti, medici, avvocati, lavorare la terra per me è stata una scelta precisa, in totale contrasto con quello che poteva essere il mio futuro – è stato scioccante realizzare quanta frutta, comunque buona, si buttava, solo perchè non aveva le caratteristiche richieste dal commerciante. Ho avuto fortuna, ho imparato tutto da un contadino anziano che gestiva il frutteto e che lavorava con passione le sue Morette.
Il punto, sostiene Vaccari, è che «si compra con gli occhi» e si produce seguendo «un’ottica di globalizzazione e di consumismo. Chi acquista dovrebbe informarsi di più, chi produce forse dovrebbe riflettere sul fatto che c’è un’alternativa alla logica «dell’avere tanta terra e rovinarsi la schiena per raggiungere quel quantitativo di raccolto che garantisce quel certo incasso a fine anno». L’alternativa è «coltivare meno terra, piantare roba buona, curare lo sviluppo delle piante, pubblicizzare al meglio il raccolto: il mestiere contadino non è più solo staccare la frutta dalla pianta e metterla nel cestino, ma educare il consumatore, convincerlo a sceglierti perché offri una qualità diversa. Quando vendi in modo diretto, e la gente che acquista ti guarda negli occhi, ti conosce, devi garantire un buon prodotto». Francesco non usa diserbanti, ma solo falciatrice e decespugliatore, e dove un tempo si irrigava ad allagamento ha fatto un impianto di irrigazione a goccia che usa solo in emergenza.
Inevitabile, a questo punto, parlare di “prezzo giusto”. Vaccari – che in totale ha 200 piante di ciliegie, di sette varietà diverse tra cui la Moretta Presidio Slow Food, in una superficie complessiva di poco meno di un ettaro – oggi vende le sue ciliegie a circa dieci euro al chilo. «Non sono regalate – commenta – ma io penso che per praticare prezzi più bassi da qualche parte si debba risparmiare, o sulla manodopera o nei trattamenti agricoli, e sotto i 5 euro al chilo chi fa la spesa dovrebbe farsi delle domande».
Il suo prezzo è comunque lontano dalle cifre stellari apparse in questa stagione in alcuni punti vendita del nord Italia, dove le ciliegie hanno toccato anche i 23-25 euro al chilo, quasi il triplo di quanto percepito dal coltivatore: «Secondo me bisogna stabilire un punto di arrivo e accontentarsi, che è un verbo bellissimo che racchiude dentro di sé la parola contentezza. Non voglio diventare ricco, accumulare ettari, voglio avere il tempo di stabilire relazioni, dare una mano ad altri colleghi che poi aiutano me. La dimensione della comunità è importante – conclude –. Io coltivo la Moretta, una varietà che oggi sta scomparendo ma che per me è la ciliegia più buona di tutte, oltre ad avere proprietà eccellenti, ad esempio per la ricchezza di polifenoli, che possiede in quantità doppia o tripla di molti duroni. Ma se viene pagata tre o quattro euro in meno al chilo rispetto a una varietà di duroni, chi me lo fa fare di coltivarla?».
Un tempo, a Vignola la Moretta rappresentava il 40% del totale delle ciliegie coltivate. Oggi è lo 0,8%. Rispetto alle varietà di durone più diffuse, la Moretta ha una resa del 50%, e si conserva meno perché ha una polpa più morbida, che rischia di ammaccarsi con più facilità nel trasporto, non a caso il suo mercato principale è locale. Eppure, proprio la caratteristica della sua polpa le ha consentito di superare quasi indenne l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna nel 2023: «Assorbe meno acqua dei duroni, che se prendono la pioggia rischiano di spaccarsi». Così, dopo l’alluvione, Vaccari ha perso solo il 4% della produzione di Moretta, rispetto al raccolto pressoché azzerato di duroni.
“Ne ho piantate 30 piante, che andranno in produzione dopo 8 anni. Ho fiducia: questo frutto è sempre stato il nostro cavallo di battaglia, ci ha fatto conoscere nel mondo, la spedivano perfino in Gran Bretagna. La tradizione che funziona è quella che qualcuno riesce a prendere e accompagnare nel tempo. Alcune cose devono cambiare – fa parte dell’evoluzione – ma la matrice deve rimanere”.