Nuove tutele per i lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche: timido passo in avanti o primo balzo in avanti di civiltà? - Azione Cattolica Italiana

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Eravamo fermi al 1924. Sulla legislazione riguardante i lavoratori con tumore o malattie invalidanti, croniche o rare eravamo fermi ai 180 giorni di malattia previsti da un Regio Decreto proprio del 1924. Da allora sono trascorsi 101 anni, mica bruscolini.

Purtroppo, nel lungo silenzio secolare del legislatore, è stata la giurisprudenza, a partire da consolidati orientamenti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a collocare progressivamente le malattie croniche nell’ambito di applicazione della disciplina antidiscriminatoria. E’ in questo contesto che il disegno di legge. sulla “conservazione del posto di lavoro” per i malati oncologici o con invalidità, pari o superiore al 74%, approvato di recente in Senato (dopo l’approvazione della Camera in primavera) è diventato legge. Esso prevede, per i dipendenti pubblici e privati, la conservazione del posto di lavoro fino a due anni senza retribuzione, chiedendo un periodo di congedo, continuativo o frazionato. Dopo questo periodo, i lavoratori potranno ottenere una corsia preferenziale prioritaria per l’accesso allo smart working, “ove la prestazione lavorativa lo consenta”. Inoltre, avranno a disposizione dieci giorni in più l’anno retribuiti per visite ed esami.

Le esigenze di questi lavoratori – sul piano sociale, sanitario, economico e occupazionale – sono rimaste a lungo prive di una disciplina adeguata per gli attuali tempi. E l’indossare gli occhiali più adatti possibili per leggere la realtà sarebbe uno dei compiti più importanti della Politica. Sicuramente meglio tardi che mai, ma forse pensarci prima sarebbe stato più di aiuto e sostegno a tante persone e famiglie.

COSA DICE LA LEGGE “SALVA-LAVORO”?

La norma, votata in maniera trasversale da tutti i gruppi, riguarda tutti i soggetti affetti da malattie oncologiche o da malattie invalidanti e croniche, anche rare, e dà diritto a congedi o a sospensioni dell’attività autonoma. Per i lavoratori dipendenti, dopo il congedo sarà prevista una “priorità nella conclusione degli accordi individuali di lavoro agile” ed è anche stato istituto un fondo annuale da 2 milioni di euro presso il Ministero dell’Università e della Ricerca. Queste risorse saranno destinate a premi di laurea intitolati alla memoria di pazienti oncologici, con l’obiettivo di valorizzare il legame tra ricerca, formazione e memoria. Questi premi vedranno un graduale aumento, di anno in anno, fino al 2035, quando il finanziamento entrerà a regime con 25,2 milioni l’anno. La proposta di legge era stata approvata dalla Camera nel marzo scorso ed era stata subito considerata una svolta significativa dalle associazioni di pazienti. Si tratta di un cambiamento senza dubbio importante, che ci fa compiere passi di civiltà rilevanti, perché in passato è capitato a molti lavoratori di essere licenziati allo scadere dei 6 mesi, previsti quale limite di assenza massima finora in vigore. Alla luce delle nuove regole, invece, il paziente oncologico potrà chiedere di assentarsi per ulteriori 18 mesi, sicuramente senza stipendio, sicuramente senza contribuzione (ai fini dell’anzianità e della pensione), sicuramente senza avere la possibilità di svolgere un altro tipo di attività lavorativa, ma con la garanzia assoluta di conservare il posto di lavoro. E’ questa la vera novità umanizzante. Inoltre viene garantito un incremento a 10 ore dei permessi retribuiti (attualmente in molti contratti collettivi nazionali ne sono previste 18, quindi si potrà arrivare fino a 28) per tutti i pazienti fragili soggetti a visite ed esami ravvicinati, o con figli con malattie oncologiche o di altro tipo che comportino un grado di invalidità di almeno il 74%. Per le ore di permesso aggiuntive rispetto ad altri permessi contrattuali, scatterà inoltre l’applicazione della disciplina prevista per i casi di gravi patologie che richiedono terapie salvavita, a carico cioè dei datori di lavoro. Sono previste più tutele anche per i lavoratori autonomi, con la possibilità di sospendere l’attività fino a 300 giorni all’anno per chi ha incarichi continuativi (attualmente tale sospensione è fino a 150 giorni). Per tali ore aggiuntive, si applica la disciplina prevista per i casi di gravi patologie richiedenti terapie salvavita, con riconoscimento di una indennità economica e della copertura figurativa ai fini previdenziali. Nel settore privato, l’indennità è anticipata dal datore di lavoro e recuperata per conguaglio sui contributi INPS; nel pubblico, sono previste misure specifiche per la sostituzione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario, con apposita copertura finanziaria. Le disposizioni si applicheranno dal 1° gennaio 2026.

Qualcuno lo definisce un primo passo decisivo verso un atto di giustizia e di umanità, qualcun altro parla di rafforzamento dei diritti e delle tutele dei malati oncologici, qualcun altro ancora lo bolla come un’occasione sprecata. Il dato è che in Italia, solo nel 2024, sono state ben 395mila le persone lavoratrici e lavoratori che hanno ricevuto una diagnosi di tumore, per un totale di circa 4 milioni di lavoratori-pazienti che potranno usufruire di questa norma salva-lavoro. E’ sicuramente un balzo in avanti di civiltà per i diritti dei lavoratori malati. Almeno possiamo affermare che, sulla questione, ritroviamo un bicchiere mezzo pieno, poiché prima di questa legge c’era un vuoto cosmico legislativo.

LACUNE E NERVI SCOPERTI DELLA LEGGE

L’obiettivo è chiaro: evitare che chi affronta patologie gravi rischi di perdere il lavoro dopo solo sei mesi di assenza, come spesso accade oggi. “Ma permangono delle lacune – ha dichiarato a caldo la segretaria generale della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO), Elisabetta Iannelli – che avremmo voluto vedere colmate da questa legge: dal divieto di lavoro notturno per i pazienti oncologici all’obbligo per i datori di lavoro di comunicare in anticipo la scadenza del periodo di comporto, dalle quali avremmo voluto che rimanessero fuori le assenze per terapie salvavita”.

Se la FAVO evidenzia come prima lacuna quella di essere un provvedimento di tutela parziale, l’esclusione delle Partite IVA e di chi ha un’invalidità inferiore al 74% dalla tutela del provvedimento è il secondo nervo scoperto. Come dire, un piccolo passo in avanti s’è fatto, ma anche quelle categorie di lavoratori andrebbero tutelate, visto che tumori e altre malattie non risparmiano chi non gode di contratti canonici, ma, come il sole sorge per tutti, possono colpire tutti e chiunque. Invece riguardo la soglia di invalidità fissata al 74% per accedere alle tutele, essa appare elevata e restrittiva, rischiando di escludere una parte significativa dei lavoratori con cronicità non gravissime ma comunque invalidanti.

DIGNITA’, SICUREZZA ECONOMICA E RECUPERO UMANO DEL LAVORATORE CON MALATTIE ONCOLOGICHE, INVALIDANTI E CRONICHE

Abbiamo, infine, un gigantesco elefante nella stanza. Lo abbiamo appositamente lasciato per ultimo. La nuova legge sui malati oncologici e invalidi rappresenta indubbiamente una piccola conquista, arrivata in ritardo: il riconoscimento, cioè, delle esigenze terapeutiche continuative, che non possono essere una tagliola che elimina il posto di lavoro ad un dipendente che sta affrontando, per esempio, una chemioterapia o un’invalidità semi-permanente. Ma c’è una realtà che è più tragica e ben peggiore di quella che possiamo immaginare, fatta di persone costrette a stare a casa con il cancro e senza soldi, sia che conservino il posto di lavoro (con la nuova legge), sia che siano disoccupati. Inoltre, forse, più che caricare gran parte del peso sulle spalle delle imprese, sia pur per un anticipo che in parte verrà loro restituito, spetterebbe allo Stato, come discorso generale, raccogliere queste grida di disperazione e incollare questi pezzi di sconforto, donando un supporto economico concreto a chi si sente abbandonato durante il decorso della malattia, da un intero sistema che, purtroppo, non riesce a proteggere e a custodire le persone. A sua volta, poi, lo Stato deve favorire formazione e accompagnamento verso concetti fondamentali come quello di “comunità educanti e inclusive”. Consentire la conservazione di un posto di lavoro, andando anche oltre i singoli colori partitici, è indispensabile. Garantire un salario minimo a tutti (soprattutto a chi vive, con la malattia, una situazione di disagio assoluto) significherebbe assicurare dignità e sicurezza economica ad ogni persona. Un segnale forte che coniugherebbe la dignità del malato con malattia cronica e la dignità socio-economica che spetta ad ogni persona. Praticamente, una piccola rivoluzione che aspettiamo da un secolo.

Perché è evidente che non si tratta di subordinare la tutela del lavoratore malato a esigenze produttive o di efficienza organizzativa, ma piuttosto di considerare in modo razionale e calibrato tutte le misure che possano garantire una continuità occupazionale effettiva, da una parte, e un sostentamento economico minimo, dall’altra. Per le persone affette da malattia cronica, il lavoro non rappresenta soltanto una fonte di reddito, ma costituisce anche un presidio essenziale di dignità e partecipazione sociale, oltre a svolgere, come attestato da numerosi studi della letteratura medico-scientifica, un ruolo positivo nei percorsi di recupero e stabilizzazione della condizione di salute.

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Movimento Lavoratori