Come si può avere fiducia quando tutto sembra crollare? A questa domanda cruciale, che interpella ogni uomo di fronte a guerre e divisioni, ha risposto l’incontro “Mattone su mattone. La forza dei legami”. Moderati da Giorgio Vittadini, i relatori hanno mostrato che la speranza non è un’attesa vana, ma un’opera concreta che riparte dal basso. Dalle cooperative sociali di Carpi che assistono persone con fragilità, al sostegno scolastico nel Rione Sanità di Napoli; dal delicato lavoro di tutela dei minori, alla fruttuosa collaborazione tra Terzo Settore e istituzioni nelle Marche, sono emerse storie di “minoranze creative” che, senza attendere soluzioni dall’alto, ricostruiscono il tessuto sociale. La riflessione finale del Cardinale Matteo Zuppi ha richiamato tutti al valore della gratuità e a un’alleanza per una speranza che non delude, perché fondata su legami reali che generano futuro. Leggi il testo dell’incontro.
MATTONE SU MATTONE. LA FORZA DEI LEGAMI
Domenica 24 agosto 2025
Ore 15:00
Auditorium D3
Intervengono
S.Em. Card. Matteo Maria Zuppi, presidente CEI, arcivescovo di Bologna. Testimonianze di Paolo Gobbi, presidente Centro servizi per il volontariato delle Marche e Luigino Quarchioni, Forum terzo settore Marche; Chiara Griffini, presidente Servizio Nazionale per la tutela dei minori della CEI; Maila Quaglia, Cooperativa Sociale Nazareno; Genny Guariglia, presidente Associazione Icaro, Napoli. Modera Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà
GIORGIO VITTADINI
Buongiorno, benvenuti a questo incontro dal titolo “Mattone su mattone: La forza dei legami”, che, come vi dirò adesso, ha come relatori costruttori dal basso della società e un grande valorizzatore di queste costruzioni che è Sua Eminenza Cardinal Zuppi, che ringraziamo subito infinitamente per la sua presenza. Se volete, la domanda non è una domanda da specialisti, ma è una domanda che abbiamo tutti: “Ma come si può sperare, aver fiducia in un momento in cui sembra che venga giù tutto? Ci sono le guerre, non si riesce a mettersi d’accordo, gli stati confliggono eccetera, eccetera. Come si può aver fiducia senza pensare che bisogna rifugiarsi nel piccolo e bello dimenticando il resto?
Allora io faccio riferimento a due frasi, una che ha segnato il pontificato di Papa Ratzinger, quello sulle minoranze creative, che il giorno in cui morì Giovanni Paolo II, Ratzinger era a Subiaco e disse: “In questo momento in cui viene giù tutto bisogna ripartire da minoranze creative, da luoghi dove si ricomincia a vivere la vita come era San Benedetto”. Era venuto giù tutto, stava venendo giù tutto e lui in quel posto che ancora sembra irraggiungibile adesso, quando fuori da Roma ha cominciato a costruire qualcosa che ha cambiato la società. Questa frase riecheggia un’affermazione del filosofo americano Alasdair MacIntyre che fu ripresa più volte da don Giussani, che diceva: “Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica, in quel momento, si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’Impero Romano. Il compito che invece si prefissero fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta”.
Allora, qui il tema che va sul titolo è “La forza del legame”. Cosa vuol dire la forza del legame? Cosa vuol dire l’idea di rapporti che rinascono, come vedrete, in luoghi che sembrano in situazioni impossibili, senza aspettare che il potere sia in grado di ricostruirle? La forza di legami rimette lì qualcosa che è una novità da subito per qualcuno. In quei punti qualcosa di buono rinasce, non aspetta l’impero che si puntelli, ma lì qualcosa di buono nasce. Questo non è un principio, diciamo, solo morale, è un principio fondamentale della dottrina sociale della Chiesa che è l’idea della sussidiarietà. La sussidiarietà, che fu proclamata nel ‘31 nella Quadragesimo Anno, sull’idea del che nessuna realtà a livello più alto può sostituire qualcosa che parte bene dal basso, ma che oggi nel 2025 dice qualcosa in più, che non è solamente un problema di organizzazione, ma che il punto di partenza sono luoghi dove rinasce l’umano, dove invece che l’egoismo dei singoli attraverso la mano invisibile porta al benessere collettivo nell’economia, o “homo homini lupus” in politica, il desiderio, la fede, l’ideale, ricostruiti lì danno la forza di una costruzione nuova lì che diventa poi piano piano un esempio che va in generale. E pensate che a tal punto oggi è sentito da tutti che un principio del genere l’ha ripreso l’ex governatore della Banca dell’India, Rajan, un grande economista a livello mondiale che ha scritto un libro dal titolo “Il terzo pilastro”, in cui dice: “Non basta più lo stato il mercato, ci vogliono luoghi dove rinasce qualcosa di nuovo”. Noi stiamo scommettendo su questo metodo, stiamo continuando a riportare e vedrete oggi cosa vuol dire. Poi sentiremo da Sua Eminenza Don Matteo, il cui nome è evocativo... Quindi, per vedere cosa voglia dire, infatti finisco questa introduzione dicendo due cose.
Prima, che questo porta non solo alla società, ma uno slogan che può essere strano tra di noi, ma che è più società, più stato, non più, come dicevamo magari 30 anni fa, solo più società meno stato, ma più società e più collaborazione con la pubblica amministrazione, tutti insieme, dato il problema. Come ci ha detto alla Fondazione per la Sussidiarietà, a cui abbiamo dato il primo premio sussidiarietà al presidente Mattarella, che ci disse: “La sussidiarietà, in primo luogo espressione e garanzia di libertà per le persone e i corpi sociali che concorrono all’interesse generale e che nella pluralità degli apporti si adoperano per rigenerare continuamente quei valori di umanità e di corresponsabilità che rappresentano uno dei portati più preziosi del nostro modello sociale, del modello sociale europeo”. Quindi un Presidente della Repubblica che sposa questo metodo e ci sentiva a costruirlo. Quindi noi qua oggi non parliamo del piccolo e bello, ma stiamo parlando di qualcosa che guarda tutto in generale e spera di essere metodo. Quindi sono molto curioso di sentire oggi cosa voglia dire e quindi introduco a questo punto, oltre a Sua Eminenza che ho già introdotto, i nostri interlocutori che sono innanzitutto Maila Quaglia, cooperativa sociale Il Nazareno, che ci racconterà di un’esperienza impressionante all’interno di persone portatrici di handicap nella città di Bologna. Poi Genny Guariglia, presidente dell’associazione Icaro a Napoli, che è nel Rione Sanità. Napoli non è solamente quello di negativo che si dice proprio lì. E poi abbiamo Chiara Greffini, presidente del Servizio Nazionale per la Tutela dei Minori della CEI, che ci racconta che anche quando ci sono situazioni difficilissime, si può riprendere. E infine abbiamo tra di noi Luigino Quarchioni, che è del Forum del Terzo Settore delle Marche e Paolo Gobbi, presidente del Centro Servizi per il Volontariato delle Marche, che ci mostrerà come questo ha a che fare col pubblico. Quindi un piccolo film che ci interessa vedere. Allora, do la parola innanzitutto a Maila. Prego.
MAILA QUAGLIA
Grazie, buonasera a tutti e grazie Giorgio. Io porto oggi la mia testimonianza pescando proprio dall’etimologia della parola “testimone”, colui che attesta, non colui che fa. La mia, anzi non avrei dovuto essere qui a parlare di quello che vi racconterò, ma coloro che hanno iniziato l’opera del Nazareno. Il mio contributo si inserisce in una lunga storia che parte da due collaboratori di un sacerdote negli anni ‘80, Sergio Zini e Marco Viola, attuali presidente e vicepresidente della rete delle cooperative Nazareno, che hanno avviato il primo centro diurno in un modesto luogo di una scuola alberghiera fondata negli anni ‘50 da questo sacerdote illuminato. Siamo nella città di Carpi, in provincia di Modena. Non c’è spazio per raccontare la storia di quest’uomo illuminato che nel dopoguerra inizia una serie di iniziative, tra le quali la più importante questo istituto alberghiero, per dare opportunità a giovani rimasti orfani dalla guerra e anche alle loro famiglie l’opportunità di una professione, di un lavoro, ma soprattutto le opportunità di una speranza di ricostruzione. Qualche anno fa qui al Meeting ci fu una mostra bellissima sulla storia di Don Ivo Silingardi, ma appunto oggi non è il contesto per raccontarvi di lui, mentre vi racconterò l’opera della comunione tra questi due grandi uomini che tutt’ora sono pietre vive di questa rete di cooperative dai quali tutto è nato, insieme a questo sacerdote. Negli anni ‘80 l’emergenza principale del territorio, ma un po’ in tutta Italia, non erano più i ragazzi rimasti orfani dalla guerra, ma cercare delle risposte per ragazzi con disabilità, di cui si veniva a conoscenza raramente perché erano sostanzialmente chiusi in casa. La cellula germinativa della cooperativa Nazareno nasce attorno a dare risposta a questi ragazzi, iniziando con l’apertura di un centro diurno e poi, seguendo le loro domande, le loro esigenze, è nato tutto quello che oggi abbiamo: una rete di cinque cooperative sociali che si sono strutturate poi negli anni ‘90 quando la legge ha permesso la nascita delle cooperative di tipo A e di tipo B, le une per l’assistenza e la riabilitazione e le cooperative di tipo B per l’inserimento al lavoro di persone svantaggiate. Il tutto è nato seguendo i bisogni delle persone, i loro desideri. C’è un aneddoto che ho piacere di condividere con voi, di Cesare che frequentava il centro diurno, è ancora oggi con noi, che disse a Marco: “Marco, mi hai imbrogliato, perché non hai ancora, mi avevi detto che mi aprivi il Nazareno di notte, ma il Nazareno di notte ancora non c’è”. E siccome Marco Viola era al telefono, con i telefoni che avevamo con il filo, Cesare pensò bene di recidere il filo del telefono per protestare rispetto a Marco che non aveva ancora aperto il Nazareno di notte. La prima il Nazareno di notte è nata, appunto, seguendo questo esempio che è un po’ l’emblema di tutto il resto che è nato, quindi diverse case, un centro di riabilitazione residenziale, ambiti formazione al lavoro, un centro di formazione professionale, tutto seguendo passo passo nel dialogo con l’amministrazione pubblica, che a volte ci ha favorito, a volte ci ha ostacolato, ma forse proprio per questi ostacoli la creatività si è sprigionata ancora di più. Oggi abbiamo questa grande realtà che dà da lavorare a circa 660 persone. Ci siamo resi conto di quanti eravamo quest’anno quando abbiamo fatto un piccolo pensiero a Natale per tutti i dipendenti e collaboratori. La mia storia con la cooperativa Nazareno inizia nel 2000. Cooperativa Nazareno si è sviluppata nella realtà del Modenese, Carpi in modo particolare. Io mi stavo laureando a Bologna e un direttore di un museo in centro desiderava realizzare un sogno, quello di aprire un museo gestito da pazienti con disturbi mentali e non trovò cooperative disponibili sul territorio ad occuparsi di questo progetto, che era un progetto un po’ strano, anche perché le cooperative in quegli anni erano prevalentemente occupate nell’ambito del verde, delle pulizie. La circostanza è stata fortuita. Questo direttore di un museo, che attraverso la conoscenza di un’altra persona conobbe Cooperativa Nazareno. Cooperativa Nazareno a Bologna non c’era, ma c’era Maila che cercava lavoro. Quindi io ho cominciato con la cooperativa Nazareno con questo gruppetto di pazienti usciti da un centro diurno in questo progetto di gestione di un museo in centro a Bologna. Non avrei mai immaginato che quella fu, come dire, diede il là a tutta una serie di iniziative che sono nate su Bologna nell’ambito della psichiatria che oggi ci vede impegnati nel campo della riabilitazione e dell’inserimento al lavoro. L’inserimento al lavoro si è sviluppato nell’area dei musei e non solo. Per quanto riguarda il bisogno invece di cura più intensiva negli ambiti residenziali, l’esperienza che più è significativa della nostra realtà è una residenza psichiatrica che accoglie persone giovanissime con disturbi mentali importanti. Questa struttura si chiama Casa Mantovani. È l’esperienza che drena la maggior parte delle mie energie e a distanza di un paio di anni dalla nascita di questa struttura nel 2006, di lì a poco sono nate altre iniziative sempre sulla salute mentale su Bologna, come dei gruppi appartamento, perché si è posta subito l’esigenza di dare una continuità post-residenza alle persone che non potevano rientrare al proprio domicilio. Questa è la realtà forse più complessa che ci troviamo di fronte ai nostri occhi oggi, perché è una realtà che chiede oltre che un saper fare, soprattutto un saper essere e un saper modellarsi rispetto ai bisogni emergenti, perché non immaginate una comunità psichiatrica come l’immaginario collettivo ce la può far immaginare, ma è un luogo, una casa dove sono accolti giovanissimi dai 18 ai 25 anni, che sono giovani che portano in modo caricaturale quelli che sono i dilemmi, i drammi che vive la generazione attuale, generazione che è segnata da un’antropologia che ha fatto dell’individualismo, della performance, delle bandiere di successo e di, come dire, di sviluppo della personalità, ma sono proprio quelle categorie che hanno messo in grande difficoltà tanti giovanissimi che hanno potuto difendersi dalle loro angosce interne facendo sintomi psicopatologici. Io credo che questa società sia una società che per questa antropologia ammala e questi giovani gridano che c’è qualcosa che dobbiamo cambiare. Innanzitutto dalle categorie con cui strutturiamo le nostre esistenze. Nell’invito a questo incontro Giorgio ha chiesto, ha fatto due domande: cosa il non profit può portare nella società. Io credo che il non profit, proprio perché ha alla base una posizione di una partenza di gratuità, un senza tempo mai, un senza tempo fine mai, porti uno slancio vitale di creatività, di desiderio, di voglia di costruire che nessun progetto a tavolino è in grado di mettere in campo. All’amministrazione pubblica ugualmente, noi portiamo un sano scompiglio, perché i progetti non possono nascere a tavolino, ma nascono da nomi e cognomi che si incontrano, da legami che si stabiliscono e che chiedono nel nostro lavoro un ripensamento giorno dopo giorno. La cosa che mi auguro e spero che questo incontro sia seguito anche da chi ci governa a livello locale, a livello regionale, nazionale, è di non fare attenzione a non inaridire queste esperienze propulsive che vengono appunto da chi si mette insieme per rispondere a dei bisogni, perché c’è una deriva di “managementizzazione”, perdonatemi il neologismo, a cui in qualche modo chi fa delibere e leggi ci vuole portare, che è una deriva, a mio avviso, molto pericolosa. Un esempio, per intenderci, la nostra realtà è nata con uno slancio e una vocazione riabilitativa molto forte. Oggi siamo finiti nella normativa delle case di cure private, perché siamo nel filone della riabilitazione e nell’ambito della sanità. Ecco, la grande sfida è quello di cercare di armonizzare queste richieste istituzionali con il cuore e i volti delle persone che si incontrano in una sfida non semplice anche per la disparità che c’è di risorse in questo settore, ma soprattutto perché siamo come guardati senza che chi ha il compito di fare delle leggi per noi ci conosca direttamente. Ringrazio del vostro ascolto e io mi fermerei qua, Giorgio, spero di essere stata nei tempi. Allora, passiamo da Bologna a Napoli con Genny.
GENNY GUARIGLIA
Vedremo un video per iniziare.
VIDEO
GENNY GUARIGLIA
Allora, come avete visto dal video, l’associazione Icaro è un’associazione che aiuta i ragazzi nello studio, però vorrei provare a raccontarvi quello che c’è dentro tutto quello che noi viviamo lì ad Icaro. L’associazione nasce dal desiderio di un gruppo di insegnanti e non, di dar vita a un luogo che potesse aiutare i ragazzi nella fatica dello studio, ma che soprattutto potesse condividere con loro la vita. Li aiutiamo, sono perlopiù ragazzi delle scuole superiori, quindi li aiutiamo nello studio delle varie discipline e facciamo lezione di italiano ai ragazzi stranieri (ce ne sono tanti, come avete visto anche dal video). Lavoriamo con le scuole del territorio. Il quartiere Sanità ha una densità altissima, quindi ci sono tantissime scuole intorno al nostro centro. Lavoriamo quindi con le scuole, con le famiglie e con il sostegno di Don Enrico Assini, che è il parroco del borgo. Quello che ho visto accadere in questi anni è che per i tanti ragazzi, i tanti volontari che poi si sono aggiunti a quel piccolo nucleo iniziale, Icaro diventa una famiglia. Famiglia è la parola che più ricorre quando loro raccontano l’esperienza da noi, penso perché c’è un clima di amicizia tra noi, un certo modo di vivere i legami tra noi che colpisce chi ci incontra e colpisce anche me. In particolare, personalmente ne ho potuto fare esperienza nell’ultimo anno e mezzo, perché nel dicembre 2023 io ho perso mio figlio di 18 anni Vittorio, a cui ora è intitolata la nostra associazione. Io sono tornata lì a Icaro subito dopo la sua morte e quando tornavo a casa la sera facevo una strana esperienza: avevo il cuore in pace e non riuscivo a spiegarmelo. Mi chiedevo: “Com’è possibile che nel mio cuore, dove c’è tanto dolore, c’è anche l’esperienza della pace?”. Mi sono accorta di questa cosa. Allora, che attraverso i volti che incontravo, attraverso le storie che lì incontravo, io vedevo accadere un miracolo, cioè il miracolo dell’umano che rifiorisce. Lì mi è evidente che la paura, il dolore, la fragilità non sono l’ultima parola sull’essere umano. Nicodemo aveva chiesto a Gesù: “Può un uomo rinascere quando è vecchio?”. Ecco, io dico sì, può rinascere. Può rinascere a 80 anni, che è l’età della volontaria più anziana che abbiamo, può rinascere a 15 anni, a 18 anni. Vista la brevità del tempo, vi voglio citare solo due esempi, due fatti accaduti quest’anno. Uno riguarda l’incontro con Ilaria, una ragazza che ha abbandonato la scuola a un certo punto. Quando è venuta a Icaro, lei attraversava un periodo di buio profondo, pensava che la sua vita non valesse più niente e che quella vita potesse anche finire lì. Poi l’ho vista piano piano uscire dal buio perché si è accorta, forse, semplicemente che qualcuno la stava aspettando così com’era e poco tempo fa ha scritto questo. Ha scritto: “Ho incontrato un luogo dove ho iniziato a respirare di nuovo, dove non c’era fretta di essere a posto, ma tempo per essere fragili. Ho incontrato persone che hanno saputo esserci in silenzio, con rispetto, con cura, senza mai dirmi cosa dovevo fare, ma facendomi capire che potevo farcela. Oggi so che si cade, ma so che ci si può rialzare grazie a qualcuno che ti fa capire che nonostante tutto meriti di essere visto e che ogni vita ha ancora dentro di sé questa possibilità. Io questa possibilità l’ho trovata grazie a Icaro”. Ilaria poi si è diplomata e oggi viene ad Icaro ad aiutare i ragazzi più piccoli. L’altro