Difetti della sintesi degli acidi biliari: la storia a lieto fine di Andrea, nato con un enzima mancante

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A causa della malattia, il ragazzo ha iniziato ad avere seri problemi al fegato fin dalla tenera età: una terapia efficace gli ha restituito la salute, evitandogli il trapianto d’organo

Quando Andrea è nato, il 14 marzo 2009, nulla lasciava presagire il complesso percorso clinico che avrebbe dovuto affrontare da lì a pochi mesi. Un cammino che i suoi genitori, Rinaldo e Letizia, raccontano con lucidità e una punta di ironia, nonostante i ricordi dolorosi. “Sulla storia di Andrea potrei scrivere un libro – spiega il padre – ma l’unica cosa che conta è che adesso stia bene. Oggi ha sedici anni ed è un ragazzo come tanti: va a scuola, gioca a calcio, suona nella banda di Pizzoferrato, esce con gli amici e, soprattutto, può ancora contare sul proprio fegato”. Il rischio di trapianto, infatti, è arrivato presto nella vita Andrea, e questo a causa del difetto della sintesi degli acidi biliari di tipo 1 (BASD di tipo 1), una rara patologia genetica caratterizzata dalla carenza di uno degli enzimi responsabili della trasformazione del colesterolo in acidi biliari primari.

LE PRIME AVVISAGLIE DELLA MALATTIA

Le prime problematiche di salute di Andrea sono sorte quando aveva poco più di un anno. “Lo vedevamo pallido e ‘spento’, ma la pediatra ci rassicurava, sostenendo che fosse solo a causa della scarsa esposizione alla luce solare”, ricordano i genitori. Poi, però, una febbre persistente, che non migliorava nonostante i cicli di antibiotici, iniziò a insospettire anche la dottoressa. I successivi esami del sangue evidenziarono una recente infezione da mononucleosi, ma non tutti valori alterati erano riconducibili al quadro infettivo. I giorni passavano e le indagini continuavano, facendosi sempre più approfondite: un’ecografia addominale mostrò la presenza di numerose microcisti epatiche. “Poco dopo, anche le feci divennero chiare (ipocoliche) e comparve l’ittero, a colorare di giallo le sclere degli occhi e a confermare l’evidente sofferenza epatica”, raccontano Rinaldo e Letizia.

Per la famiglia, il collegamento con un doloroso precedente fu immediato: il cugino di Andrea, anni prima, aveva affrontato un trapianto di fegato a Pittsburgh a causa di un’insufficienza epatica mai del tutto chiarita. “Quando ho sentito parlare di problema al fegato, ho pensato subito: eccoci di nuovo”, ricorda il padre. “Avevo seguito da vicino la vicenda di mio nipote ed ero angosciato all’idea di dover vivere di nuovo quel calvario con mio figlio”.

LA DIAGNOSI

Dopo un primo ricovero all’Ospedale pediatrico di Ancona, fu il gastroenterologo prof. Carlo Catassi a ipotizzare che Andrea fosse affetto da un difetto congenito della sintesi degli acidi biliari. Per confermarlo, però, era necessario eseguire un sofisticato test sulle urine: una spettrometria di massa in grado di individuare la presenza di metaboliti atipici che si accumulano proprio a causa dell’interruzione della catena di sintesi degli acidi biliari. “I campioni vennero inviati all’Università di Amsterdam e, nell’attesa del risultato, Andrea fu sottoposto a una biopsia epatica, che avrebbe dovuto contribuire all’accuratezza della diagnosi; la prima valutazione istologica, tuttavia, venne mal interpretata, allontanando temporaneamente l’attenzione dall’ipotesi iniziale”, racconta con rammarico il padre.

Rinaldo, però, era convinto della veridicità dell’ipotesi del professor Catassi. “Ho portato personalmente i vetrini della biopsia all’Istituto Mediterraneo per i Trapianti IRCCS di Palermo, dove finalmente è stata formulata la diagnosi: BASD di tipo 1. Il risultato di Amsterdam, arrivato poco dopo in via ufficiosa, ha confermato il quadro”.

UNA PATOLOGIA CHE COMPROMETTE LA SALUTE DEL FEGATO

Il BASD di tipo 1 è una delle due forme più comuni dei difetti della sintesi degli acidi biliari (BASD), un gruppo di disordini genetici, a trasmissione autosomica recessiva, contraddistinti da una ridotta o assente funzionalità degli enzimi coinvolti nella trasformazione del colesterolo in acido colico e acido chenodesossicolico, gli acidi biliari primari.

Come spiega il dott. Francesco Cirillo, pediatra epatologo del Santobono-Pausilipon di Napoli, che segue Andrea da anni, “questa categoria di patologie porta a due conseguenze: da un lato la carenza di acidi biliari primari, fondamentali per la digestione e l’assorbimento dei grassi; dall’altro l’accumulo di metaboliti intermedi tossici, che danneggiano il fegato e, in alcune forme di malattia, anche il sistema nervoso”. In genere, i BASD si presentano con una malattia epatica cronica caratterizzata da colestasi (riduzione o arresto del flusso della bile dal fegato all’intestino), steatorrea (eccesso di grassi nelle feci), iperbilirubinemia diretta e incremento delle transaminasi. “In questi piccoli pazienti con colestasi, il riscontro di livelli normali di gamma-glutamil transferasi (GGT, un importante marcatore biochimico della salute epatobiliare) rappresenta un elemento caratteristico e distintivo rispetto alle malattie colestatiche più comuni”, specifica l’epatologo.

“Anche mio figlio, infatti, presentava valori di gamma-GT nella norma”, ricorda il padre di Andrea. “Questo è stato uno dei fattori che hanno orientato i medici verso l’ipotesi di un difetto congenito della sintesi degli acidi biliari. Molto probabilmente anche mio nipote era affetto dalla stessa patologia”.

LA SVOLTA: LA PARTECIPAZIONE ALLO STUDIO CLINICO SU UN NUOVO FARMACO

Nel 2011, quando Andrea ha ricevuto la diagnosi ufficiale di BASD di tipo 1, esistevano già numerose evidenze sull’efficacia del trattamento della patologia con acido colico. All’epoca, il farmaco era ancora in fase di sperimentazione ed era in valutazione in uno studio clinico coordinato dall’Università di Cincinnati (USA). Andrea fu arruolato nel trial, a cui poteva partecipare rimanendo in Italia e ricevendo l’acido colico dall’America: purtroppo, a causa di alcune problematiche burocratiche e della scarsa comunicazione tra il centro statunitense e l’ospedale italiano presso cui il ragazzo era seguito in quel periodo, la consegna del farmaco iniziò con quasi un anno di ritardo. 

“Quando finalmente arrivò l’acido colico ci avvisarono del fatto che, per notare i primi benefici, avremmo dovuto aspettare almeno due o tre mesi”, raccontano Rinaldo e Letizia. “Eppure, dopo soli tre giorni di terapia mio figlio iniziò a mostrare un netto miglioramento: le feci erano di nuovo normali e il colorito del viso era cambiato. È stato incredibile”, ricordano con emozione. 

Oggi l’acido colico è disponibile in commercio anche in Italia e Andrea lo assume due volte al giorno, con controlli semestrali. Rinaldo ha sempre spiegato la malattia al figlio come la semplice carenza di una sostanza: “Non sei malato, ti manca solo un enzima. Per questo ogni giorno devi reintegrare l’acido colico con questa capsula”.

UNA NUOVA VITA GRAZIE AD UNA TERAPIA EFFICACE

Oggi Andrea è un adolescente, sportivo, impegnato e responsabile. Fra due anni inizierà ad essere seguito da specialisti dell’età adulta, ma sta già diventando autonomo nella gestione di una terapia che gli ha permesso di condurre una vita normale e di evitare un trapianto di fegato.

“Se penso al calvario che abbiamo passato con mio nipote trent’anni fa e a come è andata a mio figlio posso dire che siamo stati fortunati”, conclude il papà. “Abbiamo incontrato ostacoli, sì, ma anche le persone giuste nei momenti cruciali. E questo, insieme alla possibilità di accedere ad un farmaco realmente efficace, ha fatto sì che tutto andasse per il meglio”.

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info@osservatoriomalattierare.it (Giulia Virtù)