Gazzetta del Mezzogiorno 14 settembre 2025
Dopo il passo indietro del consorzio azero composto da Baku Steel Company e Azerbaijan Investment, la situazione per la ex-Ilva sembra complicarsi ulteriormente cosa vi aspettate ora?
La situazione si sta fortemente aggravando e assumendo connotazioni drammatiche sul piano industriale e sociale. Basta analizzare gli ultimi eventi, si ritira il soggetto imprenditoriale col la migliore offerta presentata nel primo bando di gara dall’amministrazione straordinaria e dal Governo, si anticipa l’incontro per la richiesta di Cassa integrazione per altri mille lavoratori.
Ci aspettiamo un’immediata convocazione a Palazzo Chigi. Il Governo deve scegliere un nodo ormai evidente a tutti dopo un anno dall’apertura del bando.
Quale sarebbe?
Ci sono o no soggetti privati che intendono partecipare al rilancio del più importante impianto siderurgico del nostro Paese? Se non ci sono, deve essere lo Stato a fare da capo fila. La storia economica e industriale del nostro Paese ha già visto casi simili di ruolo attivo dello stato in settori strategici.
Il Governo ha ulteriormente allungato più tempo per presentare le offerte, al momento restano solo gli indiani di Jindal Steel International e il fondo statunitense Bedrock Industries?
Due offerte che nella prima fase del bando di Gara non erano state giudicate all’altezza degli obiettivi posti dal bando: investimenti industriali, piano di decarbonizzazione e soprattutto massimo impatto occupazionale.
E sembra che nessuna cordata Italiana si affacci per partecipare all’offerta per l’intero perimetro di ADI?
E’ veramente singolare l’atteggiamento degli industriali italiani. C’è chi spera in un ridimensionamento dell’ex-Ilva per non avere tra i piedi un potenziale concorrente e chi facendo passi indietro invoca solo l’intervento statale. Se l’acciaio di qualità è un asset strategico ed è indispensabile per la competitività di tutta l’industria del nostro Paese, tutti dovrebbe dare la propria disponibilità a stare nella partita.
Nonostante la situazione si faccia sempre più grave, a livello territoriale continua a regnare l’incertezza sugli investimenti strategici per rilancio e decarbonizzazione a partire dalla necessità di una nave rigassificatrice essenziale per il DRI?
Come organizzazioni sindacali in maniera unitaria nel confrontarci sulle ipotesi di rilancio ci siamo assunti le priorità della salute, dell’ambiente, dell’occupazione e quindi della solidità del piano dal punto di vista industriale e del processo di decarbonizzazione. Per noi la sostenibilità ambientale cammina insieme alla sostenibilità sociale. Non ci stiamo ai ricatti su salute e su occupazione. Quindi il piano industriale che abbiamo sostenuto e sosteniamo, prevede l’integrità di tutta Acciaieria Italia, i tre forni elettrici e i quattro DRI a Taranto, un altro forno elettrico a Genova. Da attuare in otto anni in un processo di transizione che prevede l’ingresso graduale dei forni elettrici e lo spegnimento dei tre altoforni in esercizio, prevedendo quindi la revisione dell’attuale AIA in versione decarbonizzata con tempi definiti. La fornitura di energia, a partire dal gas, è una conseguenza ed una necessità per la tenuta del piano industriale.
E’ la posizione che avete espresso in più occasioni, anche di fronte ai gruppi parlamentari?
Si l’abbiamo ribadita sia alla politica nazionale che a quella locale. Una volta scelta finalmente la via della decarbonizzazione, il tutto deve poi quadrare con un progetto industriale sostenibile sul piano economico e sociale. Diversamente rischiamo un altro delitto industriale come Bagnoli, con ripercussioni per anni gravissime sul piano sociale e soprattutto ambientale.
Come sindacato avete fatto una richiesta di incontro urgente a Palazzo Chigi cosa temete?
Temiamo la ricerca di un alibi da parte della politica, sia di maggioranza che di opposizione, per la chiusura o per il ridimensionamento. Respingeremo qualsiasi offerta al ribasso. Lo ribadiremo con forza e determinazione di fronte al governo e ai commissari, il piano industriale deve prevedere la produzione di otto milioni di tonnellate, sei milioni a Taranto e due milioni a Genova per l’area nord, il rilancio delle produzioni verticalizzate. Il processo di decarbonizzazione entro otto anni, con i quattro forni elettrici e i quattro DRI. Un piano di ammortizzatori sociali perché comunque ci sarà la necessità di tutelare i lavoratori che non possono essere lasciati soli. Infine ci deve essere chiarezza e certezza dove si reperiscono le risorse per finanziare circa otto miliardi d’investimenti. La futura compagine proprietaria dovrà essere costruita in coerenza con questo disegno industriale.