Tempo di Lettura: 7 minuti
Una nuova insidia si aggira negli uffici: l’hanno battezzata workslop. Il termine coniato dal direttore dello Stanford Social Media Lab Jeffrey Hancock e dalla psicologa Kate Niederhoffer fonde work (lavoro) e slop (sciatto, “pasticcio” in inglese). Descrive quei contenuti generati dall’Intelligenza Artificiale che a prima vista sembrano un lavoro ben fatto, ma in realtà mancano di sostanza. In pratica, uno utilizza l’AI per sfornare qualcosa che appare a posto, e un collega finisce per perdere tempo a dargli un senso compiuto. È un fenomeno subdolo, che sta silenziosamente minando la produttività in molte aziende entusiaste dell’AI generativa.
Per capire il workslop, pensiamo a quando ci arrivano email lunghissime che dicono poco o report pieni di parole ma poveri di contenuto. Viene spontaneo chiedersi: “Ma l’ha scritto una persona o ChatGPT?”. Ecco, se vi siete fatti questa domanda, avete fiutato il workslop. Un paragone quotidiano? È un po’ come con WhatsApp: spesso passiamo più tempo ad ascoltare lunghi messaggi vocali quando una telefonata di un minuto sarebbe stata più efficiente. Allo stesso modo, l’AI promette di farci risparmiare tempo, ma usata male rischia di farcene perdere di più. Questo paradosso è alla base del workslop: si perde tempo credendo di guadagnarlo.
AI e produttività: un paradosso emergente
L’adozione di strumenti di Intelligenza Artificiale generativa è esplosa negli ultimi anni, con aziende di tutto il mondo impazienti di automatizzare processi e comunicazioni. Una recente ricerca pubblicata su Harvard Business Review evidenzia però un dato allarmante: l’utilizzo dell’AI sul lavoro negli Stati Uniti è raddoppiato dal 2023, e anche le aziende con processi completamente guidati dall’AI sono quasi raddoppiate, eppure il 95% delle organizzazioni non riscontra alcun ritorno concreto sull’investimento. Molto entusiasmo, poca resa. Come mai?
Il colpevole, suggeriscono i ricercatori, potrebbe essere proprio il workslop. Il 41% dei professionisti intervistati ha dichiarato di essersi imbattuto in questo fenomeno nell’ultimo mese, perdendo in media un’ora e 56 minuti ogni volta per sistemare il pasticcio. La produttività persa si traduce in 186 dollari al mese per persona, che su scala aziendale significa 9 milioni di dollari l’anno bruciati per un’organizzazione di 10.000 dipendenti. In altre parole, buona parte del tempo che l’AI avrebbe dovuto far risparmiare viene invece sprecato a correggere i suoi errori o a interpretare contenuti generati automaticamente.
Esempi quotidiani di workslop
Per rendere l’idea più concreta, ecco alcuni esempi reali di workslop che molti di noi possono aver già incontrato:
- Post sui social generati dall’AI: diverse aziende ormai demandano la stesura dei post sui social media a chatbot o generatori automatici. Il risultato spesso? Testi generici, fuori tono o con errori. Il team di marketing finisce per spendere tempo a correggere manualmente quei post (vanificando il presunto risparmio di tempo) oppure, peggio, li pubblica così come sono. Ne conseguono figuracce pubbliche: contenuti poco creativi o addirittura imbarazzanti che possono danneggiare l’immagine del brand agli occhi dei clienti. Invece di migliorare l’efficienza, l’AI in questi casi genera lavoro extra e potenziali crisi di reputazione.
- Email e report “inutilmente complicati”: nelle comunicazioni interne il workslop prolifera sotto forma di email lunghissime e report prolissi prodotti da strumenti AI. Questi documenti sono spesso ridondanti e poco chiari, pieni di giri di parole dove ne basterebbero molti meno. Il destinatario deve fare lo sforzo di decifrare il messaggio e spesso è costretto a chiedere chiarimenti. Casi raccolti dalla ricerca HBR parlano di manager che si trovano a decidere se riscrivere da zero un testo generato dall’AI o accontentarsi di usarlo così com’è. Un direttore vendite ha raccontato: “Ho dovuto sprecare più tempo a chiedere chiarimenti sulle informazioni e a verificarle con ricerche mie”. Insomma, invece di semplificare la comunicazione, l’AI la complica, scaricando sul destinatario il lavoro di capire cosa si voleva dire.
Workslop può annidarsi ovunque circolino contenuti generati automaticamente: dalle presentazioni generate all’ultimo minuto con ChatGPT, fino a codice software prodotto dall’AI ma mal scritto. In tutti questi casi, si crea un’illusione di produttività: il documento o output iniziale dà l’idea che il lavoro sia stato fatto in fretta, ma la realtà è che altri dovranno metterci mano per renderlo utilizzabile. Il risultato netto è tempo perso lungo la catena di lavoro, frustrazione tra colleghi e spesso standard qualitativi più bassi.
Impatto sul business: tempo perso e reputazione a rischio
Le conseguenze del workslop in azienda vanno oltre il semplice ritardo su un progetto. Anzitutto c’è un costo in tempo e denaro: come visto, ore preziose vengono divorate per rimaneggiare output dell’AI, con costi nascosti ma significativi per la produttività. Ma c’è anche un costo relazionale e d’immagine da non sottovalutare. Chi riceve sistematicamente documenti o messaggi “sciatti” generati dall’AI finisce per cambiare opinione su chi li manda. Secondo la ricerca citata, oltre la metà percepisce l’autore come meno creativo, il 42% come meno affidabile e addirittura il 37% come meno intelligente. In sostanza, inviare workslop mina la fiducia e la credibilità personale all’interno del team.
Se spostiamo lo sguardo all’esterno dell’azienda, lo scenario non migliora: contenuti rivolti al pubblico (post, newsletter, articoli) generati dall’AI senza revisione possono risultare freddi, impersonali o addirittura incoerenti col tone of voice aziendale. I clienti se ne accorgono. Il rischio? Danni alla reputazione del brand. Un pubblico bombardato da comunicazioni generiche e poco curate tenderà a percepire l’azienda come superficiale. In un’era in cui differenziarsi e costruire fiducia è fondamentale, appiattirsi su contenuti “standard” generati dalla macchina può far perdere opportunità e vantaggio competitivo.
Infine, va considerato l’aspetto psicologico e culturale interno: affidarsi ciecamente all’AI per ogni minima cosa può instaurare una sorta di pigrizia cognitiva nei team. Ci si abitua ad accettare passivamente ciò che sputano fuori gli algoritmi, perdendo gradualmente la spinta a pensare in modo critico e creativo. Ciò è deleterio per l’innovazione in azienda e per la crescita professionale delle persone. L’AI dovrebbe liberare tempo per attività a maggior valore aggiunto, non atrofizzare le competenze umane con contenuti prefabbricati. Il workslop, purtroppo, fa proprio questo: frena la crescita e abbassa l’asticella qualitativa del lavoro.
Come evitarlo: integrare l’AI con metodo e strategia
Il fenomeno del workslop non significa che l’Intelligenza Artificiale sia “cattiva” o da bandire dagli uffici. Al contrario, AI e automazione possono dare enormi benefici di efficienza e creatività. Il punto cruciale è come vengono integrate nei processi. Usare l’AI a caso, senza linee guida o formazione, è una ricetta per il disastro. Quando c’è in gioco l’immagine della propria azienda e budget che possono essere facilmente sperperati è importante non improvvisare soluzioni fai-da-te. Bisogna adottare un approccio strutturato e consapevole.
Gli esperti suggeriscono alcune best practice per arginare il workslop e sfruttare davvero il potenziale dell’AI in modo produttivo:
- Stabilire regole chiare sull’uso dell’AI: ogni azienda dovrebbe definire fin da subito paletti precisi su dove, come e quando è appropriato utilizzare strumenti di AI generativa. Ad esempio, si può decidere che l’AI supporti la bozza di documenti o codice, ma che la revisione finale spetti sempre a un umano. Oppure vietare l’uso di chatbot per comunicazioni delicate o verso i clienti, dove il rischio di tono errato è alto. Avere linee guida condivise evita gli abusi e fa capire a tutti che l’AI è uno strumento di supporto, non un sostituto completo del lavoro umano.
- Usare l’AI come acceleratore, non come scorciatoia: l’AI funziona meglio se impiegata per compiti specifici dove può davvero velocizzare un passaggio senza compromettere la qualità. Ad esempio, può aiutare a riassumere un testo lungo, a generare idee iniziali o a svolgere calcoli e analisi di base. Ma non bisogna vederla come una bacchetta magica per evitare completamente un lavoro: se usata come scorciatoia indiscriminata, finirà per produrre workslop. La mentalità giusta è: l’AI mi fa arrivare all’80% più in fretta, ma l’ultimo 20% (rifinitura, giudizio critico, personalizzazione) spetta a me.
- Favorire la trasparenza e la collaborazione: se un membro del team utilizza ChatGPT (o un altro generatore) per creare una presentazione o un report, dovrebbe dichiararlo apertamente ai colleghi coinvolti. Così gli altri sapranno che stanno leggendo un documento auto-generato e potranno capire il contesto: quali prompt sono stati dati, qual era l’obiettivo iniziale, dove l’AI potrebbe aver introdotto inesattezze. Questa trasparenza facilita la collaborazione perché tutti possono contribuire a colmare le lacune dell’AI invece di subirle passivamente. Parlare internamente di come si usa l’AI, condividere trucchi e limiti riscontrati, crea una cultura aziendale più matura sull’argomento. In breve, l’AI va inserita nel flusso di lavoro come giocatore di squadra, con i suoi ruoli ben definiti.
- Mantenere standard di qualità elevati: forse il principio più importante di tutti è non abbassare mai l’asticella solo perché “lo ha fatto l’AI”. Un contenuto o un progetto generato dall’Intelligenza Artificiale deve essere sottoposto agli stessi standard di eccellenza di qualsiasi lavoro svolto manualmente. Questo implica tempi di revisione, controllo qualità e feedback continui. Se un’email automatica non suona chiara e professionale, va riscritta; se il codice generato è inefficiente, va ottimizzato. L’AI offre bozze, spunti, velocità ma tocca a noi umani il compito di garantire qualità, coerenza e valore aggiunto prima che il prodotto finale esca dalla porta. Nessuna scorciatoia su questo.
Implementare queste strategie richiede visione e disciplina, ma i benefici valgono lo sforzo: meno tempo buttato, comunicazioni più efficaci e team che imparano a lavorare meglio con l’AI senza esserne sopraffatti. Come consulenti specializzati in trasformazione digitale, abbiamo visto da vicino questi problemi e sappiamo che la chiave è integrare l’AI gradualmente e con formazione mirata. Spesso è utile partire con progetti pilota, identificando dove l’AI può dare un impatto rapido ma controllabile, e formare i team passo passo perché acquisiscano competenze e fiducia nell’uso di questi strumenti. Un partner esperto può guidare l’azienda nell’adottare l’AI senza stravolgere l’esistente, migliorando i processi a piccoli step e predisponendo controlli di qualità ad ogni fase. In questo modo l’AI diventa davvero un vantaggio competitivo e non una fonte di inefficienze occulte.
Allarme e opportunità
Il workslop è un campanello d’allarme che nessuna azienda dovrebbe ignorare. Ci ricorda che introdurre nuove tecnologie senza criterio può portare effetti collaterali imprevisti. Oggi stiamo scoprendo che l’AI generativa, se usata male, può farci girare a vuoto in una spirale di rifacimenti e fraintendimenti. È un invito alla riflessione: non basta adottare l’ultima novità tech per definirsi innovativi, bisogna farlo in modo intelligente e strategico.
La buona notizia è che ogni sfida nasconde un’opportunità. Prendere coscienza del workslop significa poter correggere la rotta: ricalibrare le proprie pratiche di lavoro, investire in formazione digitale, fissare policy chiare sull’uso dell’AI. Le aziende che lo faranno per tempo non solo eviteranno sprechi di tempo e figuracce, ma si posizioneranno come leader della trasformazione digitale consapevole. In un mercato competitivo, eccellere non significa usare l’AI a tutti i costi, bensì saperla usare bene al momento giusto e per gli scopi giusti.
In conclusione, l’AI è uno strumento potente quasi rivoluzionario ma va maneggiato con visione e responsabilità. Il workslop ci insegna che efficienza non vuol dire velocità fine a sé stessa: un contenuto breve, chiaro e curato avrà sempre più valore di pagine e pagine generate al solo scopo di riempire spazio. Prepariamoci dunque a questo cambiamento con occhi aperti: chi saprà evitare le trappole e mettere l’AI davvero al servizio del lavoro (e non viceversa) raccoglierà i frutti migliori della trasformazione digitale. E noi siamo pronti ad accompagnarvi in questo percorso, per far sì che l’AI diventi un alleato concreto e non un nuovo, insidioso produttore di “pasticci” digitali.
Fonti: Ricerca Harvard Business Review su “AI-Generated Workslop”