«La santità non è eroica: si esprime nel piccolo, nel quotidiano, nell’abituale. Il peccato è la banalità del male. La santità è la normalità del bene». Queste parole del cardinale José Tolentino Mendonça sembrano scritte per descrivere il beato Rosario Livatino: un magistrato normalissimo che ha svolto straordinariamente bene il suo lavoro; un cristiano semplice che ha vissuto la sua dignità di battezzato fino al martirio, la testimonianza suprema.
Oggi nel giorno in cui ricordiamo la sua memoria liturgica, proviamo a rileggere il suo cammino esistenziale fatto anche di notti oscure ma sempre trasparente di fronte alla luce del Vangelo e al giuramento fatto sulla Costituzione con l’ingresso in magistratura.
Il teologo Massimo Naro in un suo recente saggio, riferendosi alla traduzione che Lutero fece della Lettera ai Romani, spiega la stretta corrispondenza lessicale in tedesco tra vocazione e professione. E anche noi ancora oggi chiamiamo “professo” chi emette i primi voti religiosi. Livatino – aggiunge sempre Naro – visse la sua professione di giudice consapevole della qualità vocazionale che tale professione ha. E la visse da battezzato laico, non da religioso consacrato. Studi, approfondimenti minuziosi su norme e codici ne hanno fatto uno dei magistrati con più intelligenza giuridica e con più carichi di lavoro a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 ma la sua esistenza è sempre vissuta nella ricerca della giustizia non nella semplice applicazione della legge.
«Giustizia e carità combaciano» perché entrambe provenienti da Dio
È la giustizia l’ideale di Rosario Livatino, l’orizzonte del suo percorso di uomo e di magistrato, la sua unica ambizione. Livatino diceva che il diritto «è costruito per l’uomo, a misura d’uomo» che il giudice dovrebbe essere mosso dal «tramite dell’amore verso la persona giudicata», dismettendo «ogni vanità e soprattutto ogni superbia». E «giustizia e carità combaciano – dirà nella sua conferenza del 1986 dalle suore vocazioniste a Canicattì – non soltanto nelle sfere ma anche nell’impulso virtuale e perfino nelle idealità» perché entrambe provenienti da Dio.
Per Livatino conta che il magistrato nel giudicare conservi la chiara consapevolezza della sua umanità, della sua debolezza, della sua responsabilità. In lui il Battesimo è dono e compito, come ricorda Lumen Gentium, e ogni pensiero, ogni gesto sono forma dell’esercizio concreto del suo sacerdozio battesimale. Il Concilio ce lo ha insegnato. Per il cristiano ciò che conta non sono tanto le funzioni o i ministeri ma la dignità battesimale, quella che condividiamo tutti: vescovi, presbiteri, religiosi e religiose, laici e laiche.
Rosario Livatino, primo magistrato proclamato beato dalla Chiesa, ha dato carne e sangue a tutto questo. Ha preso sul serio la sua dignità di battezzato, ha vissuto fino in fondo il dono ricevuto portandolo a pienezza. Ha creduto, sperato, amato fino in fondo, fino a farsi vittima. «Trattare il prossimo sventurato con amore è qualcosa che somiglia al battezzare» ha scritto in un testo densissimo la filosofa francese Simone Weil. Guardando alla testimonianza di Rosario Livatino, che il male ha combattuto e giudicato continuando a rispettare l’intangibile mistero della persona, anche quella che si è macchiata della più vile violenza mafiosa, appare la “misura alta” della vita cristiana. «Sperimentata nell’immersione giornaliera nella vita, nella preghiera, nella storia, nella notte, nella prova, la carità di Cristo, Livatino diventa “battezzatore” del suo prossimo».[1]
Impariamo che la santità ha il sapore della speranza che non si arrende
Sabato scorso nel corso del Giubileo degli Uffici Cerimoniali Istituzionali Italiani anche papa Leone XIV ha loro affidato Rosario Livatino, insieme ad Alcide De Gasperi e a Salvo D’Acquisto, come luminosi «esempi di speranza e di giustizia, di umiltà e di dedizione allo stato». «L’impegno incrollabile per la giustizia» con il quale «ha testimoniato che la legalità» più che «un insieme di norme» è «uno stile di vita, e quindi un possibile cammino di santità».
Un affidamento che il papa ha fatto dopo aver invitato «davanti alla ripetitività del male» a «fare la differenza» con la conversione. Un invito che fa tornare alla mente quello dei vescovi siciliani proprio per la sua beatificazione il 9 maggio del 2021: «Dal Beato Rosario Livatino, annoverato oggi insieme al Beato Pino Puglisi nella lunga schiera di profeti e martiri del nostro tempo e della nostra terra, impariamo che la santità ha il sapore della speranza che non si arrende, della coerenza che non si piega e dell’impegno che non si tira indietro, perché ogni angolo buio del mondo – compreso il nostro – abbia l’opportunità di rialzarsi e guardare lontano … Oggi intendiamo ribadire l’urgenza di questa conversione, quale eredità congiunta che essi ci consegnano».
Una eredità frutto del Battesimo che siamo chiamati a prendere sul serio.
[1] Tommaso Pace, in T. Pace, A.P. Viola, A. Zappulla, Decidere è scegliere. Rosario Livatino credere, sperare e amare, Il Pozzo di Giacobbe, 2025, p.54