Progettare la prima impressione: l’effetto priming nelle PR e media relations - Disclosers

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Ogni volta che un brand entra in relazione con media, stakeholder o community, si gioca una partita che va ben oltre contenuti, dichiarazioni o dati. Ciò che accade prima, l’impressione iniziale, “prepara il terreno” per ciò che verrà dopo. In altre parole, una piccola traccia lasciata all’inizio può influenzare fortemente l’intera narrazione. Nell’ambito delle media relations, questa dinamica assume un rilievo particolare: la percezione che un’organizzazione genera nei primi momenti diventa un filtro attraverso cui i messaggi successivi saranno decodificati, interpretati e amplificati (o ignorati).

In questo articolo approfondiremo un fenomeno psicologico che ha un grande impatto sulle strategie di comunicazione: l’Effetto priming. Partiremo dal suo fondamento psicologico, poi vedremo come si applica nelle relazioni con i media e infine suggeriremo come, chi racconta storie, può tenere conto di questo fattore per migliorare efficacia e coerenza.

Come funziona l’effetto priming: la prospettiva psicologica

L’effetto priming è una forma di influenza implicita: un primo stimolo (il “prime”) aumenta la probabilità che un secondo stimolo (il “target”) venga elaborato in maniera differente, spesso più rapidamente o con un’associazione preattivata.

Più nel dettaglio:

  • Una stimolazione precedente rende accessibili certe categorie mentali o ricordi, che poi condizionano il modo in cui percepiamo, valutiamo e rispondiamo a ciò che avviene subito dopo.
  • Tale processo può avvenire senza che lo “stimolato” ne sia consapevole: non si tratta necessariamente di una scelta volontaria, bensì di un’attivazione automatica di associazioni nella memoria implicita.
  • In ambito mediatico e comunicativo, la teoria del priming considera come stimoli precoci (immagini, parole, contesti, toni) possano “pre‐caricare” criteri valutativi, schemi interpretativi o attivazioni associative che condizionano la lettura successiva del messaggio. Ad esempio: uno studio sulla copertura mediatica rivela che la frequenza e l’enfasi di certi temi funzionano da stimoli che attivano il priming diventando riferimenti che poi usiamo per giudicare attori o eventi.

Inoltre:

  • Non tutti i priming producono effetti identici: la forza dello stimolo iniziale, la sua rilevanza per il ricevente, il contesto e la modalità (visiva, verbale, concettuale) influiscono sull’efficacia.
  • Esiste un dibattito in letteratura sulla replicabilità di alcuni effetti di priming soprattutto nelle versioni più “forti” o subliminali.
  • Dal punto di vista della memoria e delle associazioni, il priming si colloca in un’interazione tra memoria implicita, attivazione di schemi e contesti di elaborazione: ciò che è antecedente configura ciò che verrà (“preparare il campo”) e rende certe risposte più probabili.

In termini pratici per chi comunica: se la prima impressione prepara il modo in cui un soggetto (giornalista, influencer, stakeholder) valuta ciò che arriva dopo, allora quella prima impressione merita di essere progettata con cura.

L’effetto priming nelle media relations

Ora consideriamo come questo meccanismo psicologico si traduce in ciò che accade quando un brand interagisce con media, opinion-leader o comunità digitali.

1. La prima impressione del brand

Quando un brand è presentato a un giornalista, a un influencer o in un qualsiasi contesto mediatico, c’è un momento zero: la prima volta che il soggetto incontra il nome, il messaggio, la visual, il tono, la persona. In quel momento si attiva un insieme di associazioni (inconsce ma operative) che definiscono il “framework” attraverso cui tutto ciò che seguirà sarà letto. Se quel primo contatto enfatizza ad esempio l’innovazione, la sostenibilità o la fiducia, quel concetto resta in memoria come “chiave” di lettura. Se invece il brand appare poco chiaro, generico o inaffidabile, anche i messaggi successivi subiranno un contraccolpo: quelle associazioni iniziali faranno da lente interpretativa.

2. Quando si costruisce la narrazione nei media

Una volta che la prima impressione è stata “seminata”, la narrazione costruita dai media tende a orbitare intorno a quelle coordinate. Ad esempio: se un brand viene introdotto in un comunicato stampa o in una intervista come “startup disruptive”, i media, influenzati da quel “priming”, considereranno quell’angolo nelle successive citazioni, inchieste o valutazioni. In un articolo di revisione, la teoria del priming nei media segnala come i contenuti antecedenti (temi trattati, tono, parole chiave) determinino i criteri con cui le persone giudicano gli attori. Un dato interessante emerge dalla ricerca di Iyengar e Kinder (1987), che dimostra come l’esposizione ripetuta a determinati temi nelle notizie televisive influenzi i criteri con cui il pubblico valuta i protagonisti della scena politica e sociale. In altre parole, la frequenza e la posizione di un argomento nei media non determinano soltanto cosa le persone ricordano, ma anche come giudicano gli eventi successivi.

Lo stesso meccanismo si applica al lavoro giornalistico: quando un brand o un settore vengono associati a specifici frame (innovazione, rischio, sostenibilità, leadership) quelle categorie restano attive nella mente del giornalista e del lettore, predisponendo la valutazione delle notizie future. Uno studio di Domke, Shah e Wackman (1998) conferma che l’accessibilità e la ripetizione di certi concetti nei contenuti mediatici amplificano la probabilità che quegli stessi concetti diventino i parametri attraverso cui il pubblico interpreta nuove informazioni.

3. Implicazioni per una campagna PR o digital PR

La conseguenza pratica è che ogni materiale, ogni talk, ogni anteprima che anticipa un lancio o un messaggio deve essere trattata come “prime”. Se trascurata, quella prima impressione può “ancorare” la percezione in una direzione che sarà difficile da correggere.
Ecco alcuni scenari concreti:

  • Media pitching e materiali per la stampa: il modo in cui un brand viene presentato ai giornalisti – dall’oggetto della mail alla sintesi iniziale, fino ai materiali allegati – costituisce il primo vero “prime” nel processo di relazione. Se il messaggio iniziale è chiaro, coerente e memorabile, orienta la curiosità del giornalista e crea una base favorevole per la narrazione che seguirà.
  • Prima uscita su un media o una rivista di settore: l’impostazione dell’articolo, la scelta del titolo e la modalità con cui il brand viene introdotto creano il primo stimolo percettivo per giornalisti e lettori. Quella narrazione iniziale influenza il modo in cui la testata (e di riflesso altri media) continueranno a trattare il brand nel tempo.
Come sfruttare l’effetto priming nella scrittura e nel racconto delle storie

Per chi produce contenuti, comunica brand e cura narrazioni, applicare consapevolmente il priming significa progettare la “porta d’ingresso” nella mente del pubblico: cosa vogliamo che resti in primo piano, quali associazioni intendiamo attivare, quale tono vogliamo che venga ricevuto. Ecco alcuni suggerimenti operativi:

  1. Definire un “stimolo primario” chiaro: nella vostra comunicazione iniziale (testo, visual, titolo) scegliete un concetto forte, memorizzabile, che possa guidare l’interpretazione.
  2. Coerenza nei segnali successivi: una volta attivato quel priming, assicuratevi che tutti i materiali successivi lo rinforzino, senza mandare messaggi contraddittori che possano indebolire l’associazione.
  3. Controllare gli elementi visivi e verbali: perché il priming non avviene solo tramite parole. Colori, immagini, formato e ambiente di presentazione partecipano all’attivazione.
  4. Gestire i tempi: l’ordine e la tempistica contano. Lo stimolo primario deve comparire in un momento sufficientemente “anticipato” rispetto alle comunicazioni più ampie, per stabilire la lente interpretativa.
  5. Monitorare e correggere: se la narrazione mediatica assume direzioni non desiderate, è utile intervenire prontamente con un nuovo “prime” che ridiriga le associazioni, riconfigurando la prima impressione.

L’effetto priming ci ricorda che nella comunicazione – e in particolare nelle media relations – ciò che viene prima importa tanto quanto ciò che segue. Una prima impressione ben progettata può orientare intere narrazioni successive, plasmando modo di percepire, criteri di valutazione e memorie associative. Per chi lavora nel PR, nel digital PR o nel content marketing, mettere in conto questa dinamica significa elevare la qualità della progettazione: non solo “cosa diremo”, ma anche “come lo stiamo preparando”.

Usate lo stimolo iniziale con consapevolezza, mantenete coerenza nei messaggi successivi e monitorate come la narrazione evolve. In questo modo contribuirà a costruire una reputazione più solida, percepibile e duratura.


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