da “Huffpost”[12.11.25]: “Sei milioni di italiani all’estero. Chi pensa alla loro cultura e informazione? La Rai è assente e anche la loro immagine viene deformata”
L’ANGOLO DEI BLOGGER. Si straparla ancora di “fuga di cervelli” senza affrontare seriamente l’immaginario, la cultura ed i media per / degli italiani nel mondo, ormai il 12 % del totale della popolazione italiana. Un italiano su 8 vive fuori dai confini nazionali
Martedì 11 novembre 2025 è stata presentata a Roma l’edizione n° 20 di quel che è ormai “il testo di riferimento” nelle analisi sociologiche degli italiani all’estero, il “Rapporto Italiani nel Mondo” (da cui l’acronimo “Rim”), un’iniziativa della Fondazione Migrantes della Cei (Conferenza Episcopale Italiana), curato da Delfina Licata: un corposo tomo di oltre 600 pagine di dati e analisi (Tau Editrice), quest’anno intitolato “Oltre la fuga: talenti, cervelli, o braccia?”.
Si tratta di una parte significativa del totale della popolazione italiana: dei 59 milioni di persone residenti in Italia, 5,4 milioni sono stranieri e quindi i residenti nel nostro Paese con cittadinanza italiana sono 53,5 milioni. Ma a questi 53,5 milioni di italiani in Italia, vanno aggiunti ben 6,4 milioni di italiani residente all’estero: un’Italia “sdoppiata”. E mediologicamente mal rappresentata, un patrimonio identitario trascurato.
Quindi ben il 12% del totale della “popolazione italiana” ormai non vive in Italia: una sorta di ventunesima “Regione” del Paese, un dato quantitativo impressionante, sul quale la riflessione – politica oltre che sociologica – continua ad essere deficitaria, sia come complessiva sensibilità istituzionale sia specificamente nell’ambito della cultura e dei media. Di fatto, 1 italiano su 8 vive fuori oltre confine.
Sono più gli italiani all’estero che gli stranieri in Italia. Le ricerche promosse dalla Fondazione Migrantes – organismo pastorale della Cei – offrono un’analisi quali-quantitativa accurata di questi fenomeni: la realtà degli “italiani all’estero” è in continua crescita, basti pensare che nel 2019 il dato per entrambi – gli “stranieri in Italia” e gli “italiani all’estero” – era uguale (5,3 milioni) mentre adesso il numero dei connazionali all’estero supera di 1 milione quello degli stranieri in Italia…
Da gennaio a dicembre 2024, si sono iscritti all’Aire – l’anagrafe dei residenti all’estero – con la motivazione “espatrio” ben 123mila cittadini italiani (di cui un 54 % maschi, un 70 % celibi/nubili). È in atto un evidente sviluppo della “mobilità” italiana: +38 % rispetto all’anno precedente, che – in valore assoluto – si traduce in circa 34mila partenze in più. L’aumento registrato riguarda prevalentemente i giovani e i giovani adulti: in particolare, nella classe di età 18-34 anni si rileva un +48 % rispetto all’anno precedente. I giovani emigrano alla ricerca di un lavoro stabile, adeguatamente remunerato, che sia inserito in un contesto meritocratico, con prospettive di soddisfazione e crescita personale e servizi adeguati: quel che manca in Italia.
Le partenze sono avvenute da tutte le Province e verso 191 destinazioni nazionali differenti. A sorpresa, rispetto a quanto è accaduto negli ultimi anni, guida la classifica delle mete di destinazione la Germania (16.988 emigrati) seguita dal Regno Unito (15.471), dalla Spagna (12.448), dalla Svizzera (12.448) e dalla Francia (9.444). L’attuale mobilità italiana, pur rivolgendo lo sguardo al mondo intero e pur avendo destinazioni privilegiate che si orientano verso nuovi contesti professionali emergenti (l’Oriente, con Singapore, gli Emirati Arabi, ma anche la Scandinavia), preferisce sempre di più l’Europa.
In vent’anni, si contano complessivamente 1 milione e 644mila “espatri”, a fronte di 826mila “rimpatri”, con un “saldo migratorio” pari a -817mila cittadini. Negli ultimi due decenni, la mobilità internazionale dei cittadini italiani è diventata un tratto strutturale del Paese: le partenze non sono più un fenomeno episodico, ma un flusso continuo, che coinvolge profili diversi per età, titolo di studio e traiettorie professionali.
Il 54% degli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero vive in Europa (oltre 3,4 milioni), a fronte del 41% nelle Americhe (oltre 2,6 milioni, di cui solo 490 mila nell’America del Nord). Mentre le comunità più numerose nel mondo restano quella argentina, con 990mila italiani, e la tedesca, con 849mila connazionali.
In sostanza, cresce di anno in anno la quantità di italiani che vanno a vivere all’estero: le ragioni sono molteplici, ma su tutte prevale evidentemente la complessiva insoddisfazione per le condizioni di vita (di lavoro, soprattutto) nel nostro Paese, e la speranza che fuori dai confini nazionali si possa entrare in quella sorta di “ascensore sociale” che in Italia è quasi sempre chiuso (o comunque troppo affollato).
Gli italiani all’estero sono 6.412.752, pari al 12 per cento del totale cittadini italiani, con un incremento di 278 mila persone in un solo anno e una crescita complessiva del 106 per cento rispetto al 2006.
Sono sempre più i giovani italiani in fuga dal nostro Paese, e tra loro sono sempre meno quelli che poi tornano indietro. Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Presidente della Fondazione Migrantes, ha rimarcato la gravità del fenomeno, ricordando come i giovani – interpellati da varie ricerche – che manifestano il desiderio di lasciare il Paese sono ormai oltre il 50%, e, se figli di immigrati, sono in numero ancora maggiore degli italiani, ovvero oltre il 60%. L’Italia è sempre meno “un Paese per giovani”.
Esiste senza dubbio un problema, grave ed essenziale, di “narrazione”, che il “Rim 2025” cerca di destrutturare: nel Rapporto, si vuole far cadere il mito della “fuga dei cervelli”, definita un dispositivo narrativo che da trent’anni incornicia la mobilità giovanile in una retorica emotiva di perdita, tradimento e trauma nazionale. Gli autori del dossier parlano di “cornice totalizzante” che riduce la mobilità a un esodo drammatico, trasformando i giovani in “cervelli”, e non considerandole persone con desideri, legami e biografie complesse: “le parole non descrivono solo la realtà, la creano”, si legge nello studio, che invita a sostituire alla nozione di “fuga” una lettura più ampia di feconda circolazione di competenze e di ricche biografie transnazionali. Il Rapporto avverte che la narrazione dominante sulla mobilità giovanile rischia di diventare una “gabbia psicologica” per chi parte e per chi resta. Nei percorsi di vita dei giovani, l’emigrazione viene spesso incasellata in un destino obbligato che produce vissuti di colpa, fallimento o disappartenenza. Allo stesso tempo, l’Italia si percepisce come un Paese da cui si deve fuggire, rafforzando un’identità collettiva fondata sulla perdita. La Fondazione Migrantes chiede un radicale cambio culturale: “non basta trattenere o rimpiangere i giovani, occorre coinvolgerli nella costruzione delle visioni collettive”. La “gabbia” narrativa va scardinata, e si deve comunque cogliere e stimolare la ricchezza socio-culturale (umana) di queste migrazioni.
Questo enorme patrimonio identitario di oltre 6,4 milioni di italiani all’estero è peraltro ben curato dalla madre patria? La risposta è semplice e netta, sconfortante: no. Non soltanto esiste una frequente distorsione interpretativa e una semplificazione eccessiva (sintetizzabile giustappunto nella formula “fuga di cervelli”) nei media del nostro Paese, ma la stessa Italia non dedica adeguata cura alla promozione della propria cultura all’estero, e nemmeno alla promozione dell’informazione degli italiani e per gli italiani all’estero.
La Rai dedica pochissime risorse alla diffusione del proprio segnale nel mondo e i programmi dedicati specificamente alle comunità italiane all’estero sono modesti. E che dire della “rappresentazione” mediatica della vita degli italiani all’estero? Marginale e occasionale, invisibile o deformata (talvolta quasi folklorica), nell’economia dei palinsesti televisivi nazionali.
E che dire del limitatissimo sostegno pubblico alle testate giornalistiche e alle emittenti radiotelevisive italofone nel mondo? Le risorse che il Ministero della Cultura e il Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale destinano poi alla promozione della cultura italiana nel mondo sono nell’ordine di poche decine di milioni di euro all’anno: insufficienti sia a stimolare la miglior promozione del “made in Italy” culturale tout-court, sia a stimolare specificamente la fruizione culturale delle comunità italiane all’estero.
Se questi oltre 6 milioni di italiani rappresentano la “Regione” n° 21 d’Italia, va denunciato che si tratta di una Regione di fatto abbandonata a sé stessa, rimossa nell’immaginario collettivo, un serbatoio di energie dimenticato. Allorquando potrebbe invece divenire uno strumento cruciale di crescita interculturale preziosa, potenzialmente un formidabile laboratorio di scambio culturale e identitario… se si attivasse un’interazione bidirezionale feconda tra “italiani in Italia” e “italiani nel mondo”: ma per questo servirebbe un’innovativa e coraggiosa “politica culturale” ad hoc, superando l’attuale deficit di visione strategica politica e mediale.
Angelo Zaccone Teodosi