Un’associazione guidata da chi conosce la sordità sulla propria pelle
Fondata nel 2013 dal dottor Sandro Burdo e da un gruppo di genitori di ragazzi sordi, “Liberi di Sentire” nasce come associazione culturale con l’obiettivo di promuovere divulgazione scientifica e innovazione nel campo della sordità. “Noi non siamo l’associazione di riferimento di uno studio audiologico – spiega la presidente Melissa Lonetti – il nostro scopo è fare divulgazione scientifica e culturale. Rimaniamo di stampo scientifico, ma non siamo un’associazione assistenzialista né aggregativa”.
La presidente Lonetti ha raccontato come, nel tempo, l’associazione abbia finanziato progetti di ricerca che spaziano dalla genetica alla bioacustica, dalla pupillometria alla terapia genica. “Siamo la dimostrazione che, dove si può, la sordità si può risolvere. Non è solo una questione di dispositivi, ma di percorso: pre e post intervento, pre e post abilitazione”.
Dal 2022, il direttivo è composto esclusivamente da persone sorde emancipate, portatrici di impianto cocleare o protesi acustiche. “Siamo tutti laureati, integrati nel mondo del lavoro. Le nostre riunioni sono video call. È ironico, ma anche un messaggio forte: siamo persone sorde che però ‘si sentono’”.
Il gruppo è composto da giovani tra i 21 e i 34 anni, con esperienze diverse di sordità risolta. Alcuni lavorano all’estero, altri sono in fase di inserimento lavorativo, ma tutti condividono un percorso di autonomia e integrazione. Un elemento distintivo dell’associazione è la presenza di un comitato scientifico. “Tutte le informazioni che divulghiamo vengono validate da esperti del settore. Ma ogni contenuto che passa da noi è verificato da medici, ricercatori, professionisti della sordità”.
SUPERARE LA DISABILITÀ: UNA QUESTIONE DI IDENTITÀ E CULTURA
Per Melissa Lonetti, il superamento della disabilità passa innanzitutto dalla non identificazione nella propria condizione. “Io sono una persona sorda, sì, ma non è che sono Melissa e sono sorda. Io sono Melissa, faccio questo, faccio quello… la sordità è una mia caratteristica, ma non mi definisce”.
La distinzione tra invalidità e disabilità è centrale: “Io sono invalida, perché porto un impianto cocleare. Ma non mi sento disabile. L’handicap è personale. Se tu soffri della tua condizione, allora hai la tua disabilità e devi essere seguito. Ma se l’hai risolta, se stai bene, se non hai difficoltà a paragonarti a una persona senza disabilità, allora non sei disabile”.
Lonetti è netta: “Se ti identifichi nel problema, non lo superi. Ti siedi in quello e vivi per quello. Trovi il tuo equilibrio, ma non sarai mai integrato. Sarai incluso, forse, ma non integrato”.
IL LINGUAGGIO CHE DISCRIMINA: PERCHÉ “NON UDENTE” NON BASTA
Il linguaggio, per Lonetti, è uno strumento di potere e di definizione identitaria. “Dire ‘non udente’ è una negazione. Dire ‘persona con disabilità uditiva’ è una medicalizzazione. ‘Sordo’ da solo è riduttivo. ‘Persona sorda’ è il termine più rispettoso e realistico”.
“Per noi tutti siamo persone sorde. Persone, prima di tutto. Perché non ci identifichiamo nella sordità, ma ce l’abbiamo. È una caratteristica, un’invalidità. C’è chi l’ha risolta e chi no”.
LA RICERCA SCIENTIFICA COME STRUMENTO DI EMANCIPAZIONE
La ricerca è uno dei pilastri dell’associazione. “Abbiamo finanziato – racconta ancora Lonetti – ricerche sulla genetica, sulla bioacustica, sulla pupillometria. Quest’ultima permette di capire come sentono i bambini in base alla dilatazione delle pupille. È fondamentale avere metodi oggettivi, perché la percezione non basta”.
Lonetti cita anche la terapia genica per l’otoferlina, presentata da Natalie Loundon nel corso di un evento organizzato dall’Associazione: “Le innovazioni ci sono, le cure ci sono. Ogni caso è diverso, ma è importante sapere che esistono possibilità concrete”.
L’Associazione promuove il modello del centro audiologico di terzo livello, una struttura multidisciplinare che offre diagnosi e trattamento integrato attraverso la collaborazione diretta tra otorino, audiologo, logopedista, pedagogista, genetista e radiologo. “Un luogo dove – illustra Lonetti – la persona viene presa in carico da un’unica figura che la indirizza alle varie specializzazioni, che collaborano in team: otorino, audiologo, logopedista, pedagogista, genetista, radiologo. È difficile da trovare in Italia, ma è il modello che vogliamo promuovere”.
Liberi di Sentire ha anche finanziato un master per audioprotesisti, per migliorare la qualità dell’approccio iniziale alla sordità, soprattutto nei contesti privati dove spesso manca una supervisione clinica.
SUPPORTI E TUTELE: TRA TROPPO E TROPPO POCO
Secondo Melissa Lonetti, il sistema di tutele per le persone con disabilità oscilla tra misure assistenziali eccessive e gravi lacune.
“La 104 è pensata per chi ha bisogno di assistenza continua, per chi vive la propria sordità come una disabilità. Ma io - si racconta in prima persona la presidente - che come tanti altri sono integrata, di alcuni di questi benefici non ho bisogno. A oggi ho tre giorni di permesso al mese, necessari per essere seguita clinicamente”. Sarebbe più giusto, ipotizza Lonetti, spostare i tre giorni di permesso sulla 381, una legge del 1970 che riconosce la sordità definendola una minorazione sensoriale dell'udito acquisita durante l'età evolutiva (entro i 12 anni) che ha impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato. Che già provvede ad avere delle agevolazioni, ma non quelle del permesso. Con l’eliminazione del termine sordomuto, tutte le persone sorde hanno goduto della L. 104, ma è filosoficamente sbagliato. Se la sordità è risolta, voglio essere riconosciuta nella L. 381 che tutela la mia invalidità, e i benefit della 104 avrebbe senso spostarli sulla 381, perché dei giorni per essere clinicamente seguita ne ho bisogno, ma non sono identificata nella L.104 che, invece, tutela la disabilità.
L’episodio del furto del suo impianto cocleare in Marocco diventa l’esempio più emblematico di questa assenza normativa. “Mi hanno rubato l’impianto cocleare in vacanza. Quattro giorni senza sentire. È stato uno dei momenti più brutti della mia vita. E la Regione Veneto non me l’ha rimborsato, perché il furto non è disciplinato, o meglio, c’è molta confusione in merito all’interno della legge sui LEA, il DPCM del 12 gennaio 2017”.
Infine, Lonetti mette in discussione l’applicazione dei nuovi LEA: “Dice che è il medico prescrittore a decidere, ma non è chiaro. Serve una norma che lo dica esplicitamente”. Senza linee guida precise e un elenco definito delle prestazioni coperte, spiega, i LEA rischiano di restare un’indicazione astratta, incapace di tradursi in reali garanzie per chi vive con la sordità.
INCLUSIONE VS INTEGRAZIONE: LO SPORT COME CARTINA DI TORNASOLE
Nel mondo della sordità, il confine tra integrazione e inclusione è spesso sottile, ma cruciale. L’integrazione implica l’adattamento della persona al contesto esistente, mentre l’inclusione presuppone che sia il contesto a trasformarsi per accogliere ogni diversità. Lo sport, in questo senso, diventa un terreno di verità.
Lonetti lo racconta con naturalezza: “Faccio wakeboard, surf, sport d’acqua. Con un apposito kit posso entrare in acqua con l’impianto cocleare. Il mio telefono è collegato direttamente all’impianto, come se avessi una AirPods incorporata. Durante gli allenamenti, l’istruttore parla in un microfono e io lo sento sott’acqua”. Un esempio concreto di come la tecnologia possa abbattere barriere e favorire una partecipazione piena, senza dover rinunciare a nulla.
Tuttavia, non sempre il sistema sportivo è pronto a questa evoluzione. Alcune federazioni, come la FSSI, prevedono regole che impongono agli atleti sordi di gareggiare senza dispositivi di ascolto, per garantire parità tra chi lo ha e chi no. “È una scelta che può avere senso in certi contesti – spiega Lonetti – ma rischia di trasformarsi in esclusione. Se una persona può sentire grazie a un impianto, perché dovrebbe rinunciarvi per partecipare a una competizione sportiva?”. La vera inclusione, secondo lei, sarebbe permettere a ciascuno di vivere lo sport come tutti, con gli strumenti che ha a disposizione. “Il limite non è nella persona, ma nella tecnologia. E se la tecnologia consente di superare quel limite, non dovremmo ostacolarla”.
ACCESSIBILITÀ VERA: OLTRE LA LIS E I SOTTOTITOLI
“LIS e sottotitoli non bastano. A volte sono controproducenti. L’accessibilità vera è quella che parte dalla persona, non dal protocollo”.
Lonetti propone un approccio personalizzato: “Se organizzo una conferenza, analizzo il target. Se c’è chi usa la LIS, metto l’interprete. Se ci sono labiolettori, garantisco la sottotitolatura. Se ci sono persone che prediligono l’utilizzo dei dispositivi di ascolto e vogliono sentire, uso microfoni direzionali che si collegano direttamente ai dispositivi. Se ci sono persone sorde emancipate (ovvero risolte nella sordità), non utilizzerò nulla”.
Porta esempi concreti: “Alla stazione centrale di Milano, gli annunci al megafono non li sentono con chiarezza neanche gli udenti. Immaginiamo di avere le AirPods e ricevere l’annuncio direttamente. Quello è accessibilità. Rendere l’esperienza uguale per tutti: oggi esistono i sistemi per farlo, ma non si conoscono oppure non vengono implementati”.
E sulla scuola: “Alle elementari avevo un sistema FM, una tecnologia che trasmette la voce dell’insegnante direttamente all’impianto cocleare o alla protesi acustica. La maestra parlava in un microfono e io sentivo direttamente nell’orecchio. Non sono mai stata bullizzata. “Un bambino riabilitato correttamente e supportato nell’ascolto da questo tipo di tecnologie può rinunciare all’insegnante di sostegno. Se ci sento, a che mi serve?”
PER CAMBIARE IL FUTURO DELLA SORDITÀ
Il messaggio finale di Melissa Lonetti è netto, e racchiude la filosofia dell’associazione: “il fatto di dire ‘mio figlio ci sente o non ci sente’ non può essere una scelta. È una questione medica che va risolta clinicamente. Non c’è filosofia dietro. Nessuno al mondo vuole restare nel silenzio”.
Il payoff dell’associazione - “Per cambiare il futuro della sordità” - non è uno slogan, ma una dichiarazione di intenti. “Noi non vogliamo creare una comunità chiusa. Vogliamo che le persone sorde vivano nel mondo, con gli altri, come gli altri. E per farlo, serve conoscenza, serve tecnologia, serve cultura. Ma soprattutto serve una voce che dica le cose come stanno”.