Bias cognitivi e copertura mediatica: perché alcune storie circolano con più forza di altre - Disclosers

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Le narrazioni che popolano media e piattaforme digitali si affermano perché incontrano percorsi mentali preesistenti, mappe interpretative che orientano l’attenzione prima ancora che il lettore ne sia consapevole. Le dinamiche psicologiche sono quindi alla base di ogni processo di selezione e decisione del pubblico che fruisce dell’informazione. Nei blog post di questo mese abbiamo affrontato diversi tasselli di questo quadro – dal framing, all’effetto priming, al social proof e alle relazioni parasociali – e i bias cognitivi rappresentano un ulteriore livello di analisi, utile a spiegare come certe notizie riescano a radicarsi nella memoria collettiva mentre altre rischiano di restare sullo sfondo.

Una tradizione di studi che intreccia psicologia e comunicazione

Il lavoro di Daniel Kahneman e Amos Tversky, a partire dal celebre articolo del 1974 Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases pubblicato su Science, mostra come il processo decisionale sia guidato da un sistema rapido, intuitivo e spesso impreciso, affiancato da un sistema più lento e riflessivo. Nei contesti saturi di stimoli, come quelli informativi, infatti è il primo a entrare in azione: filtra ciò che percepiamo, sceglie cosa ritenere rilevante e determina quali storie riescono a imporsi nel dibattito pubblico.

A questa linea di ricerca si sono aggiunte, negli ultimi decenni, analisi che esplorano la dimensione linguistica e sociale delle distorsioni cognitive. George Lakoff, ad esempio, ha lavorato sul ruolo dei frame metaforici e concettuali nel modellare il dibattito pubblico, con libri come “Don’t Think of an Elephant! Know Your Values and Frame the Debate”, che ha reso accessibile il tema del framing a un pubblico più ampio.

Sul versante delle dinamiche collettive, Timur Kuran e Cass Sunstein hanno studiato le cosiddette availability cascades, mostrando come la ripetizione di alcune narrazioni – alimentata dai media, dalla politica o da attori sociali organizzati – possa amplificare la percezione di rischi specifici e indirizzare le scelte regolatorie ben oltre i dati oggettivi.

In questo terreno interdisciplinare, psicologia cognitiva, linguistica e media studies convergono nell’idea che la percezione pubblica derivi da una combinazione di scorciatoie mentali, emozioni e categorie culturali sedimentate, più che da una valutazione neutra dei fatti.

I bias che plasmano il modo in cui leggiamo le notizie

Effetto disponibilità. Quando un fatto è raccontato attraverso immagini nitide, storie individuali o dettagli che colpiscono la memoria, acquista immediatamente peso. La mente registra soprattutto ciò che riesce a richiamare con facilità e questo altera il modo in cui valutiamo la frequenza o la gravità di un fenomeno: un evento raro ma molto coperto dai media può risultare più “presente” di un problema strutturale scarsamente raccontato.

Framing. La cornice narrativa attraverso cui un evento viene presentato guida l’interpretazione tanto quanto il contenuto stesso. Un medesimo fatto può essere percepito come questione di ordine pubblico, di diritti sociali, di rischio economico o di innovazione tecnologica a seconda del frame scelto, con effetti diretti sulla reazione dell’opinione pubblica. Ne abbiamo parlato in modo approfondito in questo articolo.

Euristiche di rappresentatività. Alcune storie risultano immediatamente plausibili perché richiamano modelli culturali familiari. Quando un racconto si inserisce in sequenze causa-effetto già consolidate – la startup giovane e geniale, l’istituzione lenta e burocratica, il cittadino “comune” opposto all’élite – tende a essere accolto come credibile senza ulteriori verifiche sui dati.

Bias di conferma. La tendenza a cercare, selezionare e ricordare soprattutto i contenuti che sono coerenti con ciò che pensiamo rende più stabile la polarizzazione mediatica. Le notizie che rispecchiano il punto di vista dominante del pubblico di riferimento avanzano con maggiore facilità lungo il ciclo dell’informazione, mentre quelle che lo mettono in discussione faticano a trovare spazio.

Euristica dell’affetto. Le emozioni intense facilitano l’elaborazione cognitiva. Indignazione, inquietudine e commozione accelerano la diffusione delle notizie, aumentano la probabilità di condivisione e orientano il giudizio anche quando gli elementi disponibili sarebbero insufficienti per trarre conclusioni equilibrate.

Perché alcune storie conquistano più spazio

Le redazioni lavorano in un contesto che richiede decisioni rapide, monitoraggio costante delle audience e gestione contemporanea di molteplici canali. All’interno di questo flusso, acquistano centralità le notizie che permettono una lettura immediata, che attivano categorie mentali già disponibili e che si prestano a essere aggiornate nel tempo con nuovi sviluppi.

I Digital News Report del Reuters Institute mostrano, da anni, come le persone interagiscano di più con contenuti che integrano volti riconoscibili, esperienze individuali o strutture narrative semplici da decodificare. In altre parole, le stesse caratteristiche che i bias cognitivi privilegiano. Questa dinamica produce un effetto collaterale: temi strutturali, processi lenti o questioni prive di un immediato “aggancio visivo” tendono a restare marginali, anche quando incidono in modo significativo sulla vita delle persone.

Bias cognitivi e attività di PR

Le dinamiche di cui abbiamo appena parlato riguardano tanto il pubblico quanto chi lavora nel sistema dell’informazione. Per chi si occupa di media relations (e in generale di comunicazione), conoscere il funzionamento dei bias significa leggere meglio le aspettative implicite dei giornalisti, individuare quali narrazioni risultano comprensibili a colpo d’occhio e capire dove, invece, occorre un lavoro in più per aprire spazio a prospettive meno immediate.

La costruzione di una storia aziendale acquista forza quando segue una traiettoria riconoscibile nel tempo, quando integra segnali concreti di credibilità e quando si innesta in conversazioni pubbliche già attive, senza limitarsi a inseguire l’argomento del giorno. In questo quadro, molti fenomeni che osserviamo nel nostro lavoro quotidiano – dalla sovraesposizione di certi temi alla difficoltà di far emergere questioni complesse – diventano più leggibili se interpretati alla luce dell’interazione tra bias cognitivi e logiche di produzione delle notizie.

Come tradurre questa consapevolezza in pratiche di comunicazione

Introdurre i temi tecnici attraverso ancoraggi narrativi immediati: un punto di partenza concreto – un caso recente, una situazione-tipo, un dato che sorprende – permette al lettore di orientarsi e attiva le sue categorie mnemoniche prima che entri nel dettaglio dell’argomento.

Scegliere la cornice interpretativa con attenzione: ogni tema può essere inserito in prospettive diverse. La leggibilità migliora quando si individua la cornice che consente di cogliere le implicazioni essenziali (economiche, sociali, culturali, sistemiche) senza comprimere la complessità in una semplificazione da slogan.

Fornire informazioni verificabili: dati, serie temporali, confronti tra percezione e realtà, esempi concreti tratti da ricerche o report aiutano a ridurre la dispersione interpretativa e a rafforzare la posizione del messaggio, soprattutto in contesti dove prevalgono opinioni forti e poche verifiche.

Limitare le zone di ambiguità: le distorsioni cognitive si intensificano quando l’informazione è incompleta, contraddittoria o esposta solo per frammenti. Una struttura argomentativa chiara, che accompagna il lettore attraverso i passaggi chiave senza eccedere in tecnicismi, contribuisce a prevenire letture imprecise.

Preparare materiali che contemplano scenari alternativi: nell’ideazione di una strategia di PR può essere utile chiedersi in anticipo quali letture distorte potrebbero emergere da una notizia o da un posizionamento e predisporre fin da subito elementi che aiutino giornalisti e pubblici a orientarsi verso interpretazioni più solide.

Il panorama informativo contemporaneo è costruito da flussi veloci, soglie di attenzione più basse e memorie intermittenti. I bias cognitivi ovviamente non possono scomparire del tutto, ma diventano più gestibili quando chi comunica decide di riconoscerne l’esistenza e di lavorare su narrazioni capaci di reggere nel tempo, senza limitarsi a cercare l’effetto immediato.Le organizzazioni che scelgono questa strada si distinguono perché offrono strumenti interpretativi più robusti: non rinunciano all’accessibilità e allo stesso tempo non sacrificano la complessità. Se la circolazione delle notizie tende a favorire ciò che aderisce alle scorciatoie mentali del pubblico, scegliere un approccio meno reattivo e più meditato si trasforma in un indicatore chiaro del modo in cui un’organizzazione desidera presentarsi e posizionarsi nel tempo.


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