A scuola, il silenzio non è mai solo silenzio. È una scelta. È quando non alzi la mano, non voti, non chiedi, non dici. È quando pensi: “Tanto non cambia nulla.” Ma quel silenzio è lo stesso che poi portiamo fuori, nella vita. Lo stesso silenzio che diventa assenza.
alcuni dati
Oggi, un giovane su dieci in Italia lascia la scuola senza completare un percorso formativo. Solo un ragazzo su tre si sente davvero parte delle decisioni che lo riguardano, e più della metà pensa che i diritti degli studenti contino poco nella vita della scuola. Poi cresciamo, e la storia si ripete. Nella fascia tra i 18 e i 25 anni, quasi la metà dei giovani non vota. Alle ultime elezioni europee, ha votato solo il 45% dei ragazzi di questa età: la fascia anagrafica meno partecipativa d’Italia.
Will Media, in un suo approfondimento, scrive: “Non è disinteresse, è disillusione.” Perché non votare, oggi, spesso non è menefreghismo: è sentirsi lontani da qualcosa che dovrebbe appartenerci. È pensare che, tanto, non cambia niente.
E spesso non è solo una questione di sfiducia. È anche una questione di possibilità. Non per mancanza di interesse, ma per mancanza di accesso. Perché anche la partecipazione, a volte, ha un costo.
libertà è partecipazione
Eppure, la partecipazione non è solo una croce su una scheda. È un’abitudine. Un gesto che impariamo molto prima di diventare cittadini. La partecipazione è un muscolo: se non lo alleni da piccolo, quel silenzio, piano piano, diventa sistematico.
Ma immaginiamo una scuola dove ogni parola conta. Dove si discute, si sbaglia, si ricomincia. Una scuola che non ti insegna solo a passare una verifica con un semplice voto, ma a non passare indifferente accanto alla vita. Perché chi partecipa costruisce, e chi costruisce appartiene. Non partecipare alla vita scolastica è come non partecipare alla vita del nostro Paese. Stessi meccanismi. Stesso silenzio. Stesso rischio.
È con questo sogno che abbiamo vissuto la Mo.Ca: non è stato un evento, ma un percorso. Un percorso che è iniziato con gli Oktoberfest attraverso cui in tutta Italia abbiamo disseminato segni di speranza. Nei giorni della MOCA, che si sono inseriti all’interno del giubileo del mondo educativo, abbiamo scoperto che partecipare è possibile. Non significa solo esserci, ma esserci con responsabilità. Non è riempire uno spazio, è dargli senso.
Ogni volta che alziamo la mano, firmiamo una proposta o ascoltiamo chi è diverso da noi, stiamo già cambiando qualcosa. E ne è prova il documento che abbiamo redatto e votato durante questa MOCA, con l’obiettivo di fare RE-set della rappresentanza, proponendo un sistema che sia più adeguato ai bisogni di noi studentesse e studenti.
Abbiamo visto che gli spazi di partecipazione ci sono — nel consiglio di classe, nell’istituto, nella consulta — ma spesso restano stanze chiuse finché non decidiamo di entrarci. E allora partecipare diventa aprire quelle porte, renderle accessibili anche a chi non si sente rappresentato. Abbiamo capito che la partecipazione non finisce nei confini della scuola: la scuola è il primo passo per imparare a stare nel mondo, per portare la nostra voce nelle istituzioni, nelle città, nella società che ci attende.
sortirne insieme
E se la scuola è davvero il luogo dove si impara a vivere, allora partecipare è vivere. Perché come ci ricorda don Milani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio: sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”.