Workout Magazine - Studio Chiesa communication
Heritage al femminile: Workout magazine incontra Chiara Cormanni, COO di PPInox e Presidente Comitato Imprenditoria Femminile Camera di Commercio di Milano, Monza, Brianza e Lodi
C’è (ancora) voglia di fare impresa in Italia? A guardare i numeri si direbbe di sì. Secondo l’analisi trimestrale Movimprese – eseguita sugli archivi di tutte le camere di Commercio del nostro Paese e condotta da InfoCamere e Unioncamere – il terzo trimestre del 2025 si è chiuso con un saldo positivo, tra iscrizioni e cessazioni, di 16.920 imprese: in buona sostanza, a fronte di 61.257 nuove imprese, ne sono state chiuse 44.337, un risultato che sembra attestare una vitalità nel mondo imprenditoriale forse inaspettata viste le incertezze globali e nazionali. In questo panorama è la Lombardia, con un saldo di 3.330 imprese in più, a esibire i migliori risultati, anche se il Lazio si distingue con il suo saldo di 2920 nuove imprese. I settori? Facendo riferimento al territorio nazionale sono in primis le costruzioni (3.317 nuove imprese), seguite dalle attività di alloggio e ristorazione (+ 2.797 nuove imprese) e quelle professionali, scientifiche e tecniche (+ 2.489 nuove imprese). E, sorpresa delle sorprese, il comparto artigiano mostra una timida ripresa con un tasso di crescita dello 0,15%, pari a 1.888 nuove attività.
A capo di molte di queste new entry, ci sono giovani, stranieri e, ovviamente, donne: per l’anno 2024 l’Osservatorio di iCRIBIS quantificava in un 27% del totale delle nuove imprese nazionali quelle aperte da donne, concentrate soprattutto in Lombardia, Lazio e Campania. Le nuove imprenditrici provengono per lo più da esperienze lavorative precedenti, da autonome o dipendenti, e a un certo punto hanno svoltato in una direzione più organizzata, inseguendo un intento di valorizzazione delle proprie competenze professionali oppure per desiderio di un’affermazione personale. Come dire che il loro percorso persegue una volontà forte di autorealizzazione, non la necessità di sopperire a una condizione di inoccupazione, insomma non è un ripiego. Sono dati questi ultimi che provengono dal report L’Imprenditoria Femminile in Italia, realizzato dal Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne in collaborazione con Si.Camera (©2025) e con il coordinamento di Unioncamere. Il report traccia un identikit molto puntuale del mondo imprenditoriale femminile del nostro Paese che al 31 dicembre 2024 contava circa 1,3 milioni di imprese, pari al 22,2% del totale nazionale. Queste imprenditrici sono più istruite rispetto ai loro colleghi uomini (il 25% è laureata contro il 21% degli imprenditori), contribuiscono in modo deciso all’occupazione femminile (all’interno delle loro realtà più del 50% dei dipendenti sono donne), mostrano una forte attenzione al welfare (il 40% adotta politiche di conciliazione tra la vita lavorativa e quella privata), si autofinanziano (tre su quattro) all’inizio della loro avventura ricorrendo al capitale proprio o a quello di familiari. In particolare questo punto merita una riflessione: solo il 3,8 % ha fatto ricorso a finanziamenti pubblici e appena il 26,9% ha chiesto prestiti bancari, il che, se da un lato significa una maggiore stabilità iniziale, per contro può generare una debolezza negli investimenti successivi. Se però (e questo capita nel 37% dei casi) successivamente si orientano verso il credito bancario, quasi sempre investono. Ciò che le frena è la burocrazia e le sue lungaggini, oltre al costo del credito stesso.
Sono dati che mi permettono di inquadrare meglio la figura di Chiara Cormanni, Presidente del Comitato Imprenditoria Femminile della Camera di Commercio di Milano, Monza, Brianza e Lodi nonché Presidente del Coordinamento Regionale dei Comitati per l’Imprenditoria Femminile della Lombardia. In forte sintesi, l’attività di questi Comitati è la valorizzazione dell’imprenditoria femminile e al contempo il supporto al superamento delle problematiche di genere, e non solo, che le imprenditrici possono incontrare nella loro quotidianità. Le loro iniziative sono volte anche a favorire la creazione di reti tra le imprenditrici stesse, quel networking che è fondamentale per espandere le opportunità di business. Spiega Chiara: «Ciò che mi ha spinto ad abbracciare questi ruoli e i mille impegni correlati è stata la fatica, che ho vissuto sulla mia pelle, di essere donna imprenditrice. Sono una convinta assertrice dell’importanza economica e culturale della parità di genere, della necessità, per la crescita della società intera, che le donne abbiano una loro identità e quindi occorre che chi di noi è riuscita a raggiungere determinati obiettivi, sia di spinta ad altre donne. Per fare che cosa? Per aiutarle a fare impresa, ma, potrei dire di più, per far innamorare dell’idea di fare impresa. E mi conforta vedere che le donne imprenditrici si stanno affermando anche in settori considerati tradizionalmente maschili, in ambiti tecnici e scientifici mentre fino a non molto tempo fa le si incontrava soprattutto nel terziario». Secondo Chiara bisogna cominciare dal mondo della scuola a trasmettere alle bambine la consapevolezza che potranno svolgere qualsiasi lavoro nel futuro, che il fatto di essere femmine non preclude loro nulla: «Andiamo già nelle elementari, che è poi il momento in cui le bambine cominciano a fantasticare su che cosa faranno da grandi, a divulgare la cultura STEM. E spingiamo anche i professori ad affrontare questi temi in classe perché si tratta dei lavori del futuro, quelli più pagati, nei quali pensiamo e speriamo che il gap gender potrebbe ridursi». È il core del progetto STEAMiamoci di Assolombarda, ormai in essere dal 2016, che si rivolge al mondo imprenditoriale e a quello della società civile per cambiarne la cultura, per incrementare la collaborazione tra scuole, imprese e istituzioni al fine di includere sempre più donne in ambiti STEM e dar loro poi pari opportunità di lavoro, per proporre strumenti forti di comunicazione su questi temi e per suggerire specifiche azioni e politiche orientate all’inclusione del mondo femminile nelle realtà produttive scientifiche e tecnologiche.
Un altro focus dell’attività di Chiara è il mentoring sul fronte delle startup attraverso l’associazione non profit La carica delle 101, nata qualche anno fa con l’intento di accompagnare e sostenere giovani imprenditrici e imprenditori rispondendo ai loro dubbi, ai loro bisogni e mettendo a disposizione conoscenze, relazioni e competenze. Le 101 ormai sono più di 200 e sono tutte donne in ruoli apicali all’interno di aziende di primissima importanza, società di consulenza, banche, studi legali e notarili: divise in gruppi, ogni anno seguono 8 progetti imprenditoriali innovativi dedicando loro una sessione di lavoro e un momento conviviale per conoscersi di persona e stringere un legame che in molti casi si prolunga nel tempo. E dal 2022 varcano regolarmente il Mediterraneo con il progetto «La carica 4 Africa» rivolgendosi a neoimprenditrici e founder di startup nel mondo della moda: cinque serrati mesi di mentoring su argomenti quali Financial Planning, Marketing Strategy, IT Systems, Communication e altri per aiutarle a sviluppare le loro imprese con successo e a espandersi anche verso i mercati europei.
Ma Chiara non è solo donna istituzionale, è anche donna di business, seconda generazione e COO nell’azienda di famiglia: PPInox, di Cerro Maggiore, specializzata nella progettazione e produzione di piattine e profili in acciaio inossidabile, nonché di filtri destinati ai settori più disparati, dall’automotive alla petrolchimica, dai casalinghi all’architettura, dall’alimentare al minerario. «Piattine e Profili Inox, questo è il nostro nome “vero” – PPInox è un’abbreviazione più smart, che abbiamo scelto perché utile soprattutto nei mercati internazionali – nasce nel 1979 per opera di mio padre Claudio. In realtà già mio nonno era ben introdotto nel settore dell’acciaio, era stato a lungo dipendente di Terni per poi decidere di aprire con due soci una realtà ancora esistente. Sfortunatamente è mancato quando ancora era giovane lasciando mia nonna con tre figli di cui il maggiore studiava medicina, mio padre aveva vent’anni e mio zio Massimo solo undici» racconta Chiara. Claudio però non si perde d’animo e, sostenuto dalla madre, decide di cominciare un’attività in proprio, che, a sentire Chiara, «era più un’officina che un’azienda vera e propria». Gli inizi sono durissimi, Claudio e la madre, che funge da contabile per le sue passate esperienze da bancaria, lavorano senza risparmiarsi, con pochi soldi ma ferrea tenacia, i primi impianti vengono costruiti da Claudio stesso a partire da poco più che rottami recuperati a buon prezzo da altre aziende e Massimo ricorderà negli anni a venire l’emozione di quando, con le cambiali di Artigiancassa, riescono finalmente ad acquistare un impianto nuovo. Lui stesso, quando inizia ragioneria, dà una mano appena può, pur essendo ancora un ragazzino che nel tempo libero dovrebbe solo pensare a giocare come fanno i suoi coetanei.
«Fin dall’inizio ci siamo orientati sulla produzione di piattine e profili a bordi tondi, quadri o a spigoli vivi – quella che ci contraddistingue ancora oggi – comprando la materia prima, ieri come oggi, dalle grandi acciaierie soprattutto europee, anche se ultimamente varie dinamiche ci hanno obbligato a guardare anche al di là dei confini europei per l’approvvigionamento» continua Chiara nel suo racconto. All’inizio il settore dove trovavano l’impiego più largo era quello dei casalinghi, nella produzione per esempio di manici di pentole e posate, «poi tutte queste attività si sono spostate nel Far East, ma fortunatamente si sono aperti altri mercati». Un ulteriore prodotto, che è diventato l’eccellenza dell’azienda ed è nato da un’intuizione dei due fratelli Cormanni sono i profili speciali sagomati utilizzati nei processi di filtrazione: «Nel mondo non ci sono più di cinque o sei aziende che producono questi semilavorati che trovano il loro sbocco in tutta una serie di settori, in primis quello minerario, ma anche nella depurazione delle acque, nell’oil&gas, nella vinificazione». La gamma delle lavorazioni di PPInox è poi completata dal taglio in misura di nastri in acciaio che, sulla base della richiesta del cliente, possono avere i bordi sbavati o tondi: «Non ci limitiamo quindi solo alla divisione dei piani, ma possiamo anche fare delle lavorazioni aggiuntive, il che ci aiuta a differenziarci dai competitor. Tra queste c’è anche l’incrudimento attraverso laminazione a freddo: si ottiene così una modifica delle caratteristiche fisico-meccaniche dell’acciaio che, in estrema sintesi, diventa più resistente cosa che lo rende particolarmente idoneo per la produzione di molle, con impieghi nei campi più vari». Nel 1998 una nuova iniziativa: la famiglia Cormanni fonda con un socio un’azienda, ITC Srl, di cui detiene il 51% e che produce fili in acciaio inossidabile partendo «non da coil, ma da vergelle, il processo è una trafilatura e il prodotto viene poi impiegato in tanti ambiti diversi, tra cui importante è la viteria».
All’impresa di famiglia Chiara approda solo nel 2015: «Mio padre effettivamente ci ha messo un po’ di tempo prima di farmi la proposta di entrare in PPInox, non era così scontato» ride. E questo nonostante l’idea di lavorarci fosse per lei «un pallino, fin da quando frequentavo le scuole medie». Non che fosse cresciuta a pane e acciaio, come si suol dire, però questa presenza era parte integrante della sua vita quotidiana. Uno dei suoi più vividi ricordi di bambina è quando vedeva il padre uscire la sera tardi per il controllo del forno di ricottura: «L’idea di questo forno sempre acceso che mio padre doveva “sorvegliare” mi suscitava un’ansia pazzesca, era l’incontro con un moloch che mi faceva paura; alle dieci con qualsiasi tempo, piovesse, nevicasse o tirasse vento, lui si alzava e andava in stabilimento e questo mi inquietava tantissimo». Nello stesso tempo per Chiara ha rappresentato una sorta di imprinting: «Mi ha trasmesso il senso del dovere guidato dalla passione, due sentimenti che abbiamo conservato nel tempo, che sono vivissimi ancora oggi e che cerchiamo di trasmettere ai nostri collaboratori».
Chissà se nella mente di Claudio ci fosse una preclusione, magari anche in parte inconscia, nei confronti delle due figlie femmine (Chiara ha una sorella che di recente ha fatto anche lei il suo ingresso in PPInox nel settore logistico) oppure se semplicemente volesse, come peraltro la maggior parte dei padri imprenditori, che la figlia facesse la sua gavetta altrove, fatto sta che Chiara, dopo la laurea in Bocconi, inizia uno stage in Finmeccanica a Roma, un’esperienza che le insegna a muoversi negli ambienti istituzionali con le dovute accortezze, e poi fa un salto quantico: accetta una proposta da Perfetti Van Melle, il mondo delle caramelle e delle gomme da masticare. Si occuperà di marketing che «per il sig. Perfetti, persona eccezionale con una visione fuori dal comune, era quasi più importante delle vendite» e poco dopo viene cooptata in un progetto che ancora le fa brillare gli occhi quando ne parla: l’istituzione di un gruppo marketing global con sede in Olanda, 12 persone provenienti da diverse business unit, da ogni parte del mondo, con l’intento di elaborare e poi esportare nei vari Paesi del Gruppo piani e strategie condivisi. Un lavoro massacrante, «a un certo punto mi sembrava di vivere solo in viaggio, la parola “casa” non aveva più nessun significato», coinvolgente ed entusiasmante che per tre anni le fa (forse) dimenticare piattine e profili di famiglia. Finché dalla Perfetti non arriva «l’ordine di scuderia»: Chiara dovrà partire per la Cina, sarà questa la sua prossima destinazione, forse per molto tempo. «Può darsi che a quel punto mio padre abbia capito che mi stavo incamminando su un percorso che difficilmente mi avrebbe riportato in Italia oppure – l’aggiunta suona maliziosa – ha dovuto riconoscere l’apprezzamento che riscuotevo nel mio lavoro, ma qualunque sia stata la ragione, ha sparigliato le carte. Mio padre mi ha offerto una posizione che nel frattempo si era resa vacante».
Beh, forse non proprio l’oggetto dei sogni: «Prima che io entrassi in azienda era stato implementato un nuovo gestionale che aveva creato problemi perché non seguito nel modo corretto. Quindi era necessario riprendere in mano tutto, rivedere i processi e cercare di capire che cosa non funziona