Senza politica - Fondazione Luigi Einaudi

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Pro Pal a La Stampa – Più d’uno tra i giornalisti de “La Stampa” ci è rimasto sinceramente male: «Ma come, proprio contro di noi?». In effetti, tra i quotidiani di maggior blasone “La Stampa” di Torino è stato forse il più netto nel criticare Israele e il più comprensivo delle ragioni palestinesi. Rula Jebreal, Massimo Cacciari, Francesca Mannocchi, Domenico Quirico… Sono diverse le firme che, con gran scorno della comunità ebraica locale, hanno aderito nel tempo alla tesi del “genocidio” israeliano e hanno menato scandalo per l’insensibilità della comunità internazionale nei confronti dei diritti del popolo palestinese. Eppure… Eppure, venerdì un manipolo di guastatori pro Pal ha fatto irruzione nella redazione centrale del giornale devastando ogni cosa, urlando minacce, svuotando sacchi di letame e vergando con vernice rossa sui muri slogan tipo: “Fuck Stampa”,”Free Palestine”,”Stampa complice di genocidio. Ma come, proprio conto di loro?

Non c’era, naturalmente, bisogno di questa ennesima dimostrazione per prendere atto dell’impoliticità della minoranza violenta pro Pal. Impoliticità in senso letterale, cioè contraria alla logica politica, che nelle liberaldemocrazie si fonda sulla ricerca del consenso e sulla mediazione. Dunque, come recita il dizionario Treccani, un gesto

“inopportuno” e “contro producente”. Ma ai ragazzi dei collettivi universitari, così come alle squadracce fasciste degli anni Venti, il consenso degli ‘altri’ non interessa e la politica fa orrore. Sanno, forse lo sanno, che l’aver messo a ferro e fuoco le città italiane durante le manifestazioni pro Pal degli scorsi mesi ha allontanato una fetta significativa di opinione pubblica dalla causa palestinese e rappresentato il miglior favore che si potesse fare al governo delle destre. Sanno, forse lo sanno, che prendere di mira un giornale non ostile non lo renderà certamente più amichevole e comprensivo. Lo sanno, forse, ma – per usare lo slogan che Gabriele D’Annunzio coniò per i legionari di Fiume – se ne fregano.

Se ne fregano perché a loro interessa solo il bel gesto, il gesto fine a sé stesso. Il gesto emblematico che, in una sottocultura intrisa di nichilismo e antagonismo radicale, non può che essere un gesto violento, apprezzabile soltanto da chi è già arroccato sulle loro medesime barricate minoritarie. Una forma di ottusità, dal punto di vista politico. Una forma di narcisismo, dal punto di vista psichiatrico.

Non potendo pertanto attingere alle categorie della scienza politica, non resta che abbeverarsi alle teorie della scienza psicologica.

Il profilo è infatti quello dell’ «imbecille morale» cui Cesare Lombroso dedicò a un intero capitolo del suo “L’uomo delinquente” (1876). La pazzia morale, scrive, « pazzia ragionante, o imbecillità morale, consiste, come de-nota il nome, in un’alterazione del senso morale, che può giungere sino alla sua assoluta mancanza».

L’imbecillità morale – che ai tempi di Lombroso era considerata una patologia dalla medicina ufficiale e di conseguenza relegata ai margini della società – ha oggi permeato il senso comune e della società, ha inopinatamente occupato posizioni centrali. I giovani dei centri sociali ne rappresentano la punta più avanzata, ma imbecille morale è anche l’arcitaliano che evade sistematicamente il fisco e si accanisce contro “i politici ladri”, il grillino che dopo aver aperto il Parlamento come una scatola di tonno ne ha divorato il contenuto sbraitando contro “la Casta, il putiniano che dà di “nazista” a Zelensky, il magistrato che dà di sovversivo al ministro della Giustizia… Ci sono tante forme di imbecillità morale, e a ben vedere quella violenta è la più innocua.

La Lomellina

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Andrea Cangini