Lo scorso 11 novembre il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha annunciato l’esaurimento delle risorse disponibili per la misura Transizione 4.0, a seguito di una forte accelerazione nelle prenotazioni avvenuta dopo il termine dei fondi previsti per Transizione 5.0.
Nello specifico, l’obiettivo di spesa ridotto a 2,5 miliardi di euro (dai 6,3 miliardi iniziali) ha definito la fine prematura delle risorse per la Transizione 5.0. Le imprese che non hanno avuto modo di beneficiare di tali fondi hanno, pertanto, optato in massa per la misura Transizione 4.0, determinandone nel giro di pochi giorni la chiusura.
A questo punto, conclusa la corsa ai fondi, rimane aperta la domanda su quale sarà il prossimo capitolo della Transizione 4.0.
LE PRIME EVIDENZE DEL PIANO TRANSIZIONE 4.0
La dinamica di novembre ha dimostrato l’interesse e la necessità delle imprese verso i processi di innovazione e digitalizzazione promossi dal Piano Transizione 4.0, confermando l’importanza degli incentivi pubblici nel sostenere la competitività del sistema produttivo italiano.
A supporto di questa tendenza, il primo rapporto intermedio di valutazione del piano Transizione 4.0, pubblicato dalla Banca d’Italia a novembre 2024 in collaborazione con il Dipartimento delle Finanze e il Ministero delle Imprese e Made in Italy, ha mostrato come la misura nei primi tre anni del programma abbia stimolato maggiori investimenti, generando effetti positivi sia sull’occupazione che sui ricavi delle imprese beneficiarie.
Dall’indagine è emerso come le imprese beneficiarie della misura Transizione 4.0 abbiano incrementato il loro tasso d’investimento con un effetto decrescente all’aumentare della dimensione d’impresa: la crescita media del tasso di investimento è stata pari a circa 0,5 e 0,8 punti percentuali, rispettivamente per le imprese di grandi e medie dimensioni, per le piccole imprese risulta circa del 1,8% mentre un effetto maggiore è stato stimato per le micro-imprese, pari a 3,7%.
Dal punto di vista occupazionale, nel breve periodo gli incentivi a sostegno della digitalizzazione non hanno prodotto effetti di sostituzione tra capitale e numero di lavoratori nelle imprese beneficiarie. Al contrario, si sono osservati aumenti dell’occupazione in quasi tutte le categorie dimensionali delle imprese. Nel complesso, il piano Transizione 4.0 ha generato circa 40.000 nuovi posti di lavoro nel triennio 2020-2022 tra le imprese analizzate. L’impatto più significativo si è riscontrato nelle microimprese, che per la coorte del 2020 (l’unica statisticamente significativa) hanno registrato un incremento medio annuo dell’occupazione pari al 3,1%. Le piccole imprese hanno mostrato una crescita compresa tra il 2,5% e il 3% medio annuo, mentre le medie imprese hanno aumentato l’occupazione di circa il 2,3%. L’incremento percentuale più contenuto è risultato per le grandi imprese, pari allo 0,7%.
Dall’analisi del rapporto è stato possibile osservare, inoltre, come gli investimenti in beni materiali 4.0 abbiano generato effetti positivi anche sui ricavi delle aziende beneficiarie. In particolare, le imprese piccole e micro sono quelle per cui gli incrementi medi annui sono risultati maggiori (circa 8%), seguite dalle medie imprese (6%) e infine dalle grandi (2%). Sebbene per le microimprese solo la prima coorte del 2020 sia risultata significativa, è stato evidente che per le aziende di tutte le classi dimensionali gli incrementi percentuali annui maggiori sono stati quelli per i first adopters (Figura 1).
Figura 1: Aumento del fatturato sull’anno precedente (in %)
Anche mettendo a confronto i costi diretti della misura con gli incrementi di fatturato generati dal piano Transizione 4.0, emerge che per i first adopters (perlopiù le imprese di grandi dimensioni) a fronte di ogni euro di credito d’imposta sono stati generati maggiori ricavi pari a 24,8 euro. Tale valore risulta in diminuzione per le coorti del 2021 e del 2022, in cui ogni euro di credito d’imposta ha prodotto rispettivamente 8,14 e 11,89 euro di ricavi aggiuntivi. Lo stesso andamento decrescente è stato riscontrato anche per le imprese di medie e piccole dimensioni, mentre per le microimprese l’unica coorte statisticamente significativa (quella del 2020) ha fatto registrare l’incremento di fatturato minore, pari a 2,59 euro per ogni euro di credito d’imposta erogato (Figura 2).
Figura 2: Incremento del fatturato per ogni euro di credito d’imposta erogato
| Coorte 2020 | Coorte 2021 | Coorte 2022 | |
| Grandi imprese | €24,87 | €8,14 | €11,89 |
| Medie imprese | €7,74 | €6,34 | €4,45 |
| Piccole imprese | €4,84 | €3,84 | €2,52 |
| Micro Imprese | €2,59 | n.s | n.s |
Fonte: Banca d’Italia (2024), n.s.= effetto statisticamente non significativo
Dall’analisi è emersa quindi una forte eterogeneità degli effetti tra imprese di dimensioni diverse ed è evidente che gli effetti positivi della misura siano stati maggiori per i first adopters e inferiori per i soggetti che successivamente abbiano utilizzato l’incentivo.
IL FUTURO DI TRANSIZIONE 4.0
Nonostante i limiti temporali dell’analisi, le evidenze riguardo la riduzione progressiva dell’efficacia degli incentivi e l’aumento dei costi associati sono stati elementi determinanti per la progettazione del nuovo schema di agevolazioni previsto dal 2026. Difatti, risulta poco sostenibile per il futuro del Paese continuare a prevedere strumenti di supporto automatici e privi di limiti complessivi di spesa.
Non sorprende quindi che tra le misure di maggiore interesse per le imprese previste dal Disegno di Legge di Bilancio 2026 figuri il ritorno dell’iperammortamento e superammortamento (art. 94), mentre i crediti d’imposta restano circoscritti a specifiche aree geografiche o settoriali, come le Zone Economiche Speciali (ZES) e le Zone Logistiche Semplificate (ZLS). L’obiettivo dell’iperammortamento, dunque, è generare un risparmio fiscale distribuito negli anni con minori imposte nel medio-lungo periodo.
Da un lato, le nuove maggiorazioni (fino al 180% o 220%) risultano più generose rispetto alle aliquote dei crediti d’imposta del 2025 (tra il 5% e il 35%) e combinano la logica “4.0” con quella “green”, incentivando investimenti in macchinari, impianti e software interconnessi e riconoscendo ulteriori benefici per i progetti che riducono i consumi energetici. Dall’altro lato, permane un rischio rilevante: la nuova misura, dal valore di 4 miliardi di euro, potrebbe non essere pienamente accessibile a tutte le imprese e la sua applicazione limitata al solo 2026 è considerata insufficiente a garantire la continuità e la stabilità necessarie alla programmazione industriale.
CONCLUSIONI
Il bilancio intermedio del Piano Transizione 4.0 conferma il ruolo strategico degli incentivi pubblici nel sostenere la digitalizzazione e l’innovazione delle imprese italiane. Tuttavia, la riduzione progressiva dell’efficacia della misura ha evidenziato i limiti dell’attuale modello di agevolazioni.
Le disposizioni della Legge di Bilancio 2026 segnano, di conseguenza, un cambio di paradigma, reintroducendo l’iperammortamento, che garantisce maggiorazioni più alte, ma richiede un orizzonte temporale più ampio, almeno triennale, per non limitare l’impatto complessivo e per non generare incertezza nella programmazione dei futuri investimenti.
Il futuro degli incentivi per favorire la digitalizzazione delle imprese, quindi, dipenderà dalla capacità di programmare un quadro stabile, pluriennale e coerente, affiancando agli incentivi fiscali strumenti complementari: servizi di accompagnamento, semplificazione amministrativa, accesso al credito e sostegno alle competenze. Solo un mix bilanciato di politiche potrà garantire che le risorse pubbliche si traducano in un incremento duraturo della produttività, della competitività e della sostenibilità del sistema industriale italiano.