500 anni Anabattismo. Volpe: "partecipare e innamorarsi della storia"

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Foto Elisey Vavulin - Unsplash

Roma (NEV), 5 dicembre 2025 – Intervista al pastore Raffaele Volpe (Dipartimento di Teologia dell’UCEBI – Unione cristiana evangelica battista d’Italia), autore della SCHEDA sugli Anabattisti.

Quest’anno si stanno celebrando 500 anni di anabattismo e come UCEBI avete organizzato diverse tappe da sud a nord, da est a ovest. Come sono andati gli incontri?

Racchiudere 500 anni in un anno solo non è stato facile, ma è andata molto bene. Alla fine, abbiamo visitato gran parte delle nostre chiese. Non faccio l’elenco dei luoghi visitati perché sarebbe troppo lungo. Aprivamo il 25 gennaio a Marghera e abbiamo chiuso il 7 dicembre a Pistoia e in mezzo ci sono gran parte delle regioni. In realtà, ci sarà ancora un incontro: a febbraio dell’anno prossimo in Piemonte. Sì, ci riteniamo molto soddisfatti.

In che modo i territori hanno risposto alle proposte delle chiese per questo anniversario?

Siamo sempre stati accolti con grande curiosità. L’anabattismo non è tanto conosciuto in Italia e tantomeno nelle nostre chiese. Eppure, bastava raccontare la storia della figlia di Hottinger, la testarda contadina svizzera, oppure di Marpeck, il missionario idraulico, che appariva chiaro quanto l’anabattismo fosse uno straordinario movimento popolare di donne (e quante donne!) e uomini che scoprivano la Bibbia e cercavano di vivere concretamente la loro fede, anche pagando un prezzo per la loro coerenza. Ecco, tutto questo ha creato un’immediata sintonia tra questi lontani padri e lontane madri e le sorelle e i fratelli delle nostre chiese.

Domanda forse un po’ provocatoria: come possiamo, oggi, essere un po’ anabattisti?

Le domande provocatorie sono sempre le migliori! Io vorrei proporre tre modi: dobbiamo rimettere la partecipazione (a tutti i livelli) al primo posto. Solo credenti pronti a partecipare – che senso ha la libertà, se non si è disposti a partecipare? – alla costruzione di una vita comunitaria intensa e profonda e a impegnarsi per il bene della propria città; ecco, solo chi partecipa trasforma le cose, chi sta a osservare e semmai a commentare con uno slogan da una chat di un social qualsiasi, non trasforma neppure sé stesso. Al secondo posto c’è seguire Gesù. Sì, la sequela, il discepolato. Solo chi segue Gesù lo conosce davvero, diceva un anabattista. Abbiamo trascurato la necessità di costruire nuovi stili di vita, caratteri trasformati dalla grazia, modelli alternativi ai modelli imperanti di oggi, su tutto questo Gesù è ancora un maestro straordinario. E in ultimo la nascita. Una filosofa spagnola diceva che noi non smettiamo mai di nascere. Ecco, più che essere mortali, dobbiamo provare a diventare ‘natali’, testimoni ogni giorno di un’alternativa alla cultura della morte.

In passato, si sono alternati momenti in cui si negava oppure si affermava una sorta di “eredità anabattista” per il battismo moderno. Cosa ne pensa?

Penso che la questione posta in questo modo sia ‘sbagliata’. Il punto non è dimostrare che c’è un legame storico tra anabattisti e battisti (e il legame ci fu e non ci fu). Il punto è se vogliamo oppure no rendere quella storia un motivo di aspirazione per noi oggi. Ci siamo innamorati della grazia di Lutero, ma non eravamo luterani. Al patto, ma non eravamo riformati. Quindi, ora ci possiamo appellare alla sequela, anche se non siamo anabattisti.

Secondo lei, per comprendere meglio l’anabattismo in particolare, e in generale qualsiasi altro aspetto del cristianesimo del passato, come dialogano l’approccio storico-filosofico e quello spirituale-religioso (ma anche poetico, artistico, musicale, letterario…)?

Bella domanda! Finito il tempo dei chirurghi che, operando con il bisturi, vivisezionavano un ambito della storia e lo separavano da tutto il resto, rendendolo materia per specialisti, è giunto finalmente il tempo invece di innamorarsi della storia. E la storia è sempre un crogiuolo di tante cose, anche tra loro in contraddizione. Lavorando insieme come Commissione storia e Dipartimento di teologia abbiamo proprio cercato di restituire alle nostre chiese il sapore della storia, spesso fatta di microstorie, di donne e uomini in carne e ossa. È in questo modo che abbiamo cercato di raccontare che la storia, è una citazione di Rosa Luxemburg, non la facciamo per libera scelta. E tuttavia facciamo la storia!

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